venerdì 27 giugno 2014

Brzezinski capovolto: il dilemma finale eurasiatico

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Introduzione
Un cambiamento globale nella strategia degli Stati Uniti è attualmente in corso, con gli USA che passano da ‘gendarme del mondo’ a mandante criminale. Questo cambiamento fondamentale comporta essenzialmente che gli Stati Uniti passino dalle grandi operazioni militari offensive alle forze stay-behind difensive. Parte di tale trasformazione è la riduzione militare convenzionale e sua sostituzione con forze speciali e agenti d’intelligence. Anche le compagnie militari private (PMC) occupano un ruolo maggiore nella grande strategia degli Stati Uniti. Naturalmente, ciò non vuol dire che gli Stati Uniti non hanno più la capacità o la volontà di aggredire, per nulla, ma che la strategia in evoluzione degli Stati Uniti preferisce un approccio più indiretto e nefasto alla proiezione di potenza, superando invasioni e bombardamenti di massa. 

Così seguendo il consiglio di Sun Tzu che  scrisse che, “la suprema eccellenza consiste nel spezzare la resistenza del nemico senza combattere“. Il risultato è una miscela di rivoluzioni colorate, guerre non convenzionali ed interventi di mercenari evitando l’uso diretto delle truppe degli Stati Uniti e basandosi sull’ampio coinvolgimento dei fantocci regionali. Ciò si traduce nella promozione della politica statunitense attraverso metodi obliqui e il mantenimento della relativa negazione plausibile. È importante sottolineare che l’assenza di forze convenzionali sia pensata per ridurre il rischio di un confronto diretto tra Stati Uniti e Russia, Cina e Iran, gli obiettivi primi di tali guerre per procura. Il piano di destabilizzazione strategico e di fratturazione eurasiatico deve la sua genesi a Zbigniew Brzezinski e al suo concetto dei Balcani eurasiatici. 

Gli Stati Uniti sono flessibili nel praticare questo concetto, che non si ferma finché la destabilizzazione incontra un ostacolo e non può avanzare. In questo caso, come in Ucraina, Siria e Iraq e forse presto nel Mar Cinese Meridionale, lo stratagemma evolve massimizzando il caos negli Stati trampolino posizionati sulla soglia delle potenze eurasiatiche. L’idea è creare “buchi neri” del disordine assoluto in cui Mosca, Pechino e Teheran siano “dannati se intervengono, dannati se non intervengono”. Idealmente, gli Stati Uniti preferiscono che i loro obiettivi siano risucchiati in un pantano che li esaurisca e li destabilizzi, come nella guerra sovietico-afgana che Brzezinski tramò oltre 30 anni fa. Lontano dall’espansione dei Balcani eurasiatici e ritornando alle radici dell”anarchia afgana’, si ha la natura del Brzezinski capovolto, che pone nella trappola del dilemma finale le potenze eurasiatiche.

Il prototipo afgano
L’esperienza degli Stati Uniti nell’addestrare e armare i mujahidin per scatenare e gestire la guerra sovietico-afgana, può essere considerata la prima incursione della strategia del mandante. Gli Stati Uniti cooperarono con Pakistan e altri Stati islamici diffondendo il caos in Afghanistan (anche creando l’organizzazione mercenaria internazionale al-Qaida), destabilizzando strategicamente, in modo così allettante, l’Unione Sovietica da non potere resistere alla sollecitazione ad intervenire. Obiettivo ultimo dal successo clamoroso e anche culmine delle guerre per procura della Guerra Fredda, che modificò nettamente l’equilibrio del potere internazionale del momento. Fu un tale successo che venne accreditato come uno dei fattori che contribuirono alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Ciò alterò l’equilibrio del potere globale e portò al momento unipolare degli Stati Uniti. In tale periodo, il prototipo della guerra per procura afgana non fu più ritenuto necessario poiché gli Stati Uniti avevano potere, volontà e possibilità di proiettare potenza direttamente e con forza in tutto il mondo.

