giovedì 22 maggio 2014

ARCHETIPI di Corrado Malanga

Questa è una tabella interpretativa in base al significato degli archetipi: detta così questa frase risulterà totalmente incomprensibile alla maggior parte dei lettori.
Voglio cominciare con una cosa incomprensibile per far capire da un lato come non sia immediata la definizione di “archetipo” e, dall’altro, come tale definizione possa essere molto utile nella comprensione dell'Universo, una volta capito il meccanismo che ne è alla base.

Devo parlare di archetipi perché ho decisamente inflazionato l’uso di questo termine durante la stesura dei miei ultimi lavori e molte persone mi hanno chiesto di essere più chiaro sul significato del termine, che ai più risulta evidentemente ostico.

Gli archetipi entrano nella vita di tutti i giorni non solo nella descrizione della realtà che siamo abituati a percepire, ma anche nella descrizione olistica dell’Universo stesso, essendo gli archetipi sia in grado di interagire con il lobo sinistro del nostro cervello, atto a manipolare lo Spazio, il Tempo e l'Energia, sia di essere ben interpretati soprattutto dal lobo destro, che è, come vedremo tra poco, in grado di gestire le emozioni.

Avere dunque a disposizione degli strumenti non solo per distinguere la realtà virtuale da quella reale, ma per decodificare tutti e due questi aspetti della nostra esistenza, vuol dire poter capire cosa abbiamo attorno a noi ed interagire meglio ed in modo più completo con il “resto” della Creazione.
Archetipo significherebbe: Primo esemplare assoluto ed autonomo, un modello primitivo delle cose del quale le manifestazioni sensibili della realtà non sono che filiazioni o imitazioni.
 
Archetipo viene inteso anche con il significato di Idea.

Per Carl Gustav Jung archetipo è il contenuto dell’inconscio collettivo, cioè le idee innate o la  tendenza ad organizzare la conoscenza secondo modelli predeterminati innati. 
In lingua greca antica archetipo vuol dire, infatti, “Primo esemplare”.
Quando si dice che un archetipo è un’Idea, si sottintende che l’idea è originale, cioè che non è partorita da niente, ma partorisce ciò che da essa deriva.

Va da sé che il concetto è estremamente importante in tutti settori del nostro essere.
Per esempio: se si vuol capire come funziona il pensiero umano, ma non solo, direi anche qualsiasi forma di pensiero - sia animale sia alieno al nostro sistema cognitivo - e si conosce come si produce un archetipo, chi o cosa lo crea e con quale meccanismo l’archetipo, a sua volta, crea il resto, si comprenderanno appieno i metodi per comunicare con altre forme di vita e non solo con i propri simili. Già, perché in tutto l’Universo gli archetipi sono sempre gli stessi ed una formica ha in sé gli stessi archetipi dell’uomo.

Gli archetipi sono dunque i mattoni del linguaggio universalmente parlato, ma questa definizione non rende giustizia alla loro realtà.

La vera definizione degli archetipi potrebbe essere la seguente:
Archetipi sono i mattoni con cui è costruito e si costruisce l’Universo.

Questa definizione risulta essere decisamente più ampia e generale di altre lette qua e là e comprende anche quella data in precedenza, con la quale non è in contrasto. Infatti tutto ciò che viene fatto crea un’interazione ed in questa parola è sintetizzato il significato di “linguaggio”, il quale, appunto, è essenzialmente un’interazione.Se un elettrone colpisce un protone, ne nasce una reazione nucleare, ma i fisici moderni tendono a dire che l’elettrone ha portato con sé delle informazioni che ha “scaricato” sul protone: in parole povere le due particelle subatomiche, urtandosi, si scambierebbero delle informazioni.
Dunque tutto ciò che regola il linguaggio tra cose, regola in realtà le interazioni tra diesse, quindi gli archetipi regolano le interazioni tra cose.

Vale a dire pure che l’Universo è costituito con un certo numero di mattoni, gli archetipi appunto, ma tali archetipi sono quelli che regolano tutto: dal linguaggio alle reazioni subatomiche.

Se ne deduce che, se si capiscono gli archetipi, si saprà parlare con le cose dell’Universo.

San Francesco era un mistico, prima che un santo per la Chiesa Cattolica, ed è la figura del mistico che in questo momento ci interessa. Buddha era un mistico a sua volta.

Il primo si distingueva perché parlava con gli animali ed il secondo perché l’Universo parlava a lui. Ma questo come sarebbe stato possibile? Se l’esistenza degli archetipi così come è stata proposta è vera, i due personaggi sopra citati avrebbero avuto un’inconscia tendenza all’uso degli archetipi per la comprensione del Tutto.

Chi avrebbe insegnato loro quell’importante linguaggio universale?

Nessuno, ovviamente, perché dentro ognuno di noi sarebbero già scritte le regole per parlare questo linguaggio. Vedremo tra breve che è proprio così.


LA STRUTTURA DEL LINGUAGGIO
Com’è strutturato il linguaggio umano?

Ovviamente qualcuno può pensare che il linguaggio umano abbia subìto una strutturazione evolutiva in senso storico e che gli uomini della pietra emettessero suoni gutturali e conoscessero solo poche espressioni, come gli animali. Oggi, invece, il linguaggio si sarebbe evoluto e noi potremmo parlare e farci capire anche da un delfino.

Va detto che il linguaggio originario, quello di base, ovvero l’idea di linguaggio, non subisce variazioni nel tempo, perché è fuori dal tempo. Se questo è vero, è errato supporre che l’idea di linguaggio possa evolversi in qualsivoglia direzione. D’altra parte è innegabile che il linguaggio che usiamo oggi sia decisamente più complesso di quello che usavano gli uomini della pietra.

Bene. facciamo chiarezza: “più complesso” non vuol dire “più evoluto”, ma solo “più specializzato”. Uno strumento si dice “più specializzato” quando serve molto bene per una cosa sola. Il massimo della specializzazione è essere capaci di fare, in modo perfetto, solo una cosa. In pratica essere specializzati significa non saper fare praticamente niente, se si esclude, per esempio, il grattarsi perfettamente un orecchio.

In questo senso la freccia del tempo non è diretta secondo l’evoluzione, ma secondo la specializzazione degli esseri contenuti nell’Universo.

Non è nemmeno vero che esistano differenti tipi di linguaggi più o meno evoluti, ma esistono differenti forme, più o meno specializzate, di un unico linguaggio.

Vediamo infatti che il linguaggio fonemico che utilizziamo tutti i giorni è una rielaborazione di altri tipi di espressioni più antiche: il fonema, infatti, deriva dal linguaggio iconografico.

Prima di parlare l’uomo disegnava: basterebbe questa osservazione a far capire cosa voglio dire, ma c’è di più. In realtà quando, per esempio, scriviamo la lettera alfabetica “O” potremmo chiederci perché, nella nostra cultura, al fonema “ooooo” si sia abbinata la forma di un cerchio. La risposta è semplice: perché nell’emettere il fonema “oooo” atteggiamo la forma della bocca a cerchio, appunto la forma attribuita alla lettera “O”.

Inconsciamente le diverse culture della Terra hanno abbinato un fonema ad un disegno di partenza. Il disegno era qualcosa di più primitivo, nel senso che veniva prima del fonema, ma più primitivo non significa meno evoluto, vuol semplicemente dire meno specializzato.

Ciò che è più specializzato è anche meno comprensibile o, comunque, comprensibile solo per coloro che hanno lo stesso grado di specializzazione. Se conosco solo il giapponese, posso parlare bene solo con giapponesi ed il resto del mondo sarà privato della possibilità di comunicare con me.

Se questo è vero, il fonema rappresenta il gradino più basso delle possibilità di farsi comprendere da una moltitudine, anche se fornisce l’opportunità di farsi capire, senza errori, da uno ristretto gruppo di persone, da un clan.

Che il disegno sia una forma di comunicazione più ampia è evidente. Davanti a certi tipi di disegni molti sono in grado di comprendere il loro contenuto informazionale, anche se emergono alcune difficoltà interpretative quando lo stesso disegno viene presentato a due culture ancora molto distanti tra loro. È dunque innegabile che chi parla per immagini, o per meglio dire per icone, sarà compreso, in modo forse inesatto, da un numero molto maggiore persone rispetto a chi che usa un linguaggio fonemico.

Infatti nell’attuale società, nella quale ormai solo pochi leggono libri e molti tendono ad esprimersi con una serie di elementari suoni gutturali quasi del tutto privi di struttura grammaticale, quando dobbiamo farci capire usiamo le immagini.

Il dispositivo che produce immagini è, per antonomasia, la televisione. In un contesto in cui il potere politico usa il linguaggio fonemico e tende a presentare uomini dotati di cultura sempre più scarsa, il numero di espressioni verbali utilizzato tende a diminuire drasticamente.

Il potere ha raggiunto il suo scopo, ma d’altra parte, quando il potere stesso ha l’esigenza di comunicare ai suoi sudditi cosa fare e come votare, deve utilizzare un semplice linguaggio di massa ed è proprio in quell’occasione che utilizza la televisione: poche immagini hanno un impatto anche emotivo più potente di qualsiasi discorso.

Così la lingua inglese ha il sopravvento sulle altre lingue per la sua immediatezza, ovviamente a scapito del numero di espressioni utilizzabili ai fini di una comprensione culturalmente più ricca. Contro ottantamila parole di un normale vocabolario inglese ce ne sono almeno centoventimila nell’equivalente vocabolario italiano.

Qui va fatta un’ulteriore precisazione: il termine cultura non ha niente a che fare con l’evoluzione di un linguaggio, ma indica solo quanto il linguaggio che si utilizza sia ben conosciuto. Non si deve quindi pensare che cultura e specializzazione siano due termini che vadano di pari passo.

Un contadino dell’Amazzonia che conosce solo trecento parole può essere più specializzato di un Africano che conosce tutto lo Swahili, ma sicuramente quest'ultimo sarà più colto.


ALLE ORIGINI DEL LINGUAGGIO
Allora, se con i disegni si riesce a comunicare, anche se in modo imperfetto, con un maggior numero di persone, cerchiamo di tornare indietro nel tempo e vediamo cos’ha generato il disegno, l’icona, alla ricerca dell’Idea Originale che magari ci premetterà di esprimerci in modo più universale.

Il disegno nasce da un processo che il nostro cervello, sotto l controllo della mente, ha sviluppato in tempi molto recenti (milioni di anni). Prima del disegno c’è il Simbolo.
 Il Simbolo è una struttura ancora più primordiale: potremmo definirlo un disegno primordiale che contiene solo alcuni tratti grafici i quali non hanno apparentemente un senso immediato, ma risultano stranamente comprensibili ad una parte profonda della nostra coscienza.
Il simbolo è qualcosa che va al di là di un semplice disegno, ma è costituito da un’espressione comunicativa che ha a che fare con lo spazio che ci circonda. La gestione dello spazio che ci circonda è il meccanismo mediante il quale viene letto il simbolo.

Il simbolo è qualcosa di estremamente più primitivo, e quindi è più interpretabile. Può trattarsi di una posizione che il nostro corpo “simbolicamente” assume quando parliamo a fonemi. La posizione del corpo non vuole essere un sistema comunicativo in più per dare enfasi alle cose che diciamo, ma semmai è il contrario. Il vero linguaggio primordiale è il comportamento, non la fonemizzazione. 

In tutte le culture del globo, per esempio, gli Dei stanno in cielo e i mostri cattivi negli inferi.Così alziamo la testa in alto nel dire: “Che bella giornata oggi!”.

Facciamo il contrario abbassando la testa nel dire: “Oggi va proprio tutto male!”

Potremmo dire, in un certo senso, anche se ciò rappresenta una rielaborazione spaziale del concetto originario, che nel nostro DNA abbiamo l’informazione simbolica secondo la quale le cose buone stiano in alto e che le cose brutte in basso.

In grafomeccanica si sa perfettamente che la sfera dei sensi viene rappresentata dalla parte bassa della scrittura e la sfera degli ideali da quella alta.

Analogamente il pensiero viene identificato come nobile, mentre la maggior parte delle culture tende a dare al corpo un’accezione meno evoluta (dove “evoluzione” e “bene” appartengono alla stessa sfera simbolica).

Per questo si tende sovente ad accoppiare alcuni simbolismi che, invece, hanno strutture generatrici di base differenti.

Il bello è anche buono e viceversa; il cattivo è brutto. Ma ciò non è assolutamente vero!

Allora cosa significa: che il linguaggio simbolico sbaglia? Ma no!

Vuol dire che, quando siamo in contatto con una persona bella, questa ci sembra anche buona: ma questo accade perché si attribuisce a monte il significato sia di “bello” che di “buono” alla semplice accezione di positivo (o il contrario per l’accezione di negativo).
Il simbolismo rappresenta pertanto la chiave di lettura per leggere la posizione delle cose nello spazio!
Molti sono gli esempi che si possono citare per dimostrare ciò che in realtà si dimostra da solo: gli sciamani gettano a terra sassolini od oggetti vari, come ossa di piccoli animali, ed, a seconda della posizione che essi assumono, divinano, cioè tendono a reinterpretare la natura che li circonda in senso molto ampio, nel presente, nel passato o nel futuro.

C’è chi legge nelle macchie del caffè o nella forma delle gocce d’olio o chi fa le carte, distribuendole in un preciso spazio simbolico.

La posizione assunta dagli oggetti intorno a noi viene identificata con qualcosa che la natura ci vuol dire.

Questo processo di lettura è totalmente inconscio, cioè avviene ad un livello che non riguarda più il subconscio, bensì una sfera più profonda del nostro essere.
A questo livello si mescolano segnali che vengono dal subconscio e segnali che derivano dall’inconscio e, se da un lato il subconscio, con il lobo sinistro del cervello, tende a razionalizzare il tutto, l’esatto opposto fa l’inconscio , che non passa attraverso la razionalità, ma attraverso il sentire, il percepire l’universo senza le mediazioni fisiche o matematiche proprie della scienza.

