martedì 15 aprile 2014

Pazienti e farmaci: quei quattro miliardi (quasi) sprecati


Solo il 41% dei pazienti rispetta le prescrizioni del medico e segue correttamente la terapia
A tanto ammonta la spesa per medicine antipertensione pagate dal Servizio Sanitario Nazionale: una ricerca rivela che solo il 41% dei malati le assume correttamente. Vanificandone l’utilità e creando un danno alle casse pubbliche. Ma il problema della “bassa aderenza” si estende a molte altre malattie

Tangenti per aumentare le prescrizioni Novartis nel mirino della giustizia Usa

Rispettare le prescrizioni di chi ci sta curando è doveroso. Ma notizie come questa non aiutano a fidarsi della categoria (e di conseguenza ad aumentare l’aderenza ai farmaci): la Novartis, colosso svizzero con un fatturato da 50 miliardi di dollari (una cifra superiore al Pil della Slovenia), è finita nel mirino del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per la terza volta in pochi mesi. La società di Basilea è accusata stavolta di aver spinto la catena di farmacie e servizi sanitari BioScrip ad aumentare le vendite dell’Exjade, farmaco usato per tenere sotto controllo i livelli di ferro nei pazienti emotrasfusi. Secondo il procuratore federale dello Stato di New York, Preet Bharara, Novartis ha convinto BioScrip a contattare i pazienti che non rinnovavano le prescrizioni del farmaco, promettendo quote maggiori sulle vendite. «In questo ha trasformato i farmacisti in personale di vendita del proprio farmaco», ha denunciato Bharara. La denuncia, avvenuta a inizio gennaio, è solo l’ultima di una serie di iniziative che vedono la giustizia federale Usa scontrarsi con la multinazionale elvetica, considerata come la causa dei milioni di dollari di pagamenti per prescrizioni inutili di farmaci effettuati dai programmi di assistenza sanitaria statale Medicare e Medicaid. Ad aprile 2013 erano state presentate altre due denunce.

In quell’occasione Novartis fu accusata di invitare i medici a tenere conferenze, lautamente pagate, per illustrare le prestazioni di alcuni prodotti farmaceutici, come gli antipertensivi Lotrel e Valturna e l’antidiabetico Starlix durante eventi che sarebbero stati in realtà puri viaggi di piacere. Inutile dire che, in cambio, i sanitari dovevano aumentare le prescrizioni di quei medicinali. 

Quello che stiamo per raccontare è un apparente controsenso. Soprattutto considerando la crisi che ancora morde il Paese e i milioni di italiani che rinunciano a farmaci e cure mediche perché non possono permettersele (sono 5 milioni secondo l’ultimo Rapporto Istat sulla povertà). Eppure allo stesso tempo c’è chi le medicine se le fa prescrivere, spesso le acquista (direttamente o, più di frequente, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale), e poi non le usa. O almeno le usa male. In termini tecnici si parla di bassa “aderenza alle terapie”, il fenomeno che spinge molti pazienti a invocare l’aiuto del medico, ma a non rispettare poi le sue consegne. Un danno alla propria salute, ovviamente. Ma, se non si vuole continuare a gettare al vento denaro pubblico, è il caso di indagare anche quale sia l’impatto economico del fenomeno. Perché la sua portata è tutt’altro che marginale.

Un danno collettivo. Nascosto ma enorme
Dati su tutte le malattie non esistono. Ma gli studi portati avanti finora da medici ed economisti su singole patologie permettono comunque di lanciare un grido d’allarme: la bassa aderenza mette a dura prova l’efficacia delle cure. Ultima in ordine di tempo l’analisi pubblicata sullo European Journal of Health Economics da un pool di ricercatori guidati da Francesco Saverio Mennini, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. Uno studio particolarmente significativo, perché compara i risultati di cinque Stati europei e si concentra sui farmaci antipertensione: la categoria più utilizzata nel 2012, con una spesa di 4,3 miliardi di euro, dei quali quasi 4 pagati dallo Stato (68 euro a testa). I risultati sono impressionanti: solo il 41% dei pazienti rispetta le prescrizioni del medico e segue correttamente la terapia. «Le conseguenze sono gravi – spiega Mennini – sia dal punto di vista medico, perché una cura seguita male può produrre reazioni avverse o essere inefficace, sia dal punto di vista economico, perché il paziente farà nuovamente ricorso ad ambulatori e ospedali».

