giovedì 27 marzo 2014

L’Italia nucleare: 8 impianti e 55mila metri cubi di scorie da smaltire

Il Giornale OnlineSono circa 36mila i metri cubi di rifiuti radioattivi medici, di ricerca e industriali

L’Italia deve procedere allo smantellamento delle centrali nucleari, degli impianti di produzione del combustibile nucleare e degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di Trino (VC), Caorso (PC), Latina (LT), Garigliano (CE), Bosco Marengo (AL), Saluggia (VC), Casaccia (RM) e Rotondella (MT), nonché ad avviare le attività di chiusura del ciclo del combustibile nucleare. Si tratta di attività che produrranno circa 55.000 m3 di scorie radioattive, delle quali circa 10.500 m3 ad alta attività e altri 44.500 m3 a media e bassa attività. A questo vanno aggiunti i rifiuti radioattivi a bassa, media ed alta radioattività (provette, flaconi, siringa, guanti, indumenti contaminati, sorgenti per teleterapia etc…) prodotti da attività diagnostiche e terapeutiche di medicina nucleare, ma anche di macchinari contaminati e dispositivi utilizzati per la ricerca in campo medico e farmacologico, oltre che da specifici settori industriali. Si tratta per l’Italia di circa 15.000 m3, dei quali più di 3.000 m3 ad alta attività e nei prossimi anni se ne aggiungeranno altri 20.500 m3 circa, di cui oltre 1.500 m3 ad alta attività, con un trend di crescita di 500 m3 all’anno.

La Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile evidenzia che «La quantità complessiva di rifiuti a bassa, media e alta attività da smaltire è dunque di oltre 90.000 metri cubi. Attualmente i rifiuti radioattivi prodotti quotidianamente sono raccolti presso i siti di produzione, mentre quelli derivanti dal settore sanitario, della ricerca e dall’industria sono detenuti in aree di stoccaggio provvisorio. Una situazione complessiva che richiede una soluzione allineata ai migliori standard internazionali di sicurezza. Un fenomeno importante che pone con forza il problema di una corretta e sicura esecuzione delle attività di decommissioning e della gestione e smaltimento di questa tipologia di rifiuti. La Direttiva europea 2011/70 Euratom ha imposto ad ogni Stato membro la realizzazione di un deposito che sia in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali».

Con il recepimento di questa direttiva l’Italia aveva previsto, con il decreto legislativo 31/2010, la realizzazione in un Deposito nazionale destinato «all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari e allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari». Il Deposito nazionale dovrebbe essere realizzato all’interno di un Parco tecnologico finalizzato alla ricerca di soluzioni per la definitiva messa in sicurezza delle scorie nucleari. «Un quadro di interventi imponente – sottolineano alla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – non solo perché restituirà definitivamente territorio libero da vincoli radiologici alla collettività e creerà condizioni di maggiore sicurezza rispetto all’attuale situazione, ma anche perché prevede investimenti stimati in circa 2,5 miliardi di euro e tempi di realizzazione di perlomeno 5 anni».

Bisogna anche ricordare che la direttiva Euratom chiede più trasparenza e impone che gli Stati membri assicurino che «la popolazione abbia le necessarie occasioni di effettiva partecipazione ai processi decisionali concernenti la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi conformemente alla legislazione nazionale e agli obblighi internazionali».

Quindi il processo decisionale riguardante il decommissioning, la gestione dei rifiuti radioattivi e la realizzazione del Parco tecnologico e del Deposito nazionale sarà molto articolato e complesso e richiederà da parte delle istituzioni momenti di confronto, di informazione e di formazione, ma anche di ascolto dei cittadini. Per questo scopo la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, in collaborazione con la Sogin, ha deciso di istituire un Osservatorio per la chiusura del ciclo nucleare che viene presentato come un organismo che «si propone di contribuire a una corretta informazione scevra da condizionamenti su questa tematica ponendosi l’obiettivo di approfondire gli aspetti tecnici e tecnologici, nonché le implicazioni economiche, sociali e ambientali delle attività di bonifica dei siti nucleari e di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi».

I compiti che si è dato l’osservatorio sono quelli di: Raccogliere, elaborare e contribuire alla diffusione delle informazioni, garantendone l’accessibilità ai soggetti interessati; Supportare, monitorare e garantire un corretto sviluppo del processo di coinvolgimento degli stakeholder in materia di smantellamento dei siti nucleari, gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e localizzazione, progettazione e realizzazione del Parco tecnologico e del Deposito nazionale; Esprimere osservazioni e redigere relazioni informative sulle attività di decommissioning, di gestione dei rifiuti radioattivi, nonché sul recepimento delle direttive europee e sulle normative nazionali in materia».

Entro giugno l’Osservatorio si propone di realizzare: Approfondimenti sui dati relativi alla produzione dei rifiuti radioattivi e alla loro catalogazione; Benckmarking sui criteri di localizzazione utilizzati negli altri stati europei; Seminario sui criteri di localizzazione dell’Ispra e sul recepimento della direttiva europea 2011/70/Euratom; Eleborazione di strumenti e modalità di coinvolgimento degli stakeholders individuati; Definizione del programma delle attività per la seconda metà del 2014.

Il presidente dell’Osservatorio, Stefano Leoni, conclude: «Trovare una soluzione ad una situazione precaria e insicura, come quella in cui si trova la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, è un atto dovuto. È una responsabilità di tutti noi, anche di chi, come me, ha combattuto per la chiusura delle centrali nucleari. È questo lo spirito che guiderà l’attività dell’Osservatorio, non solo per garantire la sicurezza per i prossimi anni, ma anche per le generazioni future. Solo una scelta condivisa e responsabile potrà permettere al nostro Paese di chiudere il ciclo nucleare. Non bisogna inoltre dimenticare che secondo i criteri assunti dall’Onu il decommissioning del nucleare è considerato green economy e per il nostro Paese significherebbe un investimento di circa 2,5 miliardi di euro».

 

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