A questo punto sta alla capacità del singolo saper ben comprendere quello che viene percepito, perché, se i segnali che vengono dal lobo destro e quelli che arrivano dal lobo sinistro non sono coerenti, il risultato dell’interpretazione finale sarà viziato dall’errore percettivo. L’incapacità dello sciamano di utilizzare appieno questo sistema sarebbe dovuta ad un forte intervento della sua seppur ridotta razionalità, la quale, inquinando fortemente la sua totale irrazionalità, lo confonderebbe sul vero significato del simbolo che sta leggendo e, di conseguenza, interpretando.


LO SCHIZOFRENICO E LA PALLINA ROSSA

La mancanza totale di subconscio produce un’errata interpretazione della posizione degli oggetti nello spazio, con conseguente incapacità a correlarsi con il mondo esterno.

La schizofrenia è un esempio eclatante, nel quale il principio noto come “relazione tra causa ed effetto” viene totalmente invertito: lo schizofrenico è capace di dire che, siccome mentre camminava per strada ha trovato per terra una pallina rossa, ne consegue che camminare per strada è pericoloso.

Analizziamo per un istante il processo mentale dello schizofrenico e scopriamo che per lui il colore rosso significa davvero archetipicamente pericolo, o meglio suscita in lui lo stato d’animo legato al sentirsi in pericolo. La mancanza di intervento del lobo sinistro, o comunque un cattivo uso del subconscio, lo spingono a cercare una spiegazione razionale ad un simbolismo. Non intervenendo la razionalità, egli non mette correttamente in relazione ciò che ha visto con quello che è successo. Solitamente il nostro cervello prima sente le cose con il lobo sinistro e poi con quello destro: in parole più semplici un essere umano normale pensa che prima esista una causa e poi, in seguito, un effetto. 
La causa è l’espressione della lettura della realtà virtuale da parte del lobo sinistro, il quale ha visto una pallina rossa, che è un segnale (realtà virtuale: Spazio, Tempo ed Energia). L’effetto viene dopo ed in questo caso è qualcosa che si attende accada. Sta nel futuro e viene percepito come sensazione di disagio (pericolo incombente, sensazione legata al sentire le cose con il lobo destro, precognizione, Realtà Reale). Chi è schizofrenico inverte il sistema di percezione e fa partire subito l’inconscio del lobo destro del cervello ed il risultato è: “Siccome ho paura, ecco che la natura me la conferma con un segno facendomi incontrare sul mio cammino una pallina rossa.”

Come interpretare questo fatto da un punto di vista generico? Semplice: siccome il sentire le cose è un modo per comunicare con l’Universo e siccome questo metodo è molto vicino all’archetipo che ha prodotto questa sensazione, si deve dire che questo è un messaggio reale, molto più reale della visione di una pallina rossa (realtà virtuale).

Nello schizofrenico manca però totalmente la capacità di mettere in relazione il sentire dell’inconscio con il comprendere del subconscio. Da ciò scaturisce una sola soluzione: lo schizofrenico vive un momento di paura che percepisce benissimo, ma al quale non sa dare una spiegazione cosciente e, per aggirare questo inconveniente strutturale del suo cervello, attribuisce la colpa (la causa) alla pallina rossa incontrata (che da effetto primario diviene causa iniziale). In questo esempio si nota che il linguaggio simbolico dei colori ha retto alla prova. La sensazione di paura è legittima ed il soggetto non sbaglia nessuna interpretazione del suo sentire. L’errore è dovuto alla sua incapacità di leggere la Realtà Virtuale nello stesso modo in cui legge la Realtà Reale. È facile che lo schizofrenico senta l’universo con grande sensibilità, ma che non capisca nulla di quello che sente, perché non è in grado di correlarsi con lo Spazio-Tempo che lo circonda: egli vive “gettato nell’inconscio” ed è estremamente emotivo.

Questo concetto era espresso dagli antichi Greci con l’archetipica espressione: ”I pazzi sono quelli che parlano con gli dei” ed oggi diremmo che sono le persone più vicine alla loro anima.

Tutto implica che il linguaggio degli archetipi possa essere compreso se l’essere umano ha la capacità di far ben funzionare sia il lobo destro sia quello sinistro del suo cervello, cioè che possieda due strumenti perfetti per leggere, rispettivamente, la Realtà Reale (Coscienza - immutabile) e la Realtà Virtuale (Spazio, Tempo ed Energia - modificabile).

INTERAZIONI ARCHETIPICHE

Il rapporto che esiste tra il fonema e la scrittura è simile a quello tra il linguaggio parlato e quello simbolico. Alle scuole elementari, quando si entra in aula, c’è la figura della foglia ed accanto la lettera “EFFE”. Il bambino prima apprende che quel disegno corrisponde ad una foglia e la ridisegna, poi, solo in un secondo tempo, si impadronisce della relazione che lega il disegno della foglia al simbolismo del segno grafico “effe”. Nella nostra cultura la lettera “effe” possiede un’espressione fonemica che, onomatopeicamente, ricorda il rumore dell’aria, del vento. Foglia, fonema, flight dall’inglese, il volare della foglia nel vento (Effe e Vu, due fonemi simili - nda) simbolicamente sono associati al suono della lettera effe e questo legame viene creato dalle nostre culture in modo assolutamente spontaneo.

Dunque per mezzo della posizione degli oggetti nello spazio possiamo parlare ad altri. Questo è il principio che la programmazione neurolinguistica applica quando esamina come ci si muove, per dedurre cosa pensiamo realmente. Così disegnare in alto a destra od in basso a sinistra nel foglio viene interpretato come un segnale del rapporto che noi abbiamo con il futuro o con il passato, con la sfera del pensiero o con quella dei sensi.

Il simbolo, quindi, creerebbe l’immagine e questa creerebbe il fonema.

In realtà c’è ancora un passaggio intermedio importante per stabilire cosa sia un archetipo.

Prima di creare l’immagine, il simbolismo crea il colore. Solo dopo si creerà l'immagine colorata. La creazione del colore è importante, perché ci suggerisce che si possa parlare tramite i colori. In effetti i nativi americani, che non conoscevano la scrittura, avevano un linguaggio a base di colori, una specie di codice estremamente funzionale nella sua interpretazione. Spielberg, nel suo film, “Incontri ravvicinati del terzo tipo” mostra un’astronave che, per comunicare con gli umani, muove forme colorate in rapida successione.

Sembra impossibile, ma il linguaggio dei colori è sicuramente più generale di quello delle immagini. Il test dei colori di Max Lusher, psicoanalista svizzero, parla chiaro: si può definire una persona sulla base de primi sei colori che sceglie a proprio piacimento.

Il colore, infatti, produce stimoli interni che possono colloquiare con il nostro inconscio meglio di una semplice immagine ed il colore è compreso da tutti, al di là della propria cultura.

Infatti, mano a mano che torniamo indietro, alla fonte della comunicazione, ci accorgiamo che le culture non vengono influenzate dal sistema comunicativo simbolico.

I colori hanno sempre un significato preciso, al di là del tempo e dello spazio.
Rosso uguale fuoco, aggressione, calore, ossigeno.
Bianco vuol dire “tutto pieno”, fresco, luce, impalpabile.
Azzurro significa cielo, meditazione, riposo, attesa.
Marrone è casa, terra, tradizione e così via.

Ancora esiste comunque, a questo livello, una certa interferenza culturale che comincia a modificare il segnale. In altre parole la cultura fa sì che si leggano gli stessi stimoli di colore in modo apparentemente diverso.


Per noi occidentali il bianco è vita ed il nero è morte. Per gli africani è il contrario.


Ma è facile capire che questo apparente contrasto nell’interpretare le cose dipende solo dal significato che si dà alla vita: simbolicamente la vita è il colore della propria pelle e la morte è sempre il contrario della vita.


Così come il colore si inserisce tra il simbolo e l'immagine, il suono si inserisce tra l’immagine ed il fonema. Invece di parlare, molti giovani della new-age con grossi problemi di comunicazione utilizzano un linguaggio comune più vasto e più facile da usare: la musica. Ma non bisognava certo attendere la new-age perché questo accadesse, bastava andare a verificare il significato che la musica ha per le tribù più primitive, nelle quali è più facile parlare con qualcosa di sicuramente meno evoluto e quindi più ricco di espressione.

Il suono apre una via d’accesso alla comunicazione che è più profonda della la parola.

Ne è un’indiretta dimostrazione l’applicazione della musicoterapia in psicoanalisi, come, del resto, anche la coloreterapia.

È evidente che più ci si allontana dall’espressione fonemica e ci si avvicina a quella simbolica, più il linguaggio utilizzato, divenendo generale, appare comprensibile inconsciamente a tutti. Lo psicologo tende ad utilizzare questi metodi perché così è più facile parlare con l’inconscio ed utilizza un linguaggio decisamente differente dal normale e più archetipico, come vedremo fra un istante.

Dunque il simbolo crea il colore; questo crea l'immagine, la quale crea il suono, che crea il fonema.

In ogni trasformazione il soggetto immette nel processo di trasformazione il contributo della propria cultura e così, pur partendo da un’unica fonte simbolica, si arriva ad una serie di linguaggi differenti, si arriva ad una Babele cosmica incredibile. Il cinese non parla con il giamaicano solo perché è abituato a parlare a fonemi. Il loro linguaggio è dunque tanto specializzato che solo esponenti dello stesso gruppo parlano quel linguaggio e si comprendono l’un l’altro, ma così facendo l’uomo perde la capacità di confrontarsi con il resto dell’umanità al di fuori del suo clan.


 MA COSA CREA IL SIMBOLO?
Il simbolo viene creato dall’archetipo ed eccoci finalmente giunti all’inizio del linguaggio, agli archetipi, i mattoni dell’esistenza.

L’archetipo, però, pone un problema: essendo un mattone fondamentale dell’Universo, contiene dentro di sé l’essenza della Realtà Reale e non quella della Realtà Virtuale (cioè mutabile), di cui si è già detto più volte.

Questo vuol dire che l’archetipo non può essere in nessun modo disegnato,visto, descritto, perché ognuna di queste azioni dipende dagli assi delloSpazio,delTempo e dell’Energia, ovvero da tutto ciò che la Realtà Virtuale è, ma che la Realtà Reale non è.
Va sottolineato che l’archetipo non rappresenta il linguaggio, bensì l’idea del linguaggio, cioè è quel “quid” che, attraverso un’operazione formale, agisce sulla Realtà Virtuale modificandola, interagendo con essa.
È sì vero che l’archetipo è a noi invisibile, ma è altrettanto vero che, come tra simbolo ed immagine c’è il colore, che serve per creare l'immagine, e come tra immagine e fonema c’è il suono, che serve per creare il fonema stesso, così tra l’archetipo ed il simbolo c’è la sensazione.
La sensazione è un concetto convenienza, emozione.
In questo caso non si sta più lavorando con il linguaggio che caratterizza il metodo di lettura dell'Universo tipico del lobo sinistro del cervello, che è basato su Spazio, Tempo ed Energia: non si sta comunicando nel campo della Realtà Virtuale, ma si sta utilizzando il lobo destro del cervello, cioè si sta comunicando nel campo della Realtà Reale.

La Realtà Reale non ammette cattive traduzioni, perché è l'origine.

Interpretazioni errate sono possibili nel linguaggio dei fonemi, ma già il simbolismo non permette che piccoli errori.

Il lobo destro del cervello, che viene utilizzato dall’anima per parlare alla mente umana e la cui funzione si esalta a livello di ipnosi profonda, non permette, infatti, che ci siano interpretazioni errate. L’inconscio non dice bugie, perché nel mondo degli archetipi esiste solo la realtà, non l’immagine distorta della realtà, ovvero la bugia.

Come primissimo risultato dell’operazione che un archetipo ha effettuato su di noi, possiamo registrare la presenza di emozione; gli archetipi costruiscono il simbolo attraverso l’emozione che essi sono in grado di produrre nel mondo del virtuale.
In altre parole l’archetipo agisce sulla virtualità producendo emotività, la quale viene letta soprattutto dall’anima e dall’inconscio.
Gli altri livelli di linguaggio servono per far parlare tra loro gli esseri viventi e per far loro comunicare le proprie virtualità.
L’archetipo serve, invece, per far dialogare tra loro le parti che compongono una sola unità, in breve per far dialogare Anima con le altre parti del Sé, cioè con la Mente, con lo Spirito e con il Corpo.

VANTAGGI E SVANTAGGI DELL’USO DEGLI ARCHETIPI

Il linguaggio archetipico ha dunque un vantaggio, descrive sempre la realtà, non inganna mai, è comprensibile da tutti gli esseri del cosmo e non c’è bisogno di imparare qualche strana lingua per parlare con una formica o con un alieno, perché tutti sono costruiti con gli stessi mattoni ed usano gli stessi archetipi.

Gli archetipi sono l’unico mezzo che noi possediamo per poter colloquiare con il nostro inconscio, perché sono il linguaggio primo e l'inconscio è nato prima del subconscio e del conscio.
Ma allora perché non utilizzare sempre soltanto questo tipo di linguaggio?

Perché “l’evoluzione” della specie umana ci ha portato in un’altra direzione, quella della specializzazione, a sfavore della comprensione. Conoscere bene una cosa sola è stato reputato meglio che sapere bene tutto e la politica del “divide et impera” dei governanti ha fatto il resto: meglio aver efficienti operai capaci di fare una cosa sola, piuttosto che persone capaci di fare tutto. Queste ultime sarebbero in grado di gestirsi da sole e non ci sarebbe più bisogno di nessun governante né di alcun governo.

Nessuno insegna agli esseri umani a comunicare con la mente e tutti dicono che ciò è impossibile, così l’uomo perde la capacità di colloquiare con l’Universo e non gli resta che affidarsi a qualche algoritmo, il quale, per quanto espressione di un linguaggio estremamente sofisticato, non gli permetterà mai di avere una visione olistica.

Ma alcuni, in certi momenti della loro esistenza, riscoprono, quasi per caso, la possibilità di comunicare con l’Universo per mezzo di archetipi.

Così, quando il subconscio dorme, durante il sogno per esempio, oppure quando è in ipnosi profonda, si può vedere l’Universo come in realtà è, al di là di quella cosa che i teosofi chiamano Maia, magia diremmo noi, cioè illusione.

