mercoledì 17 aprile 2013

Cancro, la lezione dell'India e le pandemie finanziarie

farmaci

Collassati sul nostro ombelico come siamo dal giorno del risultato elettorale rischiamo di non accorgerci di quel che succede nel resto del mondo e di andare alla deriva come un frammento di pack quando si stacca dal mare di ghiaccio artico e lentamente, ma inesorabilmente, si scioglie trascinando a fondo i naufraghi che vi fossero sfortunatamente rimasti aggrappati.

Così bisogna essere ascoltatori assidui di “radiotre-mondo” o “radiotre-scienza”, o lettori attenti e selettivi di quanto di più autorevole offe la rete,  per aver saputo che – (oltre che sulla vicenda tragica ma dai risvolti sempre più grotteschi dei marò) la corte suprema di New Delhi è stata chiamata a pronunciarsi in questori giorni su di una vicenda che ha ben più ampi risvolti etici, politici e sociali. Copio e incollo l’incipit del comunicato con cui Medici Senza Frontiere ha commentato la notizia: “È un enorme sollievo per i milioni di pazienti e medici nei Paesi in via di sviluppo che dipendono dai farmaci a basso costo provenienti dall’India, e per i fornitori di cure come MSF, la decisione della Corte Suprema che rende ora i brevetti sui farmaci di cui noi abbiamo un disperato bisogno, meno attuabili. Si tratta del segnale più forte possibile per la Novartis e le altre multinazionali farmaceutiche che devono desistere dall’attaccare la legge indiana dei brevetti”.

Novartis, una delle grandi multinazionali farmaceutiche associate nel cartello comunemente noto come “Big Pharma” (molte delle quali con sede in Svizzera…) ha perso la causa intentata sette anni fa per impedire all’industria farmaceutica indiana – all’avanguardia per qualità e capacità produttiva di rimedi terapeutici – di produrre e distribuire a basso costo un farmaco anticancro protetto da brevetti ventennali che – a detta degli esperti – possono essere rinnovati per mesi e anni oltre la scadenza garantendo profitti stratosferici (grazie al divario del prezzo di vendita).

Guadagni discutibili e non di rado permanenti (grazie a interventi che a volte ricordano la “ristilizzazione” con cui le case automobilistiche rimettono sul mercato modelli ormai obsoleti ma resi appetibili da qualche nuova cromatura o dal ridisegno dei gruppi ottici). L’alibi di questo egoismo commerciale (garantito dal ventre protettivo della famigerata WTO) è la possibilità di finanziare (attraverso la dimensione e la durata degli extra-profitti) la ricerca e la scoperta di nuove e sempre più miracolose formule. Ma ad affermarlo sono delle società quotate nelle più importanti borse mondiali e che godono di commesse pubbliche tra le più generose e incontrollate degli “stati sovrani” (basti ricordare le ricorrenti polemiche sugli acquisti miliardari di vaccini imposti ad ogni affacciarsi di “rischio-pandemia influenzale” che hanno reso popolare anche da noi proprio Novartis!).

E serve soprattutto ricordare che il farmaco oggetto della disputa giudiziaria costa al paziente che lo acquista “griffato” poco meno di 2mila dollari, mentre chi assume gli stessi principi attivi di pari efficacia assemblati in India spende poco più di cento dollari! Da qui la presa di posizione a favore della sentenza senza se e senza ma di M.S.F.. Di qui la necessità di ri-tarare il pre-giudiizio datato – oltre che razzista – sui paesi emergenti sulle loro giovani ma autorevoli istituzioni (e sulla crisi della vecchia Europa).

Di qui una ulteriore condanna senza appello non di un a corte suprema e mondiale, ma delle coscienze di tutti gli uomini liberi,  per una architettura economica che per sopravvivere al proprio inviluppo sembra capace solo di esasperare ogni tipo di disuguaglianza fino a quella estrema di trasformare anche la peggiore delle malattie moderne in occasione di profitti senza limiti ragionevoli e senza regole difendibili.

Claudio Giorno



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