venerdì 28 marzo 2014

C’era una volta in América

Molto probabilmente stiamo vivendo un tempo che la storia ricorderà come il cuore di un passaggio epocale della storia contemporanea. Il tramonto dell’egemonia indiscussa del potere degli Stati Uniti sul pianeta sta cambiando velocità. Lo segnalano crisi e conflitti come quelli esplosi in Ucraina e Venezuela. Il primo nasce per fugare il fantasma di una pericolosa alleanza tra Mosca e Bruxelles. Alzare in tutta fretta una nuova cortina di ferro dovrebbe consentire, tra l’altro, di commerciare in libertà il gas estratto col fracking (T-tip). La violenta crisi scatenata a Caracas mostra invece la rigidità e la debolezza di Washington proprio nel momento in cui l’ex cortile di casa vive la sua terza transizione egemonica. Raúl Zibechi ne disegna un breve profilo storico
Homelessness Reaches All-Time Record In New York City

È probabile che stiamo entrando nel nucleo duro della transizione egemonica, sia a scala globale che nella regione latinoamericana. Gli avvenimenti del Venezuela e quelli dell’Ucraina, sommati a quelli della Siria e del Sudan, e a quelli che in ogni mese si aggiungeranno ancora, sembrano indicare che la transizione verso un mondo post-statunitense accelera, lasciando una scia di crisi economiche, sociali e umanitarie. Una transizione egemonica non può verificarsi senza crisi  e guerre, ci piaccia o meno questa prospettiva.


Non è facile spiegare le ragioni per le quali in questo momento la strategia degli Stati Uniti si è irrigidita fino a cercare di far cadere governi come quello di Nicolás Maduro. È vero che il semplice trascorrere del tempo gioca contro gli interessi di Washington. Oppure può aver influito l’annuncio, fatto dal ministro della difesa russo Sergei Shoigu, di aver avviato trattative per installare basi militari a Cuba, in Venezuela e Nicaragua, un negoziato che il Pentagono deve conoscere da tempo? (Russia Today, 26/2/14).

Di certo i presunti ospiti delle basi russe hanno smentito nei giorni scorsi l’annuncio di questa eventualità, ma che altro potevano fare? Un accordo del genere sarebbe invece l’evoluzione ragionevole degli importanti legami politici e militari che quei tre paesi mantengono da anni con Mosca.

Apparentemente, la Casa Bianca sta verificando la risposta dei suoi alleati. Questa è almeno la lettura che ne fa il Laboratorio Europeo di Anticipazione Politica nel suo bollettino mensile, dove segnala che la crisi sull’Ucraina è il modo di evitare un’alleanza Russia-Unione Europea per la quale la Germania sembrava propendere. L’imbarazzante atteggiamento di sostegno ai neonazisti ucraini da parte degli Stati Uniti e di Bruxelles fa parte di una strategia consistente nel “ricostruire la cortina di ferro nel 2014 e isolare l’Europa da tutte le dinamiche attuali dei paesi emergenti che ci uniscono alla Russia, così come l’Ucraina ci univa alla Russia” (Geab No. 83, 15/3/14).

La crisi europea attuale è il secondo capitolo dell’attacco che l’euro ha sofferto dal 2010, proseguito con il progetto T-Tip, il Trattato Transatlantico su commercio e investimenti e, secondo il citato think thank, “obbligarci a comprare lo shale gas statunitense”, che non può essere venduto senza un accordo, il che chiuderebbe il cerchio dell’”annessione dell’europa alla zona del dollaro”.

In America latina stiamo vivendo la terza transizione egemonica. Per avere un’idea delle strade che potrebbe prendere l’attuale transizione, non possiamo avvalerci dell’aiuto di manuali ma della ricca esperienza storica dei nostri popoli sì, un’esperienza segnata da potenti protagonismi popolari, indigeni e neri come anche da tradimenti, massacri e genocidi. Ancora una volta, la luce del passato ci illumina.
Ricapitoliamo: la prima transizione si verificò approssimatamene tra il 1810 e il il 1850 e pose fine alla fortuna del dominio spagnolo e portoghese per istituire l’egemonia britannica.

Dove comandavano i vicerè della corona spagnola, nacquero repubbliche dominate dall’oligarchia creola fondata sulle proprietà terriere di esportazione agricola e sul libero commercio. Questa transizione schiacciò le rivoluzioni de abajo (delle fasce sociali più basse della gerarchia sociale, ndt): le rivolte di Túpac Amaru  y Túpac Katari a Cuzco e nell’attuale Bolivia (1780-1781), la rivoluzione haitiana (1804) e le lotte indipendentiste più radicali come, tra le altre, quelle guidate da José Artigas nel sud e da Miguel Hidalgo e José María Morelos nel nord.

La seconda transizione egemonica, quella dal dominio britannico a quello statunitense, avvenne tra l’inizio della Prima Guerra Mondiale (1914) e la fine della seconda (1945) e fu preceduta dalla Rivoluzione Messicana (1910), con pietre miliari come la rivoluzione boliviana (1952), l’insurrezione del proletariato argentino (17 ottobre del 1945) e l’assassinio di Jorge Eliécer Gaitán, che inaugurò le Violenza colombiana (1948-1958).

In questo periodo nascono nuove istituzioni, partiti di sinistra e sindacati in particolare, dove si organizzano lavoratori e contadini divenuti la forza motrice del cambiamento sociale, occupano il posto dei precedenti montoneras delle guerre per l’indipendenza. Malgrado le loro vittorie, los de abajo si videro nuovamente messi da parte, non più per i nuovi americani (creoli, ndr) sopraffatti dal colonizzatore ma per l’alleanza tra la borghesia industriale e lo Stato nazione, con diverse varianti nei distinti paesi, che si sostenne su un certo sviluppo manifatturiero destinato a sostituire le importazioni.

È probabile che l’attuale transizione sia cominciata, in senso lato, con il Caracazo del 1989, che, per quel che riguarda l’importanza storica, possiamo senza esitazioni paragonare alla rivolta di Túpac Katari. Il collegamento di insurrezioni e rivolte è ben noto: tra il primo gennaio del 1994 e la manifestazione a difesa del Tipnis (Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro Sécure) in Bolivia (2011) si sono registrate due dozzine di mareggiate popolari che hanno modificato i rapporti di forza nella regione.

Non ho il minimo dubbio sul fatto che los de abajo siano in condizioni di sconfiggere los de arriba (quelli che stanno sopra, ndt), sebbene questi siano alleati dell’impero. Le  ultime tempeste in Venezuela mostrano due novità: un alto livello di violenza e il coinvolgimento paramilitare proveniente dalla Colombia in appoggio a una destra che conta sul sostegno della classe media, in particolare di operatori professionali e tecnici il cui modo di vita è sempre più vicino a quello della borghesia.

Il principale problema che si può intravedere all’orizzonte è che si ripeta la sequenza delle due transizioni precedenti: cioè che dello sperpero di vite e dei successi de los de abajo sul campo di battaglia si appropri per utilizzarli ai propri fini un arriba (un sopra, una elités) riconfigurato per perpetuare la dominazione. Per evitarlo, la prima cosa da fare è domandarci chi sono i creoli e i borghesi di oggi, coloro che, acquattati durante le mareggiate popolari, facendo surf sulle ondate de los de abajo, si possano trovare poi in condizione di trasformarsi in una nuova classe dominante.
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di Raúl Zibechi


Fonte: la Jornada.
Titolo originale: America Latina en la transición egemónica

Traduzione per Comune-info m.c.
http://comune-info.net/2014/03/cera-una-volta-america/

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