Già antiche culture, come quelle degli Indiani dell’India o degli antichi Cinesi, oppure dei Maya, credevano che quello che percepiamo sia frutto di una visione distorta della realtà. Già ai tempi di Socrate si discuteva sulla differenza tra sogno e veglia e su quale dei due stati descrivesse la realtà. Oggi, se non ci fosse la fisica di Bohm che parla dell’Universo olografico, nessuno se ne ricorderebbe più.

Gli antichi uomini avevano meno algoritmi per la testa, ma più capacità di ascoltare l’Universo e ciò permetteva loro di avere sicuramente una visione più distaccata della realtà virtuale ed una percezione più precisa del confine tra scienza e magia, tra virtualità e realtà.

In questo modo scienziati come Kekulè si sono inventati di notte, sognando, la formula del benzene, dando il via alla chimica organica dei composti aromatici. Einstein ha visto nella sua mente la piegatura dello Spazio-Tempo ed ha ceato la teoria della relatività, ma la storia vera delle scoperte scientifiche è stracolma di esempi dai quali appare evidente che non è stato il ragionamento a produrre quelle invenzioni, bensì l’intuizione, che scaturisce da un contatto con l’inconscio: attraverso, cioè, quella porta che conduce all’Universo.

In questo contesto arrivare alla scoperta scientifica significa avere avuto l’illuminazione: un momento di buddhità che solo il linguaggio archetipico può sviluppare.

Non siamo più capaci di utilizzare appieno questo utile strumento, ma durante la nostra vita ne utilizziamo solo una piccolissima parte a livello inconscio e non ce ne accorgiamo nemmeno, così passiamo, a volte, la nostra esistenza cercando di capire cosa sono i fenomeni paranormali, oppure come mai abbiamo avuto sogni premonitori e perché talvolta le premonizioni non si avverino: cerchiamo di razionalizzare, cioè di usare il lobo sinistro, in un campo che invece richiede solo ed esclusivamente l’utilizzo di quello destro.


FUNZIONAMENTO VIRTUALE DELL’ARCHETIPO
Essendo l’archetipo l’idea prima, dobbiamo andare a verificare come questa idea si sia formata e come può produrre variazioni della nostra realtà virtuale. Non è possibile, in questo lavoro, parlare degli archetipi in modo archetipico, perché non dovrei utilizzare nessuno dei linguaggi che sto utilizzando: fornirò quindi un quadro del meccanismo mediante il quale l’archetipo funziona, sulla base di similitudini del tutto virtuali.

L’archetipo è qualcosa che assomiglia ad un operatore matematico che opera su di una certa grandezza la quale descrive una parte di Universo.

Un operatore matematico altro non è, per esempio, che il segno di addizione o quello di sottrazione, quello di divisione o quello di moltiplicazione. Ma non ci sono solo questi operatori più comuni, esistono operatori che noi stessi definiamo a piacere per risolvere alcuni problemi matematici.
L’operatore è costruito da noi per alterare alcune grandezze numeriche che descrivono qualche grandezza fisica. Esistono operatori che agiscono direttamente sulle grandezze fisiche. Questi sono, ad esempio, i cosiddetti operatori geometrici.
L’operazione di rotazione di un cubo è di tipo geometrico: si applica al cubo l’operatore rotazione ed esso ruota. Lo si fa nel computer, ma anche, sia pure in modo molto meno intuitivo, su di una lavagna utilizzando simboli matematici.

Gli archetipi ricordano operatori matematici che operano sulla realtà virtuale, cioè sullo Spazio, sul Tempo e sull’Energia e possono modificare, mediante regole precise, le apparenze di Spazio, Tempo ed Energia o, per dirla con altre parole, dei campi elettrico, magnetico e gravitazionale.

Gli operatori matematici devono operare su qualcosa, altrimenti, se presi da soli, non hanno nessun significato. Il segno matematico di addizione (+), se posto tra due numeri, li trasforma in un nuovo numero risultante (somma). Analogamente l’operatore archetipo opera su luoghi di punti dell’Universo e ne altera le componenti Spazio, Tempo ed Energia secondo regole fisse.

Una regola fissa, per esempio, è quella che asserisce che non si crea niente dal nulla, ma che si può trasformare qualcosa in qualcos’altro, o, per meglio dire, non si trasforma niente, ma si può alterare il modo in cui le cose si manifestano. Così qualcosa che si presenta come massa può venire trasformata dagli archetipi in energia, mutando il modo di mostrarsi all’osservatore.

Questo tipo di approccio è ben noto all’interno della Teoria del Superspin, dove l’unico operatore esistente è l’operatore rotazione e per mezzo di esso si può descrivere tutto ciò che compone l'Universo. Variando la direzione della rotazione di un punto dell’Universo, che è collocato in un dominio Spazio-Tempo-Energia, cambia, di conseguenza, il modo che questo punto ha di presentarsi, di “manifestarsi” all’osservatore.

L’unico atto che l’operatore archetipo non può compiere è quello della creazione.

In realtà la creazione appare più come far “vedere” o “non vedere” una cosa.

Quando non la si vede si dice che non c’è, ma se questa appare si dice che è stata creata dal nulla.
Nella meccanica degli archetipi una cosa qualsiasi è resa visibile se interagisce con qualcos’altro, ma se non interagisce con niente, non viene resa visibile (la mancanza di interazione equivale alla mancanza di informazione trasportata, alla mancanza di linguaggio, alla mancanza di archetipo). Dunque l’archetipo, operando sul dominio Universo, non crea niente, ma rende solo visibili cose che senza di esso non si manifestavano.

L’archetipo è un operatore che rende possibile il manifestasi dell’Universo in tutte le sue possibilità.

Questa definizione, più matematica, potrebbe essere più gradita al mondo della scienza.


QUANTI SONO GLI ARCHETIPI?
Questa domanda equivale a chiedere quante sono le operazioni di trasformazione della Realtà Virtuale che possiamo fare. C’è chi se l’è già chiesto: filosofi, esoteristi, teosofi e persone di varia cultura, tra cui anche matematici e fisici.

Penso di poter affermare che gli archetipi sono solamente ventidue, ventuno più uno e questo numero sembra mettere d’accordo molte culture e molti modi di pensare.

Gli esoteristi credono che i simboli degli arcani maggiori non siano ventidue per caso (i Tarocchi del dio Thoth, le lettere dell’alfabeto ebraico, le sessantaquattro [21x3+1] possibilità di definire un I-Ching, i 22 Autiut con cui Dio crea il mondo nel Sepher Jézirah) sarebbero da mettersi in relazione con questo numero, ma, tralasciando una sfrenata numerologia che potrebbe veramente essere priva di senso compiuto, bisogna notare un fatto importante. In effetti questo numero si ritrova in moltissime culture ed in innumerevoli testi, sia sacri che esoterici.
Da un punto di vista razionale, ragionando dunque con il lobo sinistro del cervello, ciò non significherebbe nulla. Invece ragionando a pelle, cioè con la sensazione fornita dal lobo destro, ci si deve chiedere: come mai molti si sono orientati proprio su quel numero?

Se gli archetipi esistono veramente, ognuno di noi ha dentro di sé questa informazione ed ognuno può, nell’arco della sua esistenza, estrarla in modo inconscio e sentirla vera proprio con il linguaggio degli archetipi. Questa prima osservazione mi ha spinto a sospettare che si dovesse dedicare più attenzione a quel numero.


CONTIAMO I MATTONI
Il lettore sta di certo già iniziando ad annoiarsi, ma, prima di passare alla parte più divertente, quella sperimentale, bisogna fornire qualche altro importante chiarimento.
Venti sono gli amminoacidi legati alle funzioni del DNA.

In realtà qualche articolo scientifico dice che si tratterebbe di ventuno amminoacidi sequenzializzati dal DNA.

In un mio precedente lavoro indicavo che sono ventuno gli amminoacidi che hanno comunque a che fare con il lavoro che fa il DNA nel sequenzializzarli.

Quale sarebbe, allora, il ventiduesimo mattone?
Il ventiduesimo sembra contenere tutte le informazioni dei primi ventuno: un archetipo da cui tutti gli altri vengono generati, un archetipo degli archetipi.

Questa, sostanzialmente, è la conclusione che scaturirebbe da antichi testi sacri, esoterici e di altro genere. Effettivamente, il lavoro a cui facevo riferimento prima, il quale prendeva in considerazione gli amminoacidi sequenzializzati dal DNA umano, mostrava che il ventiduesimo archetipo era il DNA stesso, ciò che contiene le informazioni che portano i ventuno amminoacidi ad avere un senso.Per me stendere quel lavoro fu momento goliardico e nulla di più, per divertirmi a mettere in crisi il moderno pensiero scientifico, per tentare di far vacillare per un attimo il trono di Galileo a favore di chi faceva il mago e non lo scienziato.

Però mettevo in relazione le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico con ventidue simbologie chimiche del tutto estranee all’alfabeto. E se, invece, l‘alfabeto fosse sempre composto da ventidue istruzioni? Anche nel linguaggio di programmazione chiamato Basic erano ventidue le istruzioni fondamentali che permettevano ad un computer di eseguire un programma.

Se gli assi della virtualità sono realmente tre (Spazio, Tempo ed Energia) e se realmente sono sette i tipi formali di Universo (i cosiddetti universi paralleli), va detto che sette per tre fa ventuno ed il ventiduesimo punto sarebbe quello che alcuni fisici chiamano il punto omega (il centro da cui tutto è nato: l’archetipo degli archetipi).

Se, però, non si sottopone ad una seria critica questo sistema, ci si trova a fare come Peter Kolosimo, il quale misurò la punta delle sue scarpe e disse che era effettivamente un multiplo di 3,14 (pi greco), concludendo che il suo calzolaio aveva a che fare con gli alieni.

Il punto è che Kolosimo aveva ragione riguardo al pi greco - poiché tutto ha a che fare con 3,14 - ma aveva torto riguardo al proprio calzolaio, che non aveva nulla a che fare con gli alieni. L’Universo si basa sul pi greco e siamo destinati a trovare questo numero, bene o male, in tutte le manifestazioni universali.
Oh, oh! Allora potrebbe anche essere vero che, siccome troviamo il numero ventidue da tutte le parti, ci siano effettivamente ventidue archetipi che descrivono il tutto.

La tabella pubblicata all’inizio di questo lavoro sembra esserne una dimostrazione.
Esistono ventidue modi di muoversi nel nostro Universo Virtuale (come vedremo meglio fra qualche istante), o meglio, ventuno modi più uno, l’ultimo dei quali è “l’essere fermi”, un operatore che contiene tutti gli altri movimenti e, siccome li contiene tutti, non dà adito ad alcun movimento.Questi ventidue modi di agire sono simbolicamente accoppiabili a ventidue tipologie di comportamento inconscio.

Si fa presto a dimostrare che non ce ne sono altri, poiché gli altri sono, in realtà, somma di operazioni ricavabili dalle ventidue originarie.
Non è vitale, in questa fase della ricerca, asserire inconfutabilmente che gli archetipi sono 22, ma a questo punto della lettura è importante aver fatto riflettere il lettore sul fatto che gli archetipi sono comunque un numero ben preciso, definito.

Forse sono effettivamente ventidue!

Qui di seguito sono riportati alcuni esempi di significato archetipico della Manifestazione, i quali, se male interpretati, danno origine a stupidaggini numerologiche ben identificabili nella vita quotidiana.

I numeri ed il colore
Quanti sono i colori?

I colori fondamentali sono tre. Gli altri colori vengono dal mescolamento di diverse quantità dei primi tre colori. Per esempio se scegliamo come colori fondamentali: il blu, il verde ed il rosso (Sistema RGB), possiamo costruire tre assi cartesiani in cui le varie percentuali di R, G, B (Red, Green, Blue) identificano un punto con un colore ben preciso.

Per quale atavico e misterioso motivo le nostre antiche culture parlano di sette colori fondamentali, i famosi sette colori dell’arcobaleno?

Variare tre parametri come l’R, il G ed il B su sette piani di base porta ad avere ben ventuno combinazioni, più una che, come al solito, le contiene tutte: nel caso del colore questa combinazione è il bianco.

Il colore è intimamente legato alla psicologia e Max Lusher, psicologo svizzero, sostiene che esistono esseri umani con personalità tecnicamente paragonabili ad un colore.

Dunque avremmo ventidue personalità di base?

I numeri e il suono
Chissà perché, archetipicamente, le note fondamentali nella nostra cultura musicale sono sette? Già, e chissà perché gli accordi riconosciuti, cioè la mescolanza di suoni base che, per esempio, la Korg riconosce nelle sue tastiere, sono, indovinate un po', ventidue?

Ma il suono è legato al comportamento e non mi stupirebbe se esistessero ventidue tipi di comportamento base negli esseri umani, stimolati da opportune tonalità musicali.

La musicoterapia funziona su parametri secondo i quali è possibile influenzare il comportamento umano facendo ascoltare alcuni tipi particolari di suoni.

La matematica come descrizione dell’Universo
 David Hilbert (1862-1943), matematico tedesco di Konigsberg, in Prussia, studiò e lavorò in Germania, in particolare a Gottingen, pur viaggiando molto per il mondo. Oltre a contributi nei campi della teoria dei numeri algebrici, dell’analisi funzionale, di diversi argomenti di fisica matematica e del calcolo delle variazioni, egli è noto per un'opera fondamentale di geometria: 'Grundlagen der Geometrie'. In essa egli rifonda in maniera rigorosa tutta la geometria basandosi sul metodo assiomatico. Tale lavoro fu prezioso perché, anche se il metodo deduttivo era stato applicato sin dai tempi di Euclide, le sistemazioni logiche della geometria risultavano fino ad allora incomplete, contenendo molte assunzioni tacite, molte definizioni prive di significato o tautologiche e diversi difetti dal punto di vista logico e formale. In particolare la sistemazione di Hilbert prevede tre concetti primitivi, sei relazioni indefinite e ventuno assiomi da cui dedurre tutte le proprietà degli enti geometrici. Egli fu, nel complesso, una delle figure più influenti del suo tempo ed in suo onore vengono oggi chiamati 'spazi di Hilbert' gli spazi ad infinite dimensioni. Famose sono rimaste le ventitré 'questioni', cioè i problemi non risolti, che lasciò in eredità ai matematici moderni e che hanno stimolato alcuni importanti sviluppi del pensiero matematico del XX secolo.

