mercoledì 30 ottobre 2013

Il Punto di Vista dei Tartari

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'Il Deserto dei Tartari' è il titolo del celebre libro di Dino Buzzati da cui è stato tratto l’intensissimo film omonimo, diretto da Valerio Zurlini. L’atmosfera generale del romanzo, di angosciata rassegnazione in vista di un pericolo lontano ma pressante, ricorda sorprendentemente lo stato d’animo attuale di una umanità relegata in una specie di riserva indiana di proporzioni enormi, i cui confini però si fanno giorno dopo giorno più costrittivi ed impenetrabili.
 

Alcuni avvertono l’entità dell’enorme pressione a cui siamo sottoposti altri invece, pur rendendosene conto, preferiscono ignorarne la potenza per quieto vivere mentre la stragrande maggioranza della popolazione vive in uno stato precario, immaginandoselo invece solido ed inamovibile. Tutta la nostra vicenda terrena, quella cominciata circa 130.000 anni orsono e che riguarda la nostra peculiare specie ‘sapiens’, potrebbe ridursi ad uno dei tanti avvicendamenti che hanno caratterizzato questo straordinario pianeta. Altre pellicole della magica macchina dei sogni (Hollywood) ci hanno espressamente comunicato la nostra precarietà sopra questa sottile lastra di magma raffreddato. Mi riferisco ai film in cui i dinosauri rinnovavano la loro presenza sul pianeta grazie alle conquiste dell’ingegneria genetica oppure alle mutazioni indotte dalla radioattività, ingaggiando con gli umani una strenua lotta per la sopravvivenza; ne sono uscite davvero parecchie, da GodZilla a Pacific Rim sino al ben noto Jurassic Park.
 

Se dovessimo trarne una lezione o solo un ammonimento, potremmo facilmente prendere atto come la nostra vicenda terrena sia instabile e relegata in una nicchia spazio-temporale esigua. Nel Deserto dei Tartari appare chiaro come siano i Tartari i veri padroni del territorio che, con i loro tempi lunghi e le loro modalità misteriose perché sconosciute, rimedieranno presto alle bramosie occidentocentriche simboleggiate dall’evoluto drappello di militari dell’impero austroungarico, riprendendosi ciò che apparteneva loro.
 

Un territorio, una mappa, molti punti di vista differenti e molte percezioni diverse di ciò che era e potrebbe essere. Cosa significa osservare la realtà dal punto di vista dei Tartari? Che sorpresa rivela l’immedesimarsi in visioni altrui?
 

Il pianeta ci appare sotto attacco, dal nostro punto di vista umano, ma potrebbe apparire diverso se lo osservassimo con occhi di altra natura, come ad esempio quelli a pupilla verticale, come i gatti. Allora saremmo forse in grado di percepire un ambiente in corso di trasformazione. Un luogo nel quale agiscono tante forze poderose in grado di ristrutturarlo verso una dimensione vitale differente e forse neanche inedita. Si potrebbe partire dall’atmosfera, inseminata com’è tutti i giorni da tonnellate di nano particolato bio-chimico, oppure procedere verso l’annichilimento dei DNA compiuto attraverso la diffusione inarrestabile degli organismi geneticamente ingegnerizzati. Potremmo procedere osservando la distruzione del nostro mare più esteso, l’Oceano Pacifico, ad opera di un cosiddetto incidente ad una centrale atomica, oppure constatando che le amministrazioni si adoperano per aggiungere veleni neurotossici all’acqua potabile oppure per inondarci di radioonde fin dalla tenera età, installando ovunque il pericolosissimo wi-fi (che bella parola, no?) in contesti una volta considerati immuni dal pericolo come le scuole, i parchi, le spiagge (!), i bar, etc. etc. … .  

Quello che la vile propaganda chiama ‘inevitabile progresso’ è solo morte e distruzione.
 

Dall’occhio dei Tartari invece tutto appare meravigliosamente accordato per promuovere un giusto avvicendamento in questo contesto, usurpato da bipedi riottosi e pelosi, appartenenti ad altre culture ed altre ‘nature’.
 

Siamo sottoposti infine alle morse mefitiche della tassazione brutale, dei regolamenti che annichiliscono privati ed imprese, mentre lo sfacelo pubblico procede a gonfie vele, distruggendo quello che era rimasto in piedi come la bellezza di alcuni paesaggi o la presenza di opere d’ingegno e creatività del nostro glorioso passato.
 

Mescolare elementi incompatibili, denaturare le intenzioni, confondere le menti. Il tutto per operare con comodità, con i lunghi tempi dei Tartari verso un pianeta rimodellato, silenzioso (agli 'dei' è sempre piaciuto il silenzio), sterile e freddo come forse mai lo è stato. Un deserto dei Tartari senza volto, degli abili manipolatori a livello astronomico, nel quale non ci sarà purtroppo scampo per nessuno. La sottile malattia che imperversava nel fortino del romanzo, altro non è che la chiave di lettura del nostro disagio, una sensazione di estraneità invincibile, una perenne tensione verso l’autodistruzione. Il nemico è quindi dentro di noi: è la nostra ignavia, superficialità, cecità. I Tartari potrebbero attendere millenni prima di riprendersi il loro territorio, oppure attaccare domattina. Poco cambierebbe per noi, se non saremmo in grado di emanciparci dal contesto inquinatissimo in cui svolgiamo vite sbagliate, lontane anni luce dalla tensione verso il buono ed il bello, in quell’aura felice che nel nostro recente passato è stata, per pochi felicissimi istanti, l’unica luce da seguire.

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