Il momento unipolare dello Shock and Awe
Ubriachi di potere dopo esser usciti vittoriosi dalla guerra fredda, gli Stati Uniti iniziarono un’ondata di interventi militari con la prima guerra del Golfo. Anche se spacciata come operazione multilaterale, gli Stati Uniti furono il maggiore azionista della coalizione bellica. Nel giro di pochi anni gli Stati Uniti bombardarono le posizioni serbe in Bosnia prima di iniziare la guerra unilaterale della NATO nel Kosovo, provincia della Serbia. Fu il bombardamento della Serbia a svegliare i decisori russi sulla necessità di difendere il loro Paese da minacce future, iniziando così l’impegno a modernizzazione la propria industria della Difesa, al fine di scoraggiare un attacco diretto USA/NATO contro gli interessi russi. Tuttavia, ciò non determinò un cambio immediato, e nel frattempo il potere degli Stati Uniti era al culmine. 

Dopo gli attacchi terroristici del 9/11, gli Stati Uniti intrapresero l’operazione militare e successiva occupazione dell’Afghanistan, un Paese situato dall’altra parte del mondo e vicino all’Heartland dell’Eurasia. Tale massiccia espansione della potenza militare statunitense nel continente fu inedita, ma anche segnò il culmine dell’era post-guerra fredda. L’epitome del momento unipolare fu in realtà la campagna Shock and Awe del 2003 in Iraq. In quel periodo gli Stati Uniti bombardarono massicciamente l’Iraq con una dimostrazione di forza volta sicuramente a ricordarne al resto del mondo lo status di superpotenza. Inoltre distribuirono una quantità incredibile di truppe e armamenti in Medio Oriente. Ironia della sorte, i successivi costi finanziari della guerra e dell’occupazione svolsero un ruolo decisivo nel ridurre la potenza statunitense permettendo ad altri Paesi, come Russia e Cina, di affrontare la sfida e difendere dagli Stati Uniti le proprie sfere d’interesse.

I Balcani eurasiatici
Fu al centro del momento unipolare, nel 1997, che Brzezinski, autore di “La Grande Scacchiera”,  definì le priorità geostrategiche degli Stati Uniti in Eurasia e come raggiungerli al meglio. Postulò l’indispensabilità per gli Stati Uniti di un’influenza dominante sull’Eurasia, e che la via migliore perciò fosse impedire la collusione tra Russia e Cina. La ‘balcanizzazione’ strategica delle società del continente eurasiatico è un mezzo cardine per destabilizzare l’intero continente. Nella sua conclusione logica, prevede di creare un’ondata di anarchia etnica, religiosa e politica che può schiantare e smembrare le civiltà di Russia, Cina e Iran. Per certi aspetti, le guerre statunitensi in Afghanistan e Iraq e le loro conseguenze caotiche, possono essere viste come dettate dalla filosofia di tale principio. Gli Stati Uniti hanno anche storicamente intrapreso operazioni di cambio di regime come metodo per diffondere la destabilizzazione continentale facendo penetrare la potenza occidentale in Eurasia.

Cambio di regime
Il cambio di regime è sempre stato una caratteristica della politica estera statunitense, dal rovesciamento segreto del governo siriano nel 1949. Da allora, la CIA avrebbe rovesciato o tentato di rovesciare più di 50 governi, anche se l’ammise solo in 7 casi. Il cambio di regime può essere diretto o indiretto. Del primo caso vi sono gli esempi di Panama nel 1989 o Iraq nel 2003, mentre del secondo vi sono il colpo di Stato iraniano del 1953 o le rivoluzioni colorate. Come evidenziato dal recente colpo di Stato ucraino, il cambio di regime oggi può essere svolto al modico costo di soli 5 miliardi di dollari, una frazione della spesa richiesta per rovesciare direttamente Janukovich e invadere il Paese. Inoltre, a seguito delle circostanze internazionali e della rinascita della potenza militare russa, era impossibile agli Stati Uniti farlo senza rischiare una grande guerra. Pertanto, le operazioni segrete di cambio di regime sono preferibili quando gli interessi di altre grandi potenze sono in gioco. E’ assai importante che la nuova dirigenza sia percepita legittima dalla comunità internazionale dopo il colpo di Stato. Dato che la democrazia occidentale è vista come elemento standard di un governo legittimo, le rivoluzioni colorate pro-occidentali sono il metodo ottimale di cambio di regime negli Stati presi di mira che oggi non praticano tale forma di governo.