I sapori e gli odori
Dunque sembrerebbe possibile codificare il sentire, il vedere, il percepire in generale, attraverso ventidue tipi di parametri fondamentali.

Quanti tipi di sapori o gusti esistono, o meglio, quanti sapori sappiamo grossolanamente definire? Mentre il primo tipo di classificazione si basa sulle caratteristiche chimiche e fisiche delle varie materie aromatiche, naturali e sintetiche, il secondo tipo prevede una ripartizione secondo il tipo di odore, a prescindere dalla volatilità, dalla persistenza e dall'effetto che ogni singola materia prima conferisce ad un profumo.

La prima classificazione utile di questo genere venne pubblicata, nel 1865, dal grande
profumiere Eugene Rimmel e prevede una suddivisione in 18 gruppi di odori di base. Negli anni venti del ‘900, invece, un altro profumiere, R. Cerbelaud, elaborò uno schema con 45 gruppi, individuando anche collegamenti tra un gruppo e l'altro.

È abbastanza probabile che gli odori fondamentali su cui si costruiscono tutti gli altri siano effettivamente 22, ed il ventiduesimo sarebbe “nessun odore”, a rappresentare l’archetipo che contiene tutti gli altri ventuno.

Le fragranze ed i colori
Quali profumi si adattano ad un certo stato d'animo? I colori altro non sono se non la visualizzazione dei sentimenti. Così come accade con il senso dell'odorato, anche la percezione del colore è strettamente connessa con il sistema limbico. Quindi, quando ci si concentra su di un certo colore, ad esempio il rosso acceso, si percepisce la straordinaria energia che emana da tale colore. D'altro canto, un blu scuro e profondo esercita un forte effetto calmante. Le preferenze di colore mettono in evidenza le condizioni della sfera emotiva, come, ad esempio, i sentimenti e gli stati d'animo. Il fatto che i profumi ed i colori siano elaborati dallo stesso centro cerebrale (il sistema limbico) rende evidente che ci deve essere un rapporto tra colore ed odore.

Il linguaggio
Il noto rabbino Eliphas Levi, nelle lettere indirizzate al barone Spedalieri, sulla base dello studio della Kabbala ebraica, tenta di dare un significato alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, la lingua che il Signore e Dio di Abramo ha consegnato al suo popolo. Lo studioso non può, inconsciamente, fare a meno di assegnare sensazioni archetipiche ad ogni lettera, in un primo tentativo di razionalizzare, in qualche modo, i simbolismi base che albergano nel suo inconscio:
  1. Aleph - Padre
  2. Beth - Madre
  3. Ghimel - Natura
  4. Daleth - Autorità
  5. He - Religione
  6. Vau - Libertà
  7. Dzain - Proprietà
  8. Cheth - Ripartizione
  9. Theth - Prudenza
  10. Iod - Ordine
  11. Caph - Forza
  12. Lamed - Sacrificio
  13. Mem - Morte
  14. Nun - Reversibilità
  15. Samech - Essere Universale
  16. Gnain - Equilibrio
  17. Phé - Immortalità
  18. Tsade - Ombra e riflesso
  19. Koph - Luce
  20. Resch - Riconoscenza
  21. Shin - Potenza totale
  22. Thau - Sintesi
 Levi continua così, nelle sue dieci lezioni sulla Kabbala:
“Le idee espresse per mezzo dei numeri e delle lettere sono realtà incontestabili.
Queste idee si collegano e concordano come i numeri medesimi. Si procede logicamente dall'uno all'altro.
L'uomo è figlio della donna, ma la donna esce dall'uomo come il numero dall'unità.
La donna chiarisce la natura, la natura rivela l'autorità, crea la religione che serve di base alla libertà e che rende l'uomo maestro di se stesso e dell'universo, eccetera.
Procuratevi un mazzo di tarocchi (ma credo che ne abbiate uno) e disponetelo in due serie di dieci carte allegoriche numerate da uno a ventuno.
Vedrete tutte le figure che chiariscono le lettere.
Quanto ai numeri da uno a dieci, troverete la spiegazione, ripetuta quattro volte, con i simboli del bastone, o scettro del padre, la coppa delle delizie della madre, la spada, o le lotte dell'amore, e i denari, o fecondità.
I Tarocchi sono nel libro geroglifico delle trentadue vie, e la loro spiegazione sommaria si trova nel libro, attribuito al patriarca Abramo, che si chiama Sepher Jézirah.
Il sapiente Court de Gebelin per primo intuì l'importanza dei Tarocchi, che sono la grande chiave dei geroglifici ieratici. Se ne ritrovano i simboli ed i numeri nelle profezie di Ezechiele e di San Giovanni.
La Bibbia è un libro ispirato, ma i Tarocchi sono il libro ispiratore. Si è anche chiamata rota la ruota, da cui tarot e Torà. Gli antichi Rosa+Croce li conoscevano ed il marchese di Suchet ne parla nel suo libro sugli illuminati...
Court de Gobelin ha visto, nelle ventidue chiavi dei Tarocchi, la rappresentazione dei misteri egizi e ne attribuisce l'invenzione ad Ermete, o Mercurio Trismegisto, che è stato anche chiamato Thaut o Thoth.
È certo che i geroglifici dei Tarocchi si ritrovano sugli antichi monumenti dell'Egitto; è certo che i segni di questo libro, tracciati in complessi sinottici su stele o su lastre di metallo simili alla tavola isiaca del Bembo, erano riprodotti separatamente su pietre incise o su medaglie che, più tardi, sarebbero divenuti amuleti e talismani.
Si separavano così le pagine del libro infinito nelle sue diverse combinazioni, per riunirle, trasportarle e disporle in un modo sempre nuovo, per ottenere gli oracoli inesauribili della verità”
Interpretare il vero significato degli archetipi può essere arduo e darne un’univoca interpretazione non influenzata dalle proprie credenze è altrettanto complicato.
Così molti si sono cimentati nell’interpretazione simbolica degli archetipi, nella quale molte similitudini possono essere afferrate e si capisce bene come non sia possibile, in realtà, rappresentare un archetipo con un simbolo.

Dove questa imprudenza viene commessa, ecco scaturire le differenze.

Per accorgecene basta paragonare questa tavola dei 22 sentieri con l'interpretazione del Rabbino Levi (http://www.taote.it/menu.htm).

Questa errata interpretazione si verifica poiché l’archetipo costruisce una sensazione: la sensazione dà origine ad un simbolo, che si rappresenta con un disegno.
Ora la sensazione può ricondurre all’archetipo di partenza senza tema di errori, ma si capisce subito che, se analizziamo l’ultima tabella e prendiamo la corrispondenza tra le lettere ebraiche ed il loro significato, ci troviamo di fronte a parole che non corrispondono a sensazioni.
Per esempio la lettera Koph corrisponde a Luce. Ma luce non è una sensazione. In realtà l’archetipo dà una sensazione che fornisce l’immagine della luce nel nostro cervello.

Quindi un’immagine e non una sensazione.
Il tornare indietro dalla luce all’archetipo non è facile, perché, a seconda della propria cultura, il fatto di vedere la luce è differente.
Il vero sentire corrispondente alla lettera Koph non è “luce”, ma è “percepire la sensazione di luce” e riflettere sul cosa si sta provando.

La confusione, infatti, esce alla grande quando la nostra cultura tenta di interpretare gli archetipi: gli archetipi non vanno interpretati, ma vanno percepiti.




Un esempio di questo tipo di confusione lo abbiamo nelle due tabelle riportate in questa pagina e nella seguente, dove decine di culture cercano di intersecarsi per trovare un filo comune che porti alla interpretazione degli archetipi.

Ripeto:

non si dà un’interpretazione agli archetipi, ma sono essi a fornire l’interpretazione.

È attraverso di loro che si interpreta l’Universo, e non il contrario.


In realtà noi lavoriamo quotidianamente con gli archetipi, ma è il nostro inconscio che lo fa, senza dirci nulla, totalmente in background, se così si può dire.



GLI OPERATORI GEOMETRICI E LA VISIONE GEOMETRICA
DELL’UNIVERSO DI PLATONE

La matematica è un ottimo linguaggio scientifico, altamente specializzato, in grado di
descrivere abbastanza bene le variabili della Realtà Virtuale universale, cioè le cose che cambiano, mentre non è in grado di descrivere la Realtà Reale, cioè ciò che rimane sempre uguale e se stesso. Mentre le cose che cambiano possono essere tante, quella che rimane sempre eguale a se stessa è una sola: è la Realtà Reale ed ovviamente non può che esisterne una sola. Infatti, se le Realtà Reali fossero due, tra le due Realtà ci sarebbe la Non Realtà: ma siccome la Non Realtà NON È, la Realtà Reale dev’essere una sola.

A parte gli spazi di Hilbert, esistono solo quattro operatori geometrici fondamentali che permettono di simulare le variazioni (movimenti) che un oggetto può subire nel nostro Universo. È bene ricordare che lo spostamento di un oggetto corrisponde allo spostamento di un’informazione, quindi i quattro operatori che descrivono lo spostamento di un oggetto, o meglio la sua variazione fondamentale, rappresentano un linguaggio.

Se esprimiamo questo linguaggio con la geometria, diremo che esiste :
  • La rotazione di un luogo di punti attorno ad un asse.
  • La traslazione di un luogo di punti lungo un asse.
  • La contrazione di un luogo di punti attorno ad un asse.
  • L’inversione di un luogo di punti su di un asse.
Questi operatori geometrici valgono per tre assi, Energia, Spazio e Tempo, così nel nostro Universo ci sono in totale 12 possibilità primarie di modificare un’informazione virtuale. Inoltre esistono altre operazioni, le prime tre precedenti cambiate di segno, cioè:
  • L’antirotazione (rotazione in senso opposto) di un luogo di punti attorno ad un asse.
  • L’antitraslazione (traslazione in senso opposto) di un luogo di punti lungo un asse.
  • L’espansione di un luogo di punti attorno ad un asse.
Esse (che in tutto sono 7), se considerate per gli assi di Energia, Spazio e Tempo, costituiscono un totale di 21 operatori archetipici. Esiste, infatti, una sola possibilità di inversione di un luogo di punti su di un asse, poiché di un oggetto qualsiasi è possibile avere una sola immagine speculare, non due. In parole povere non esiste l’anti-operatore dell’inversione di un luogo di punti, mentre esistono gli anti-operatori degli altri tre operatori.

Ovviamente rimane escluso da questi 21 l’operatore numero ventidue, l’immobilità (mancanza di variazione), che è composto anche dalla somma algebrica di tutti gli altri.

Quest’ultimo operatore sarebbe simbolicamente rappresentabile come l’archetipo di tutti gli archetipi.
Da questa disquisizione geometrica appare chiaro che in realtà i veri, principali, archetipi sono dodici più uno, cioè i primi quattro applicati ai tre assi fondamentali; gli altri sono solo variazioni di segno, se così si può dire, di un archetipo originale, provocati dall’esistenza del dualismo nell’Universo Virtuale in cui siamo immersi.

Una delle caratteristiche fondamentali della virtualità è la presenza del dualismo, il quale non è altro che una rappresentazione dell’apparenza, non una realtà fisica.

È su questo punto che si basa l’errore commesso da alcuni di considerare gli archetipi dodici invece di ventuno (o viceversa), come vedremo tra breve.

Il vero significato dei numeri dodici e ventuno dipende dal dualismo universale, il quale è l’unico responsabile di questa apparente ambiguità che, soprattutto nel mondo esoterico, ha confuso le idee di chi tentava una razionalizzazione di questa materia.
 
Se il significato profondo di archetipo è presente dentro di noi, non dobbiamo cercarlo sui libri, poiché esso ci si presenterà quando lo cercheremo. Pare che, mettendosi a riflettere, si possa conseguire, indipendentemente dalla cultura di ciascuno, sempre la medesima concezione dell’archetipo. Ad esempio Platone geometrizza archetipicamente lo spazio attraverso l’utilizzo di forme pure della geometria euclidea ed i risultati sono alquanto sconcertanti anche per i matematici di oggi.

I SOLIDI PLATONICI
Platone sostiene che l’Universo è descrivibile attraverso forme geometriche semplici, da cui derivano tutte le altre: noi le chiameremmo templati. In particolare, quattro solidi geometrici rappresenterebbero i quattro elementi alchemici fondamentali.