Un costo per la collettività per nulla marginale. «Nella ricerca abbiamo calcolato solo i costi diretti per il SSN. Portare l’aderenza dal 41 al 70%, livello considerato accettabile per questo tipo di patologia, darebbe un risparmio netto di 100 milioni in 10 anni (vedi ). A queste cifre andrebbero poi aggiunti i costi indiretti, legati alla perdita di produttività e alla spesa previdenziale per assegni di invalidità e inabilità».

Il fenomeno, a dire il vero, non è solo italiano. Il tasso di aderenza in Spagna è al 40% e in Francia al 39%. Ma mai come in questo caso il male altrui non fa il bene proprio. Anche perché lo spread con altri Stati è anche in questo caso impietoso (la Germania ha un’aderenza al 67%). E il problema non si limita agli antipertensivi. «Una ricerca del 2009 sulla sclerosi multipla calcolava nel 40% i pazienti con comportamenti discontinui», aggiunge Mennini. Peggio ancora per i farmaci antidepressione (quarta categoria più acquistata, per una spesa di 3,3 miliardi, dei quali 1,4 a carico dello Stato): l’aderenza si ferma poco sotto il 30%.

Germania e Svizzera calcolano gli sprechi
«In Svizzera Santésuisse, associazione che riunisce le assicurazioni malattie, ha calcolato in mezzo miliardo di franchi (circa 400 milioni di euro) i costi supplementari provocati dalla bassa aderenza» ha rivelato il governo federale elvetico in risposta a un’interrogazione parlamentare. «In Germania la DGbV, Società per l’assistenza sanitaria orientata al cittadino, stima che la cifra si aggiri sui 2,3 miliardi, mentre la federazione tedesca dei farmacisti valuta in 10 miliardi le conseguenze finanziarie della cattiva assunzione dei farmaci». Comprensibile che in molti inizino a interrogarsi su cause e possibili soluzioni. «La bassa aderenza ha molti padri », spiega Graziano Onder, geriatra dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

«È causata da reazioni avverse al farmaco che spingono ad assumerlo controvoglia, da una decisione consapevole del paziente che, appena si sente meglio, smette di prenderlo. Ma molto spesso capita semplicemente di dimenticarsene o di non aver capito bene le indicazioni del proprio medico». Una situazione per nulla infrequente, soprattutto tra i pazienti anziani (il 20% della popolazione, ma il 60% dei consumatori di medicinali). «L’11% di loro dovrebbe ricordarsi di prendere dieci pasticche per altrettante patologie » denuncia Onder. «I comportamenti inappropriati sono in tal caso praticamente inevitabili. Serve quindi un ripensamento radicale dell’approccio prescrittivo da parte dei medici e una revisione delle linee guida dell’Agenzia europea del farmaco. Nel caso dei medicinali spesso less is more».

Oltre a questo, molte speranze sono legate all’introduzione delle “polypills”: un’unica pasticca per più patologie. «Ma vanno superate le barriere lobbistiche delle aziende che temono di perdere utili», spiega Onder. Non a caso i test più avanzati sono stati portati avanti nei Paesi più poveri, a partire dall’India. E c’è poi da responsabilizzare i pazienti, sottolineando una verità ineludibile, anche se scomoda: gli sprechi, nella sanità, non sono figli solo di manager incapaci.

Intrecci tra medici e Bih Pharma: ecco il portale che li svela
Nel mondo, spesso magmatico, di legami tra industria farmaceutica e personale medico un sistema per sapere di più di chi ci sta curando c’è: l’agenzia di stampa statunitense ProPublica ha realizzato un motore di ricerca – Dollars for Docs – che permette ai cittadini di sapere se il proprio medico ha ricevuto pagamenti dalle aziende, specificando anche quando, perché e di quale importo.

La creazione di Dollars for Docs è stata resa possibile dalla decisione di quindici imprese di rendere pubblici i pagamenti legati alla promozione dei loro farmaci. Una scelta dettata dal timore di iniziative legali e dall’imminente entrata in vigore del Sunshine Act, che da quest’anno renderà obbligatoria la pubblicazione di queste informazioni. Il database di ProPublica contiene per il momento due milioni di pagamenti a partire dal 2009. Per ognuno di essi è possibile risalire al farmaco oggetto della promozione e ai servizi resi dal medico.

Si può scoprire per esempio che il proprio medico ha incassato centinaia di migliaia di dollari. 22 professionisti risultano aver superato i 500mila dollari ricevuti dal 2009 ad oggi. Per qualcuno le cifre toccano il miliardo.


Emanuele Isonio


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