Il primo solido ad essere preso in considerazione da Platone è il tetraedro, che rappresenterebbe il fuoco.
Il secondo solido che Platone prende in considerazione è l’ottaedro:


Il terzo solido è poi formato di centoventi triangoli congiunti assieme e di dodici angoli solidi, compresi ciascuno da cinque triangoli equilateri piani, ed ha venti triangoli equilateri per base. Questa terza figura, quella dell’acqua, è l’icosaedro regolare e poiché ciascuna faccia è un triangolo equilatero composto da sei triangoli rettangoli scaleni, l’icosaedro risulta così composto di 120 elementi e similmente l’ottaedro di 48 e il tetraedro di 24. Come si può notare, il triangolo rettangolo scaleno costituisce la base delle tre figure descritte, il che spiega perché fuoco, aria e acqua possono generarsi l’uno dall’altro, mentre non potrà essere così per il quarto elemento, la terra, al quale verrà attribuita come base la figura del triangolo rettangolo isoscele. 
Ma il triangolo isoscele generò la natura della quarta specie (questa quarta figura, che rappresenta la terra, è il cubo) componendosi insieme quattro triangoli isosceli con gli angoli retti congiunti nel centro, in modo da formare un quadrato: sei di questi quadrati, connessi insieme, formano otto angoli solidi, ciascuno dei quali deriva dalla combinazione di tre angoli piani retti. E la figura del corpo risultante divenne cubica, con una base di sei tetragoni equilateri piani. È importante il passo del Timeo [XXI-XXII], in cui sono descritte le ragioni che implicano le associazioni tra le forme e le specie ed i loro possibili modi di vicendevole trasformazione, poiché rappresenta uno dei più significativi paradigmi delle immagini delle figure nella scienza:

“E alla terra diamo la figura cubica: perché delle quattro specie la terra è la più immobile, e dei corpi il più plasmabile. Ed è soprattutto necessario che tale sia quel corpo che ha le basi più salde. Ora dei triangoli posti da principio è più salda naturalmente la base di quelli a lati uguali che di quelli a lati disuguali, e quanto alle figure piane che compone ciascuna specie di triangoli, il tetragono equilatero, tanto nelle parti che nel tutto, è di necessità più solidamente assiso del triangolo equilatero... e poi all’acqua la forma meno mobile delle altre, al fuoco la più mobile, e all’aria l’intermedia: e così il corpo più piccolo al fuoco, il più grande all’acqua, e l’intermedio all’aria, ed inoltre il più acuto al fuoco, il secondo per acutezza all’aria, e il terzo all’acqua... 
Ora di tutte queste forme quella che ha il minor numero di basi è necessariamente la più mobile per natura, perché è la più tagliente ed in ogni sua parte la più acuta di tutte, ed è anche la più leggera, essendo costituita dal minor numero delle medesime parti, così la seconda ha in secondo grado tutte queste qualità, e in terzo grado la terza. Sia dunque conforme a retta e verosimile ragione la figura della piramide elemento e germe del fuoco, e diciamo la seconda per generazione quella dell’aria e la terza quella dell’acqua. E tutti questi elementi bisogna concepirli così piccoli che nessuna delle singole parti di ciascuna specie possa essere veduta da noi per la sua piccolezza, ma riunendosene molte insieme, si vedano le loro masse. E quanto poi ai rapporti dei numeri, dei movimenti e delle altre proprietà, il Demiurgo, dopo aver compiuto queste cose con esattezza, fino a che lo permetteva la natura della necessità spontanea o persuasa, collocò dappertutto la
proporzione e l’armonia.

“La terra, incontrandosi col fuoco e disciolta
dall’acutezza di esso, errerebbe qua e là...
fino a che le sue parti, incontrandosi, si
riunissero di nuovo, perché esse non
potrebbero mai
passare in altra specie.
Ma l’acqua, disgregata dal fuoco o anche
dall’aria, può darsi che, ricomponendosi,
divenga un corpo di fuoco o due di aria.
E se l’aria è in dissoluzione, 

dai frammenti d’una sola
delle sue parti possono nascere due corpi di
fuoco...
E viceversa due corpi di fuoco si ricompongono
insieme in una sola specie d’aria. 

E se l’aria è soverchiata da
due parti e mezzo d’aria, si comporrà una parte
intera d’acqua.”


Tutto ciò diventa comprensibile tenendo conto che, con il numero di facce dell’icosaedro, forma dell’acqua, è possibile comporre due ottaedri, forma dell’aria, e un tetraedro, forma del fuoco, ed inoltre che, con le facce dell’ottaedro, si possono comporre due tetraedri. “Restava una quinta combinazione e il Demiurgo se ne giovò per decorare l’Universo.”

Di questa quinta figura, il dodecaedro, che ha per facce 12 pentagoni regolari, nulla di più si legge nel Timeo; Il dodecaedro viene associato, quindi, all’immagine dell’intero Universo, origine della quintessenza ed immagine di perfezione, poiché più degli altri poliedri regolari, già secondo le teorie pitagoriche, approssima la sfera. L’idea che questa figura sia quella che più si avvicina alla perfezione per la maggiore approssimazione alla forma della sfera, che è sinonimo di perfezione e verità poiché sempre uguale a se stessa da qualsiasi punto di vista la si osservi, è in effetti stata utilizzata da Platone nel dialogo Fedone [110b-110c]. Dunque anche Platone “archetipicamente” crede che l’Universo sia rappresentabile utilizzando il numero 12.



COME EVITARE DI PRENDERE CANTONATE

Un archetipo, attraverso l’emozione, produce differenti simboli, i quali tutti, scaturiti dalla stessa origine, avranno lo stesso significato. Così ogni simbolo fornirà, attraverso il colore, immagini diverse, le quali, a loro volta, produrranno differenti fonemi.

È, così, facile dimostrare che, qualsiasi sia il risultato fonemico finale, esso, se si torna indietro, fornirà uno ed un solo simbolo che, a sua volta, fornirà uno ed un solo archetipo di partenza. Per fare un esempio classico dei nostri giorni, esistono centinaia di crop circle tracciati nei campi di grano inglesi, a cui nessuno sa dare una spiegazione.

Ebbene i crop circle autentici dovrebbero avere tutti un solo significato: essere simboli che vengono rappresentati da differenti disegni, ma tutti con un unico archetipo ispiratore. Centinaia di glifi che vogliono significare una cosa sola.


Dunque, in linea di principio, lo stesso fonema può creare milioni di espressioni verbali, ma tutte hanno lo stesso significato inconscio, cioè vengono lette dall’inconscio come se avessero il medesimo significato.

Lo stesso archetipo viene cioè trasformato, in ciascuna persona ed a seconda della cultura personale, in differenti simbolismi.

Quando, partendo dalla verbalizzazione, si tenta di percorrere il cammino inverso alla ricerca dell’archetipo originante, si mette ancora una volta in opera la propria cultura, commettendo nuovamenteun errore.

Per miglior chiarezza faccio un esempio pratico.

Partiamo da un archetipo che debba dare l’idea dell’energia ed ammettiamo che esso sviluppi, nel soggetto “A”, la formalizzazione di un colore, il giallo (colore del sole e della fiamma). Se torniamo indietro dalla visualizzazione della fiamma (l’icona) al simbolismo, si può dire che la fiamma ricorda il “calore”.
A questo punto interviene l’esperienza del soggetto, il quale, a seconda dei ricordi che ha, assocerà la fiamma alla famiglia, al focolare domestico, alla volta che ha subito un’ustione, alla volta che ha avuto la febbre, alla volta che ha visto lo Spirito Santo e così via, così si perderà la vera traccia da percorrere a ritroso per arrivare all’archetipo generatore.

L’errore, evidentemente, viene prodotto dal ricordo delle proprie esperienze, le quali sono strettamente associate alle immagini ricordate.

ATTENZIONE! Non è l’immagine ricordata a far ripercorrere la strada che riporta agli archetipi, ma la sensazione provata la prima volta, durante la visione o la visualizzazione della fiamma.

Bisogna, cioè, che il soggetto si rimetta nelle stesse condizioni in cui l’archetipo gli ha fornito l’immagine di fiamma e bisogna che egli riviva le sensazioni che ha provato quando ha visto la fiamma. Non è infatti importante l’iconografia della fiamma percepita o ricordata, ma la sensazione richiamata dall’icona e, corrispondentemente, dal simbolo che l’ha formata.

L’immagine è un sottoprodotto dell’archetipo, ma l’emozione è la più vicina all’archetipo stesso, è il primo sottoprodotto dell’archetipo, è quanto di più simile ad esso ci sia.

La rievocazione della sensazione produce, dentro di noi, un effetto immediato, il quale riproduce lo stesso stato d’animo che è stato archetipicamente provocato la prima volta che la fiamma apparve nella nostra mente, riportandoci nelle stesse condizioni di allora e facendocene così rivivere la sensazione, facendoci fare mente locale su cosa accadde e perché.

 In termini pratici, chiunque guardi un disegno di un crop circle, non deve guardare il disegno in sé, che non gli dirà nulla se non qualcosa che è legato alla sua esperienza di vita: deve badare alla sensazione che prova quando guarda quel glifo. Cosa pensa, cosa vive dentro di sé, quale sensazione ha! Quella sensazione lo porterà alla vera fonte, alla vera risposta ed al vero significato del crop che sta guardando. Croiset, noto personaggio svizzero dotato di forti capacità paranormali, quando collaborava con la polizia per ritrovare i cadaveri delle persone scomparse tenendo semplicemente in mano un loro oggetto, provava quella “sensazione”?

La “sensazione” lo metteva in contatto diretto con il mondo degli archetipi e cioè con il vero modo di vedere la realtà reale, da cui quella virtuale dipende. http://www.skepsis.nl/croiset.html

Senza bisogno di scomodare i paragnosti, dovrei dire che la maggior parte dei nostri scienziati veri sono paragnosti, poiché essi provano questa “sensazione” quando stanno per scoprire qualcosa di nuovo. Poi si dirà che a portare alla scoperta, grande o piccola che sia, è stato lo studio, il lavoro sperimentale; non è vero! Si tratta di ben altro, in grado di mettere in contatto il proprio sé con l’Universo, si tratta di vivere la sensazione che “qualcosa” provoca dentro di noi. Se questo processo viene correttamente condotto, si capisce cos’ha provocato la “sensazione del”, cioè si sono messe le mani su di un pezzo di Universo.

L’utilizzo degli archetipi e la conoscenza dei simboli che da essi scaturiscono sono alla base della comprensione del tutto.

Cosa voglio dire?

Voglio dire che, se si conoscono gli archetipi, si conosce anche il tipo di simbolo che da essi scaturisce, così da interpretarne correttamente la matrice di partenza.

Se nell’analisi comportamentale qualcuno mi aggredisce verbalmente, io devo capire cos’ha fatto scattare l'aggressione verbale, perché così potrò comprendere cos’ha infastidito il mio interlocutore a livello inconscio, senza farmi abbindolare da una banale aggressione verbale che, a volte, appare del tutto immotivata e fuori luogo.

Per questo, a livello di Programmazione Neuro Linguistica (PNL), devo verificare come l’interlocutore che sta davanti a me si sia mosso, cercando di vedere quali movimenti ha fatto il suo corpo. I suoi movimenti sono immagini e lui è come una marionetta in mano ad un puparo che muove i fili.
I fili sono mossi dall’inconscio e parzialmente controllati dal subconscio.

Devo riuscire a trasformare i suoi movimenti (disegni nello spazio) in simboli e capire quali archetipi abbiano dato vita a tali simboli.

Solo così saprò cosa l’interlocutore voleva realmente comunicarmi, indipendentemente da ciò che ha detto e saprò quello che nemmeno lui riesce a comprendere di se stesso.

Il simbolo grafico, il movimento, il suono od il colore che ci vengono comunicati devono dunque essere letti archetipicamente, ma come fare?

Molte culture tendono inconsciamente a simboleggiare gli archetipi attraverso le forme.

Questo processo, se da un lato è una banalizzazione del concetto di archetipo, dall’altro mostra che una relazione tra simbolo e forma esiste veramente e che la relazione tra archetipo e simbolo è talmente inconscia da superare qualsiasi barriera culturale.

Per fare un banale esempio la cultura Reiki considera gli archetipi della personalità in numero di dodici e li definisce attraverso precise forme http://www.reiki.it/Intensivo.php
  1. INNOCENTE
  2. ORFANO
  3. GUERRIERO
  4. ANGELO CUSTODE
  5. AMANTE
  6. CERCATORE
  7. DISTRUTTORE
  8. CREATORE
  9. SOVRANO
  10. MAGO
  11. SAGGIO
  12. FOLLE
di cui sono a seguito riportate alcune elaborazioni grafiche:


Nel libro intitolato “RISVEGLIARE L’EROE DENTRO DI NOI - Dodici archetipi per trovare noi stessi” di Carol S. Pearson, Astrolabio editore, si dice che dentro di noi ci sono dodici immagini, le quali vengono attivate in vari momenti del nostro percorso psicologico ed a cui corrispondono modi di pensare, di vedere il mondo, di comportarsi. Comprendere questo significa afferrare limiti e possibilità dei propri modelli del mondo e della propria identità e capire meglio, nei rapporti interpersonali, davanti a chi ci troviamo.

Attraverso queste immagini la grafologa è in grado di analizzare le personalità umane fondamentali. Quali sono queste immagini?

Le solite: L’Innocente, l’Orfano, il Guerriero, l’Angelo Custode, il Cercatore, il Distruttore, l’Amante, il Creatore, il Sovrano, il Mago, il Saggio e il Folle.

http://www.illibraiodellestelle.com/libri/risvegliare-leroe-dentro-di-noi.php


Per un altro tipo di cultura (Scuola di Ascensione Globale), invece, le cose starebbero in modo differente.

Esistono 18 Ologrammi/Archetipi che caratterizzano l'umanità nel suo complesso.

Ogni persona incorpora in sé, a partire dal livello 3000, quel particolare ologramma che caratterizza in modo particolare la propria persona. Ogni ologramma è caratterizzato da una particolare caratteristica umana. In realtà ogni persona ha un ologramma particolare e tutti gli altri come ologrammi secondari in un ordine  preciso. Durante l'ascensione si incorpora dapprima un ologramma e poi, una volta  completata l'incorporazione del proprio ologramma principale, si incorporano pian  piano anche gli altri ologrammi, in modo da diventare esseri umani sempre più  perfetti e completi. Tali ologrammi permettono di incorporare in modo vero e puro le  caratteristiche connesse ad essi, caratteristiche che in qualche modo ognuno di noi  ha già in sé, ma che non sono espresse in modo completo e puro. Ecco i 18  Ologrammi/Archetipi e la rispettiva caratteristica principale.

Nessuno, se non Dio e noi stessi, può sapere con certezza il nostro ologramma, sebbene tale ologramma sia facilmente riconoscibile dalle persone che ci conoscono  bene. I numeri dati ai vari ologrammi sono puramente di comodità. Non vi è alcun  ordine di importanza.

Gli ologrammi in lilla sono connessi all'energia femminile, quelli in blu sono invece connessi all'energia maschile.

Tipologie
  1. INTELLETTUALE: ama studiare ed imparare tante cose
  2. SOCIEVOLE: ama conoscere molte persone
  3. FILOSOFO: ama porsi interrogativi sulla realtà per comprenderla
  4. NATURALISTA: ama stare in contatto con la natura
  5. PACIFICO: ama avere una vita tranquilla
  6. UMANISTA: ama avere rapporti umani profondi
  7. SINCERO: ama dire la verità in ogni occasione
  8. SPONTANEO: ama essere se stesso in ogni circostanza
  9. SPIRITOSO: ama scherzare su ogni cosaSPORTIVO: ama tenere in allenamento il proprio corpo
  10. PRUDENTE: ama fidarsi solo di ciò che conosce bene
  11. INNOCUO: ama non far male a nessuno
  12. GIUSTO: ama che ognuno abbia ciò che merita
  13. SALUTISTA: ama curare la propria salute fisica
  14. COMUNICATIVO: ama parlare con la gente
  15. RICETTIVO: ama ascoltare la gente
  16. RISERVATO: ama mantenere una sua sfera privata
  17. GENEROSO: ama condividere con altri ciò che ha in abbondanza
Questi tentativi di razionalizzare il mondo degli archetipi mostrano comunque come, in fondo, qualcosa di vero ci sia, ma che la razionalizzazione che ne viene fatta è ben lungi da quella tentata e formulata in questa sede.



 SIGNIFICATO ARCHETIPICO DELLE FAVOLE E DEI MITI
  • Le favole sono racconti per bambini. Sbagliato.
  • Le favole vengono capite bene dai bambini. Vero.
  • Le favole hanno grande successo. Sbagliato: le favole che dicono qualcosa a tutti, a prescindere dalla cultura che hanno, hanno grande successo. Vero, anche perché delle altre favole non se ne sente assolutamente parlare.

 È quindi lecito chiedersi perché alcune favole abbiano un successo mondiale al di là del tempo e dello spazio ed altre no. Ci si deve chiedere come mai alcuni film o libri hanno un successo strepitoso ed altri no.

Ritengo che, in generale, le storie destinate ad avere successo siano quelle che vengono riconosciute inconsciamente come ricche di archetipi in grado di fornire precise sensazioni all’anima delle persone. Le altre non dicono niente a nessuno e non vengono recepite, cioè riconosciute, inconsciamente.

Ecco alcuni esempi classici:


Pinocchio

Pinocchio: favola meravigliosa e conosciuta in tutto il mondo. Cosa ne determina il successo? Non certo la storia in sé, che sicuramente vale abbastanza poco. Un pupazzo di legno che diviene umano: un semplice gioco per bambini che insegna a non dire bugie?
Ma no!
Pinocchio, scritto da Collodi, tra parentesi grande massone ed esoterista, si rifà alla mitologia della ghiandola pineale, il famoso Terzo Occhio... da cui Pin-Occhio. Ma nella fiaba la metafora prevarica anche chi la scrive ed ecco apparire i veri personaggi.

Un burattino inanimato, il quale, attraverso una magia della buona Fantina, diviene essere umano.

I personaggi sono chiari: babbo Geppetto e la Fatina non sono, come dicono gli psicologi moderni, papà e mamma del bambino che cresce, ma ben altro: essi, infatti, rivestono i panni di Spirito ed Anima ed al pezzo di legno Pinocchio rimane la funzione di semplice contenitore, cioè del corpo. La storia racconta come l’essere umano torni a divenire se stesso quando Anima, Spirito, Mente e Corpo si riuniscono insieme: in quel preciso momento una creatura costruita da Geppetto (lo Spirito), incontra l’anima (la Fatina) e fa pace con la Mente (il Grillo parlante) e Pinocchio diviene umano; in quel momento l’uomo diventa divino. La divinità dell’uomo personificato da Pinocchio nasce dall’essere figlio di Spirito ed Anima, rappresentati con l’aspetto di uomo e donna, i due archetipi per antonomasia di maschile e femminile.

La mente ha la veste di un animale ed altro non potrebbe essere se non un Grillo.

La stessa figura del grillo è di grande interesse e rappresenta una mente schiacciata dalle necessità del corpo, dalla sopravvivenza quotidiana, dal cedimento alle tentazioni corporali, alla bella vita, al riposo.

Il burattino nella sua esistenza viene pilotato da altri, ma un essere umano vero non si fa pilotare da nessuno.

Pinocchio da uomo normale assurge alchemicamente a uomo eterno quando si rende conto di ciò che esiste e dei veri valori dell’Universo.

L’autore, sempre inconsciamente, non si rende conto di far recitare a Pinocchio il ruolo dell’umanità ed addirittura caratterizza il suo personaggio con colui al quale, quando dice bugie, si allunga il naso. Anche questo per la Programmazione Neuro Linguistica è un invito a nozze, infatti il gesto di toccarsi il naso in un certo modo equivale, a livello inconscio, ad ammettere di dire una bugia. Collodi non sa nulla di PNL, ma dentro di sé legge i segnali che la sua anima gli invia e che il suo inconscio spinge verso l’alto, verso il subconscio e verso i sensi esterni. Nasce così un racconto che chi l’ha scritto non conosce a livello cosciente, ma riconosce a livello inconscio; così, del resto, faranno i lettori, i quali, nella storia di Pinocchio, leggeranno inconsapevolmente il linguaggio degli archetipi.


Frankenstein e King Kong
Sono due storie identiche, seppure iconograficamente molto diverse. Come i crop circle hanno, a mio avviso, lo stesso significato anche se iconograficamente differenti, King Kong e Frankenstein rappresentano la stessa cosa. Il mostro?... Ma no, ovviamente, bensì qualcosa che è metaforicamente nascosto tra le pieghe del racconto. Qualcosa di cui nemmeno gli autori si sono resi conto mentre scrivevano.
Il vero Frankenstein non è un mostro, ma una specie di Golem costruito da uno scienziato pazzo. Frankenstein è buono, ma violento solo perché non ha subconscio ed è schizofrenico. Il mostro fa amicizia con una bambina, che rappresenta ancora una volta la parte femminile del Tutto, cioè l’anima. Il mostro non ha l’anima, ma è attratto dalla bambina, la quale è l’unica a poterlo aiutare a sopravvivere nel suo smarrimento.

Lo scienziato pazzo rappresenta l'essere umano senz’anima, che crea per potere egli stesso garantirsi la gloria della scienza mondiale e crea senza chiedersi mai se la sua creazione potrà essere felice o meno. La sua creatura non può avere futuro, anche perché è la stessa società che la rifiuta come diversa. Solo la bambina piange la morte di Frankestein, perché l’anima vede in tutta questa storia un fallimento dell’umanità.
King Kong, invece, rappresenta qualcosa di nascosto al nostro pianeta, una specie di coscienza cattiva che ancora non era venuta fuori. Ma ad un certo punto esce dalla foresta e si manifesta come forza bruta. Anche qui la scimmia è l’archetipo della primitività umana. È buona, forte e sprovveduta, ma è attratta dalla bella ragazza, ancora una volta simbolo femminile animico.

La Bestia non vede in Anima una ragazza da “scopare”... e come sarebbe possibile? Ne vede, invece, l’aspetto animico e ne è attratto, ma soprattutto incuriosito. Questo aspetto di tutta la vicenda rappresenta archetipicamente la curiosità che il primitivo ha per l’evoluzione, dove l’evoluzione è tenuta simbolicamente nel palmo della mano sinistra, quella che dipende dal lobo destro del cervello.

La ragazza non ha paura del bestione. E come potrebbe Anima avere paura di qualcosa?

Nelle ultime versioni di questo film, Anima ha sempre i capelli nel vento, (l’aria è archetipo dell’anima). L’anima è interessata a King Kong come lo era a Frankestein: un corpo dove entrare, mediante il quale agire per migliorare anche se stessa, se ciò fosse possibile.

Ma l’uomo senz’anima non comprende, tende a distruggere il diverso e vuole richiamare a se l’anima, che invece non sembra avere cura di sé e perde tempo nelle grinfie di quel mostro che mostro non è affatto.

Il potere delle armi e dell’ignoranza contro il desiderio di Anima e lo stupore della Bestia.


Beep-beep e Will-Coyote
I cartoni animati, soprattutto quelli di successo, non sfuggono all’influenza degli archetipi, anzi, siccome nel modo del fantastico tutto è possibile, in quel mondo ciò che normalmente è del lobo destro, cioè la magia dell’Universo, ha inconsciamente grande risalto ed è possibile intravedere molto enfatizzate quelle manifestazioni dell’anima che in questo mondo virtuale vengono di solito completamente cassate dagli ipocriti e dagli scienziati.

Il Coyote insegue un volatile che sembra prendersi in qualche modo gioco di lui e vuole assolutamente prenderlo. Ma perché? Per mangiarlo? Ma no, ovviamente! Non sì è mai visto un coyote che mangi quello strano uccello forse neppure commestibile.

Il significato simbolico della vicenda è completamente diverso: il Coyote vuole prendere l’uccello perché esso rappresenta qualcosa da conquistare, da AVERE. In queste condizioni, se per caso una volta riuscisse a prenderlo, ne rimarrebbe deluso, perché non saprebbe cosa farsene, o meglio, non si ricorderebbe più perché da tanti anni gli stia correndo dietro.

Il coyote è la rappresentazione dell’umanità che si basa sul possesso e non sull’essere.

Il volatile rappresenta la parte animica dell’umanità. Il simbolismo è chiaro. Fino a che il coyote vuole prendere qualcosa, non ci riuscirà: ci riuscirà solo quando vorrà essere quella cosa. Il volatile viene rappresentato, infatti, come tale perché Anima vola nell’aria (simbolo archetipico di Anima stessa) mentre il coyote è ancorato a terra ed a nulla valgono suoi sforzi per spiccare il volo, soprattutto quelli in cui impiega tecnologia, a dimostrare che la tecnologia rappresenta la morte dell’umanità.

Nei rari casi in cui il coyote si dimentica delle leggi della fisica, cioè si dimentica di essere immerso in una realtà virtuale, riesce ad imitare Anima. In altre parole può camminare nell’aria, ma cadrà appena se ne ricorderà: il simbolismo contenuto in quest’immagine è chiarissimo. Lo spettatore di film deve chiedersi come mai, quando vede i suddetti cartoni animati o “King Kong”, oppure la prima versione di “Frankenstein” faccia, dentro di sé, il tifo per il più debole, cioè per il mostro o per il coyote. Per rispondere ci si deve chiedere cosa si prova quando il coyote, per l’ennesima volta, non raggiunge il suo obiettivo: la delusione si sente dentro.

Come? Si prova una delusione guardando un cartone animato? È follia!

No non è affatto follia: chi ha l’anima inconsciamente comprende il significato simbolico delle scene che sta guardando e la sua anima reagisce emettendo archetipi. L’archetipo si manifesta con la “sensazione del”, la quale sfocia sempre nel sentire le cose emotivamente. Dopo un attimo chi guarda il cartone animato si chiede cosa stia

accadendo e decide rapidamente che si tratta di una stupidaggine, poi passa oltre: il lobo sinistro ha ripreso il governo del burattino Pinocchio!

E.T torna a casa
Film di fantascienza ne abbiamo visti tanti, ma alcuni colpiscono l'immaginazione (?) più di altri: sembrano aprire dentro di noi un varco nel quale finalmente il subconscio sta un po' zitto e lascia parlare l’inconscio. E.T. è uno di questi. E.T., ancora una volta, ha un rapporto preferenziale con un bambino e non con un adulto, comunque mai con un adulto maschio, il quale, invece, nel film lo perseguita e lo vuole catturare. Nel film è la madre del bambino a fare da tramite tra lui e l’alieno. L’alieno non rappresenta assolutamente un alieno come la gente comune può immaginarsi, ma è molto di più: E. T. siamo noi! Noi che vogliamo tornare a casa!

E.T. rappresenta la nostra vera essenza, la nostra anima, ma anche il resto di noi. Il film dice che c’è speranza e suscita la sensazione di nostalgia. Questa è la sensazione che Anima riconosce per vera: ”Adesso qui basta! Vado da un’altra parte!”. E.T.
rappresenta il senza-nome, come Anima, fa parte di un non meglio identificato gruppo di alieni, come Anima, è venuto qui per scoprire e fare esperienza, come Anima, e come Anima è cercato dai militari, cioè da chi vuole avere e non essere. Le biciclette dei bambini volano come in una favola, perché è la forza del lobo destro del cervello, è la forza di Anima che supera le leggi della fisica. Anche qui tutte le tecnologie del mondo non possono raggiungere Anima.
E.T. saluta il bimbo, ma gli dice, in modo archetipico:
Ci ritroveremo.” Ovvero: “Quando sarai più grande e capirai, staremo sempre insieme; ancora questa unione permanente non è possibile, l’uomo deve maturare, poi un giorno forse...
E.T. con il dito indica in alto, figurazione simbolica del buono, come è stato sottolineato in precedenza. E.T. non viene abbandonato dal suo gruppo, e come sarebbe possibile che una parte di Anima fosse abbandonata dal resto di se stessa?
E.T. appare goffo, sapiente, ma incapace di voler male ad altri. E.T. si esprime con il suo corpaccione impacciato, ma soprattutto con gli occhi, che non a caso sono azzurri.

Ad Anima, infatti, il corpo non importa, ma lo sguardo, archetipicamente parlando, è il suo specchio.
La favola fa vivere simbolicamente i bisogni dell’anima: dove ci riesce ha successo, perché viene riconosciuta da Anima stessa.

In questo senso tutte le nostre leggende sono grandi allegorie di miti dietro le quali ci sono le storie dell’Anima ed è con questo approccio che vanno lette ed interpretate.

Favole dunque, non storie per bambini, bensì messaggi per l’Anima bambina che è in noi.

Lo specchio nel racconto
Archetipicamente l'immagine allo specchio possiede un potente simbolismo.
Alcune popolazioni non vogliono farsi fare fotografie, perché dicono che nell'immagine della foto appena scattata rimane intrappolata la loro anima. E che dire, poi, della storia del diavolo che vuole rubare l’anima, proprio perché non la possiede ed appare privo della sua immagine allo specchio? Ancora una volta, nei racconti popolari e nelle leggende, si fa prepotentemente avanti l’archetipo che produce un simbolismo facilmente interpretabile.

Nel vecchio e ben noto film “Il Ritratto di Dorian Gray”, il personaggio principale fa un patto con il diavolo, il quale, alla fine dei giochi, vorrà, come sempre, l’anima di Dorian in cambio della sua immortalità fisica. Ma la storia punisce Dorian, dimostrando ulteriormente che l’anima ed il corpo devono stare assieme in un processo di reciproca conoscenza, perché assolutamente necessari l’uno all’altra.

Il mitico Narciso, per specchiarsi nelle acque di un lago, cade ed affoga.

Specchiarsi rappresenta simbolicamente guardarsi nella mente (il cui simbolo archetipico è rappresentato dall’acqua). Tentare di tuffarsi dentro la propria mente per cercare il corpo provoca la morte di Narciso, perché è l’anima che va cercata come sede dell'immortalità e non altro. Cercare altro vuol dire non trovare Anima e dunque perire per sempre.
Un altro personaggio che cade nello specchio è Alice in “Alice nel paese delle meraviglie”. 
Cadere nello specchio vuol dire gettarsi nel proprio inconscio, diventare schizofrenici, per vedere la realtà reale. Alice, al di là dello specchio, non vede il mondo in modo distorto come lo si vedrebbe standone al di qua.

Il vero Universo si vede bene solo dall’altra parte dello specchio, cioè solo l’anima sa vedere bene, mentre di qua la visone è legata ai modelli mentali costruiti dal subconscio. Di qua si vede la realtà virtuale, ma, dalla parte dello specchio dove si è gettata Alice, le leggi della fisica non valgono più: non ci sono leggi, perché la Realtà Reale non ha bisogno di leggi e non può essere descritta. Lì, nel regno della coscienza pura, si costruiscono le leggi per il “di qua”.
Che dire, poi, della Strega Cattiva che si guarda nello specchio per sapere chi è la più bella? Al di la dello specchio c’è una voce che, se vogliamo, equivale al grillo parlante di Pinocchio e rappresenta la Mente, quale mediatore tra i lobi sinistro e destro del cervello, tra subconscio ed inconscio e tra reale e virtuale: essa dice alla Strega Cattiva che la più bella non è lei, bensì Biancaneve.

Ma chi sono la Strega Cattiva e Biancaneve?
Alcuni psicologi vedono nella Strega Cattiva la madre di una ragazza adolescente che vuole impedire alla ragazza stessa (Biancaneve) di crescere.

Pur consentendo anche questa interpretazione, le cose, in realtà, sono decisamente più semplici. Biancaneve e la Regina sono lo stesso personaggio, come lo sono madre e figlia: queste ultime sono traslate nel tempo, mentre le prime sono traslate nella realtà.

La parte cattiva è l’essere che guarda alla corporalità, all’esteriorità, alla realtà virtuale costituita di Spazio, Tempo ed Energia.

Ma Biancaneve è l’incarnazione di Anima, così come si presenta solitamente: ingenua, candida, senza capacità apparenti di interferire con l'Universo che la circonda.
Nel paradiso terrestre la mela colta dall’albero del bene e del male, sulla quale è basato il biblico inganno, altro non è che un frutto simbolico, come gli psicologi moderni tendono a dimostrare. Quel frutto, infatti, è stato mangiato dall’umana progenie ed, una volta ingerito, concede, a chi se n’è nutrito, la coscienza della virtualità (il bene ed il male) e rende virtuale, cioè mortale, l’uomo stesso, quindi è un veleno.
Anche Biancaneve se ne nutre con l’inganno, non quello del mitico serpente ma quello di una strega, ed occorre l’idea dell’inganno per mandare avanti tutta la storia. L’uomo viene ingannato ad un certo punto del suo sviluppo.

Chi è l’autore dell’inganno? Egli stesso: non dimentichiamo che anche la Strega Cattiva altri non è che la parte virtuale di Biancaneve, la parte mortale di lei. Biancaneve non muore, ma rimane come sospesa in una specie di letargo.

Ci si può chiedere perché non muoia, perché la Strega Cattiva non la elimini definitivamente. Ma perché Biancaneve è Anima e l’anima, è immortale! La si può solamente chiudere, bloccare da qualche parte mentre il resto dell’Universo fa gli affari suoi, ma non la si può eliminare.

Chi salva Anima-Biancaneve? Il principe, che non è azzurro a caso. Il colore azzurro simboleggia la meditazione, il pensiero, l’alto, il positivo. La parte maschile dell’umanità, e cioè lo Spirito, il quale, nelle vesti di Principe Azzurro, bacia Anima e le ridona il “soffio vitale” (l'archetipo del soffio vitale, del vento, è il simbolo dell’anima stessa, come l’acqua è il simbolo della mente, il fuoco rappresenta lo spirito e la terra è il corpo).

I sette nani simboleggiano l’umanità (numero simbolico che indica la totalità, il tutto: sette sono le note, sette i vizi capitali, sette i colori dell'arcobaleno, sette i livelli energetici degli elettroni, eccetera). Sono nani non perché lo siano davvero fisicamente, ma perché, di fronte ad Anima, appaiono come nani, con tutti i loro vizi, difetti, imperfezioni.

Da Babilonia agli USA sul filo degli stessi archetipi
Ho scelto questi esempi perché parlano di Anima e quando di Anima si parla, il successo del simbolismo è garantito. Molti altri fumetti, storie e racconti di successo commerciale nascondono una struttura archetipica.
La storia del dio egizio Ra, per esempio, è talmente intrigante da essere ripresa e, seppur modificata, adattata ad altre culture. Ra è il Dio Sole, che viene adorato dalle dodici costellazioni (caratterizzato dall’appartenenza ad una seconda generazione divina: è infatti probabilmente generato da Atum, dio autocreatosi).

I Greci trassero da questa storia la saga del monte Olimpo, con Zeus (figlio di Kronos) ed i suoi Dei minori.
Il Cristianesimo ha Gesù (figlio di Geova) e dodici apostoli, ma in realtà la sua storia nasce forse in Mesopotamia, ai tempi di Babilonia. Il racconto è stato adattato alle esigenze politiche e religiose di chi, allora, deteneva il potere, però dietro il resoconto puro e semplice esistono alcuni aspetti interessanti di una storia che di vero non ha nulla sul piano della virtualità (realtà mutabile), ma ha molto da dirci sul piano del simbolismo archetipico.
L’adattamento è una peculiarità delle società attuali, che si impossessano di miti altrui per farli propri. Così, ad esempio, la cultura americana si è impossessata del mito del Dio Ra facendo recitare la parte di Ra stesso, o meglio di un Gesù tecnologico, a Nembo Kid, vecchio eroe dei fumetti meglio conosciuto con l’appellativo di Superman (superuomo, appunto). Superman, come Gesù, ha un padre che sta nei cieli, come Gesù è accolto in casa da un anziano padre terrestre e da una madre anch’essa anziana, che non può più partorire (come S. Anna, nonna di Gesù). Viene accompagnato sulla Terra dalla “stella cadente”. Come Gesù fa cose strabilianti. Come Gesù ha un nascondiglio, un eremo in cui si isola dal mondo. Come Gesù è tentato dal male, come Gesù muore e resuscita, come Gesù alla fine sale in cielo e forse un giorno ritornerà. Come Gesù vive una relazione, “platonica”, forse, con una Maria Maddalena che nel fumetto diviene sua collega di lavoro. Come Gesù tenta di salvare l’Umanità dal Male. 
Come Gesù, al posto del simbolismo del Santo Graal, ha la lettera esse, simbolo archetipico del serpente della Kundalini, presente nel caduceo del dio Thoth, albero della vita eterna e dunque DNA, diremmo oggi noi.

Nel leggere il fumetto, il lettore sprovveduto, di solito un ragazzo in età scolare, apprende subliminalmente una cosa sola. Che Gesù è Americano e soprattutto che Jor-El, (Ra per gli Egizi), padre di Superman, la figura rappresentante il Dio dei Cristiani, ha deciso di far nascere, o meglio rinascere, suo figlio negli Stati Uniti d’America. Il messaggio subliminale è dunque il seguente: gli Americani sono il vero popolo eletto! Sicuramente chi ha costruito il personaggio di Superman non si è reso conto di ciò, ma il suo inconscio non ha fatto altro che tirar fuori una storia di tanti millenni fa; la propaganda politica ha fatto il resto. Ora non resta che recuperare il vero significato simbolico di questo personaggio e buttare via tutto l’inutile ciarpame.

Se è vero tutto quello che ho detto finora, la ricerca degli aspetti comuni alle varie storie porta concludere che tutte sono, in realtà, sempre la stessa.
Torniamo alla storia di Gesù: egli è un Dio di seconda generazione, che ha un Padre più potente di lui, in quanto Dio generatore autocreatosi.

Questo aspetto simbolico può certo rappresentare, junghianamente parlando, il giovane che toglie il potere all’anziano, la nuova idea che vince la vecchia, ma ha anche un altro significato che non possiamo certo trascurare: la differenza che esiste tra la figura del Dio autocreatosi e quella del creatore da esso creato.

Il Creatore, poi, si circonda di altri creatori anch’essi creati dal Dio autocreatosi. Si tratta proprio di due livelli ben diversificati, che solo un certo sincretismo, più politico che storico, ha tentato di riunificare. Così Jahvè e Cristo si uniscono nello stesso essere nel mistero (?) della Santissima Trinità, cosi Ra diviene l’identificazione di Atum con il nome di AtumRa, ma si tratta di due simboli differenti.
Gli stessi due simboli si trovano anche nelle ipnosi regressive condotte sugli addotti, quando, in quello stato modificato di coscienza, l’anima racconta di Dio e del Creatore identificando due ruoli ben differenti: i creatori sarebbero alieni e Dio sarebbe la nostra Coscienza. 

La storia è sempre la stessa: gli antichi miti parlano dei nostri sogni e delle nostre visioni attuali perché il materiale archetipico di partenza è lo stesso. Poco importa se la storia deriva da un’antica leggenda o se è stata sognata questa notte. In entrambi i casi è stata suggerita dall’inconscio, il quale, attraverso il lavoro del lobo destro del cervello, è in grado di “annusare” la Realtà Reale ed immutabile che si manifesta attraverso la Realtà Virtuale, la quale viene dalla prima modificata in continuazione mediante gli archetipi.

Il numero 12

Questo numero lo troviamo dappertutto, come se, in effetti, il nostro inconscio ne fosse alla ricerca, o meglio, fosse alla ricerca di un suo significato perduto. In termini archetipici ed inconsci direi che l’essere umano sa che il dodici è legato a qualcosa di importante, che rappresenta archetipicamente l’Universo e dentro di sé ne cerca il significato.
a. Le Dodici Costellazioni dello Zodiaco (I Dodici Mahadeva o Arcangeli)
b. I Dodici Pianeti Sacri
c. Le Dodici Lune del Pianeta Giove
d. Le Dodici Tribù di Israele
e. Le Dodici Porte della Città Celeste (Shamballa)
f. Le Dodici Fatiche di Ercole (personificazione dell’Iniziato)
g. I Dodici Apostoli (I Dodici Angeli Planetari)
h. I Dodici Petali Sacri del Cuore (Chakra)
i. I Dodici Mesi dell’Anno

Ma non basta! Il numero dodici governa l’Universo fisico con le dodici particelle fondamentali della fisica: sei Quark e sei Leptoni, più un collante composto da quattro “trasportatori” delle informazioni relative alle forze.


E che dire delle dodici leggi che regolano il mondo del dualismo Yin e Yang?
  1. L’infinito Uno comprende in sé Yin e Yang.
  2. Yin e Yang esprimono in modo antagonista e complementare l’infinita forza dell’Uno.
  3. Yin manifesta la forza centrifuga; Yang manifesta la forza centripeta. Yin e Yang, combinate in infinite proporzioni variabili, producono l’energia e tutti i fenomeni.
  4. Yin attrae Yang e Yang attrae Yin.
  5. Yin respinge Yin e Yang respinge Yang.
  6. La forza di attrazione è proporzionale alla differenza tra le componenti Yin e Yang. La forza di repulsione è inversamente proporzionale alla differenza tra le componenti Yin e Yang. 
  7. Tutti i fenomeni sono effimeri, perché le forze Yin o Yang che li costituiscono mutano costantemente; Yin e Yang, infatti, sono in continuo divenire e, comunque, tendono a trasformarsi nel loro opposto.
  8. Niente è solamente Yin o solamente Yang. Ogni cosa è composta dall’insieme di queste forze, il cui equilibrio dinamico è in continuo mutamento.
  9. Non esiste nulla che sia neutro. In qualsiasi realtà esiste sempre un predominio di Yin o di Yang.
  10. Il grande Yin attrae il piccolo Yin. Il grande Yang attrae il piccolo Yang.
  11. Lo Yin estremo produce Yang. Lo Yang estremo produce Yin.
  12. Tutti gli oggetti e le forme fisiche sono Yang al centro e Yin alla superficie.

SENSAZIONE, EMOZIONE O SENTIMENTO?

Quello che noi vediamo e sentiamo dentro di noi sono i simboli, che tentiamo di riconoscere attraverso il nostro inconscio ed il suo livello di consapevolezza. Chi ha molta consapevolezza è in grado di leggere in tutte le direzioni virtuali dell’Universo, ma chi ne ha poca non riesce a leggere che pochi e piccoli frammenti della Realtà Virtuale e si deve accontentare di una visione parziale dell’Universo stesso.
Ora, dopo aver fornito alcuni esempi di reinterpretazione simbolica della virtualità, che ci permette di andare a ritroso fino a scovare la Realtà nascosta dall’apparenza, dobbiamo fare un altro un passo indietro. Sappiamo come riconoscere un simbolo, ma come si fa ad arrivare all’archetipo che sta dietro di esso?

L’Archetipo è qualcosa di invisibile in questo Universo: non si manifesta, ma in qualche modo fa manifestare l’Universo stesso. Non possiamo vedere l’Archetipo, ma possiamo percepirne le manifestazioni e più vicini andiamo ad esso, più siamo in grado di intravederne l’essenza.

Prima del simbolo, infatti, c’è qualcosa che lo forma ed è la stessa cosa che ci permette di interpretarlo. Se andiamo avanti nella scala gerarchica vediamo che prima dell'immagine c’è il colore. Il colore è lo strumento che ci permette di identificare un’immagine, è la prima cosa che percepiamo, poi dopo cercheremo di capire la “forma” del disegno. Così anche il suono crea il fonema. La prima cosa che il nostro cervello fa è tentare di comprendere il suono e poi tenta di dare un significato fonemico al suono percepito. Così prima del simbolo esiste il suo “formatore” ed attraverso questo “formatore” siamo in grado di interpretare il simbolo stesso.


Questo “formatore” è la cosiddetta “Sensazione del”.
La Sensazione del, non si sente con i cinque comuni sensi, bensì con qualcosa di non meglio identificabile, che comunque è in noi ed è evidentemente in grado di percepirla.

Per semplicità chiamerò la “Sensazione del” con un termine meno vago: Emozione.

Cos’è l’emozione? È quella cosa che ti dà, appunto, una strana sensazione: la “Sensazione del”. Davanti ad un tramonto? Quando ti hanno abbandonato? Quando ti hanno ritrovato? Quando ti hanno riconosciuto? Quando ti hanno rifiutato? Quando ti hanno eletto? Quando ti hanno dimenticato? 

Calma: sono solo alcuni esempi. Chi legge tende a personalizzare la sua situazione fino a questo punto? Beh, vuol dire che un archetipo si è mosso dentro di lui.

La “Sensazione del” non può essere raccontata, ma va provata, vissuta e riconosciuta come tale. Essa è l’emozione e l’emozione è legata alla presenza di coscienza; chi è Anima è anche emozione, ma chi non possiede l’anima è immune all’emotività.

Affrontiamo subito il problema della differenza tra emozione e sentimento: si tratta di due cose completamente differenti.

Il sentimento è uno stato dello Spirito, mentre l’emozione è uno stato dell’anima. Se siamo arrabbiati, spaventati, contenti, infastiditi, stiamo vivendo una reazione ad una condizione dello Spirito, il quale, attraverso la Mente, la manifesta come sentimento.

Quando, invece, Anima trasmette il suo stato alla Mente, l’effetto è l’emozione.

L’emozione appare all'improvviso e non sembra avere razionalmente niente a che fare con tutto il resto, infatti ha matrice inconscia: è ciò che fa piangere senza un valido motivo. È la nostra razionalità a scovare un motivo, che non esiste a meno di non considerare il pianto come una reazione del corpo ad una particolare sollecitazione.

La scienza oggi dice che non si sa perché si piange. Gli animali, infatti, non piangono.

Perché si piange? Nessuno lo sa.

Invece, se si ritiene che il pianto sia una reazione corporale ad un manifestarsi dell’anima attraverso gli archetipi, si capisce come la scienza sia del tutto impotente a dare una razionale spiegazione al fenomeno.

La spiegazione, infatti, sta al livello della Coscienza ed a livello animico non esiste nessuna spiegazione razionale di alcunché.

La Realtà Reale della coscienza dell’anima non ha bisogno di spiegazioni e di algoritmi che la descrivano. Ancora una volta la scienza si arena di fronte all’anima e non sa cosa dire. Basterebbe ammettere che, oltre agli assi dello Spazio, del Tempo e dell’Energia, esistesse anche l’asse della Coscienza e tutto troverebbe la propria collocazione.

Ma avere Coscienza significherebbe dovere anche ammettere di avere responsabilità.
La scienza demanda le responsabilità alle leggi della fisica, così come la religione le affida ai dogmi della chiesa.

Solo chi è veramente Anima sa che di scienza e fede non ci si può fidare.

La confusione nel distinguere emozione da sentimento è provocata dal fatto che spesso ambedue si manifestano contemporaneamente. Piango e batto un pugno sul tavolo perché mi hanno licenziato dal lavoro? Il pugno sul tavolo manifesta un sentimento di odio e di autoaffermazione contro chi mi ha tolto qualcosa di mio. Anima, invece, piange perché si indigna per la sofferenza del vivere.

Sono convinto che il pianto, reazione corporea assolutamente disconosciuta dai vari Piero Angela della situazione, sia provocato da una reazione dell’anima, mentre il pugno sul tavolo sia dovuto ad una reazione dello Spirito, pertanto lo Spirito manifesterebbe attraverso la Mente le sue reazioni con il sentimento, mentre Anima le manifesterebbe con le emozioni. Imparare a discernere le due manifestazioni vuol dire imparare a capire cosa dice Anima e cosa dice Spirito, ma anche chi ha l’anima e chi no.In altre parole è chiaro che, se quel che dico fosse vero, ci troveremo di fronte a due tipi di umanità, dei quali uno con l’anima e la capacità di discernere superiore all’altro, che non ha l’anima (o non è Anima, come sarebbe più corretto dire - n.d.a.) In realtà dunque chi ha l’anima, o meglio, chi è Anima, se vuole può capire: gli altri, anche se vogliono, non potranno mai capire. Ne risulta che chi capisce è veramente isolato dagli altri, perché appartiene ad uno sparuto gruppo di soggetti con l’anima e per di più evoluta.

È come dire, archetipicamente o meglio simbolicamente, che in tutti esiste Dio (la Coscienza), ma in molti non sa di esserci.



ESERCIZI CON LA TABELLA

Ritorniamo dunque alla tabella iniziale degli archetipi:

In realtà questa, come del resto abbiamo già visto, è una delle tante tabelle esistenti di questo tipo, nella quale ad un segno (o disegno), che è più che altro un simbolo, viene correlato un movimento.

Quel movimento viene però facilmente associato ad un modo di “sentire dentro di sé”.

Facciamo un esempio. Se andare in una direzione è esprimibile anche con una freccia, andare in avanti potrebbe significare anche progredire dalla situazione attuale verso il futuro, così cioè andare indietro potrebbe significare il ritorno verso una situazione, e non verso un luogo. Si potrebbero così affiancare, a quella del movimento, simbologie decisamente più archetipiche di “sensazioni” provate intimamente.
Bisogna subito sottolineare che questa tabella non è quella degli archetipi assoluti, cioè quella relativa alle azioni di rotazione, traslazione, inversione e scalatura a cui si è fatto riferimento in precedenza, le quali coinvolgerebbero anche azioni nel dominio Spazio-Tempo-Energia che il nostro cervello faticherebbe ad immaginare.

Questa tabella si limita a rendere palpabili le azioni che avvengono solamente nelle tre dimensioni dello Spazio: altezza, larghezza e lunghezza. Pertanto alcuni riferimenti al tempo non sono reali e rappresentano il manifestarsi di sensazioni legate al Tempo mentre ci si sposta nello Spazio. Questo accade perché, mentre ci spostiamo nello Spazio, di solito non ci accorgiamo di spostarci anche nel Tempo. Infatti, da un punto di vista simbolico, quando guardiamo verso sinistra (se non siamo mancini) abbiamo la sensazione di guardare indietro nel tempo e, quando guardiamo verso destra, volgiamo simbolicamente lo sguardo al futuro.

Così spostarsi in avanti avrebbe, in senso metaforico, anche il significato di allontanarsi o di sporgersi per raggiungere un obiettivo. Nell’idea di raggiungere un obiettivo sono comprese sia la componente spaziale sia quella temporale, alla quale non possiamo comunque sfuggire. In altre parole una rappresentazione archetipica delle sole azioni spaziali appare tecnicamente impossibile, ma è per questo che, attraverso il movimento nello Spazio, siamo in grado di percepire sensazioni legate al Tempo.

Il primo simbolo rappresenta lo stato di quiete, lo stare fermi; sei simboli rappresentano la traslazione, sia in un senso che nell’altro, in una sola direzione su ciascuno dei tre assi spaziali. Tre simboli rappresentano la dilatazione e tre la contrazione secondo ciascuno dei tre assi. Un simbolo rappresenta l’espansione su due assi e la contemporanea contrazione secondo il terzo ed un altro simbolo la contrazione secondo due assi e la contemporanea espansione secondo il terzo. Un simbolo rappresenta la contrazione ed un altro la dilatazione contemporanea su tutti e tre gli assi. Tre simboli rappresentano lo spostamento contemporaneo lungo due assi ortogonali, ma con movimenti sfasati nel tempo: si tratta dell’operatore “rotazione su di un piano”. Gli ultimi due simboli rappresentano, nei due versi, l’operatore “scalatura in tre dimensioni”. Non esistono altre possibilità e qualsiasi altra azione viene rappresentata dalla somma di più simboli. Per esempio la rotazione nelle tre dimensioni è semplicemente la somma di tre oscillazioni lungo i tre assi perpendicolari che definiscono lo Spazio cartesiano.

Si nota subito che, anche in questo sottoinsieme rappresentato dal solo Spazio, esistono ventidue azioni-base di cui la prima, lo stato di quiete, rappresenta l’archetipo degli archetipi, come sempre del resto. Infatti lo stato di quiete significa, da un lato, “essere, ma non apparire” e dall’altro rappresenta la somma algebrica di tutte le altre azioni possibili. Ho rappresentato questo archetipico senso dell’azione (non l’azione in sé) con un puntino.

L’espandersi in tutte e tre le direzioni dello spazio rappresenta il manifestarsi in tutti i corpi dell’Universo, il divenire visibili, anche il nascere (ultimo disegno archetipico della tabella).
Gli altri simboli rappresentano tutte le possibilità di azione, sia in una sia in due sia in tre dimensioni, ma solamente spaziali.



OPERAZIONI CON I SIMBOLI (OPERAZIONI SIMBOLICHE)

Il simbolo è utilizzabile come linguaggio e, come tale, fornisce da un lato il risultato geometrico dell’operazione, ma dall’altro è in grado di restituire il risultato emotivo dell’operazione stessa. In altre parole attraverso il simbolo si opera sull’emotività dell’interlocutore e quindi lo si fa risalire all’archetipo originario del simbolo stesso, in una sorta di processo inverso.
Facciamo un esempio: Gli archetipi hanno un solo modo di interazione: si sommano, quindi si sommano anche i simboli che li rappresentano. Esaminiamo questa espressione:



andare avanti nel tempo ed oscillare tra alti e bassi equivale ad oscillare nello SpazioTempo. Si noterà che il simbolo utilizzato per descrivere l’operazione ha dei requisiti grafici che ricordano qualcosa di ambedue i simboli precursori.

Inoltre l’espressione “oscillare nello Spazio-Tempo” produce, nell’interlocutore, una sensazione che dovrebbe essere molto vicina alla sensazione archetipica di “navigare sulle onde”, o meglio, farsi portare dagli eventi.

Ma cosa si sta facendo? Si sta costruendo un nuovo linguaggio del quale possiamo studiare le regole intrinseche, così come è stato fato per tutti gli altri linguaggi. Questo linguaggio, però, possiede una caratteristica particolare: è matematico, cioè decisamente simbolico, ma è anche in qualche modo esprimibile mediante sensazioni.

Le sensazioni sono legate al simbolo ed interpretabili per suo tramite molto meglio che con un fonema. Quando ascoltiamo una vibrazione musicale, essa ci richiama alla mente un simbolo che, a livello inconscio, altera il nostro stato dell’anima (se così si può dire n.d.a.). Ma se questo processo è basato sul colore, o meglio, sul simbolo stesso, allora la “sensazione del” è ancora più forte e riconoscibile. In breve, se l’archetipo produce una sensazione e di conseguenza un simbolo, quest’ultimo può essere riconosciuto come sensazione ed evocare l’archetipo corrispondente.

Tutti capiranno allo stesso modo l’emozione e di conseguenza questo linguaggio archetipico sarà da un lato perfetto e dall’altro assolutamente non evoluto. Questo non è affatto un controsenso, bensì una conseguenza della Realtà Reale. Essendo gli archetipi manifestazioni della Coscienza, essi rappresentano qualcosa che da sempre è e sarà uguale, senza mutare mai. Dunque il linguaggio primordiale appare il migliore, mentre i linguaggi che subiscono cambiamento (specializzazione) sono frutto della variabilità della Realtà Virtuale e quindi fallaci.

Il numero 7

Ma esaminiamo ancora meglio la struttura interna dell’archetipo. Esso è creato all’origine dalla Coscienza, cioè da ciò che viene identificato con il termine “Demiurgo” o, più semplicemente, Dio. La Coscienza emette l’atto di volontà e crea l’archetipo: la domanda a questo punto è: “L’archetipo è frutto passivo di una volontà attiva o contiene esso stesso la volontà attiva, divenendo dunque una estensione attiva del Demiurgo?”

Se così fosse, sarebbe anche meglio giustificabile, da parte dell'uomo primitivo, considerare un Universo creato da un Dio di prima generazione, la Coscienza, che crea dodici Dei di seconda generazione e meno potenti, appunto gli archetipi.

Infine la visione suggerita in questa sede, di interpretazione degli archetipi sulla base di operatori geometrici, giustificherebbe anche un'interpretazione molto esoterica del numero sette. Sette sono le note fondamentali della musica, sette sono i colori fondamentali dello spettro, sette sono i chakra, sette sono i livelli energetici degli elettroni negli atomi e sette, come abbiamo visto, sono anche le operazioni geometriche fondamentali, nell’accezione più generale possibile: la traslazione in un verso e nell’altro (antitraslazione), la rotazione in un verso e nell’altro (antirotazione), la variazione di grandezza in espansione ed in contrazione e l'inversione (specularità).

Ecco, forse, perché il numero 7 è così importante per la comprensione della struttura universale com’è vista dal lobo destro del cervello, cioè dai neoplatonici, dagli esoteristi ed, apparentemente in modo irragionevole, anche dalla fisica moderna.


Corrado Malanga


6 commenti:

  1. Fantastico. Grazie del prezioso contributo che assembla così tante teorie e spiegazioni in un quadro unico e coerente di riferimento. E' da rileggere e approfondire

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  2. Ho conosciuto il dott. malanga tanti anni fa, prima di una sua conferenza sul SuperSpin. Mi piacerebbe incontrarlo di nuovo anche solo per due chiacchere e il piacere di parlare con lui. E' possibile?

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  3. Moderatore, hai capito cosa ho scritto? sarebbe possibile incontrare il dott. Malanga?

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