Rivoluzioni colorate
Le rivoluzioni colorate sono colpi di Stato filo-occidentali eterodiretti. In particolare utilizzano  social media e ONG per infiltrare la società, ingrossare i ranghi ed espanderne l’efficienza dopo l’avvio dell’operazione di cambio di regime. In genere manipolando grandi masse si crea l’illusione di un vasto movimento popolare di scontenti che si sollevano contro una dittatura tirannica. Tale percezione fuorviante consente al tentativo di colpo di Stato di avere ampio sostegno e l’accettazione dalla comunità occidentale, denigrando le legittime autorità che cercano di opporsi al rovesciamento illegale. Le masse manipolate sono trascinate per le piazze soprattutto tramite le tattiche di Gene Sharp, che con destrezza cercano di amplificare i movimenti di protesta sociale al massimo possibile. 

Tale nuovo metodo di guerra è estremamente efficace perché presenta un dilemma sorprendente per la leadership dello Stato interessato, usare la forza contro i manifestanti civili (de facto scudi umani inconsapevoli manipolati politicamente), per colpire il nucleo estremista tipo Pravyj Sektor? E sotto gli occhi dei media occidentali che seguono gli sviluppi, il governo può permettersi d’essere isolato dalla comunità delle nazioni, se si difende legalmente? Così, le rivoluzioni colorate presentano la strategia da Comma-22 al governo preso di mira; non è quindi difficile capire perché si siano diffuse nello spazio post-sovietico e oltre, sostituendo i ‘tradizionale’ colpi di Stato della CIA, divenendo il modus operandi occulto del cambio di regime.
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Verso la strategia del mandante e la sua accettazione ufficiale
Le convenzionali (forti) strategie di cambio di regime (Panama, Afghanistan, Iraq) erano possibili in un mondo unipolare, ma con il momento unipolare che svanisce, gli Stati Uniti sono costretti a riavviare il modello del mandante con cui già flirtarono durante la guerra sovietico-afgana. La prima indicazione ufficiale che gli Stati Uniti passavano a tale strategia fu il loro comportamento nella guerra di Libia del 2011, dove usarono per la prima volta la tattica del mandante. Ciò fu seguito dall’allora segretario alla Difesa Robert Gates, nel discorso finale in cui implorò gli alleati della NATO a fare di più per aiutare gli Stati Uniti nell’affrontare le sfide globali. Fu quindi evidente che gli Stati Uniti non erano più entusiasti del “far da sé”, come prima, né sembravano disposti a porre l’ultimatum “siete con noi o contro di noi”. 

L’indicazione che la potenza statunitense declinava  relativamente davanti le altre grandi potenze, fu formalmente indicata dal National Intelligence Council del 2012. Nella sua pubblicazione “Global Trends 2030“, scrisse come gli Stati Uniti saranno “primus inter pares” perché “il ‘momento unipolare’ è finito e la ‘Pax Americana’, l’era della supremazia statunitense nella politica internazionale iniziato nel 1945, si esaurisce rapidamente”. Chiaramente, in un ambiente così competitivo, l’unilateralismo aggressivo sarà sempre più difficile da attuare senza rischiare conseguenze. Quest’ulteriore dato diede impulso alla strategia del modello del mandante nell’attuazione dei piani militari statunitensi. Infine, il presidente Obama istituzionalizzò il modello del mandante parlando a West Point a fine maggio. 

Nel suo discorso sottolineò che “l’America deve dirigere la scena mondiale… ma che l’azione militare degli Stati Uniti non può essere l’unica, o addirittura prima, componente della nostra leadership in ogni caso. Solo perché abbiamo il miglior martello non significa che ogni chiodo sia un problema“. Ciò fu interpretato come se gli Stati Uniti abbandonassero formalmente l’unilateralismo del ‘fare da sé’ salvo in circostanze eccezionali. A questo punto, è evidente che gli Stati Uniti hanno mostrato definitivamente l’intenzione di scambiare il posto di poliziotto mondiale con quello di mandante occulto. Illustra ulteriormente tale punto la trasformazione sociale e politica regionale che gli Stati Uniti hanno immaginato con la Primavera araba, che non sarebbe riuscita come azione unilaterale. Pertanto, il 2011 rappresenta la fine ufficiale del momento unipolare e l’inizio dell’era del mandante, e l’adattamento dei militari statunitensi al mondo multipolare.

Le improvvisazioni siriana e ucraina
Siria e Ucraina rappresentano improvvisazioni tattiche delle strategie del mandante e dei Balcani  eurasiatici. L’ibrido risultante presenta la prima indicazione di ciò a cui somiglia il nuovo approccio alla guerra degli Stati Uniti. Cominciando con la Siria, la guerra segreta degli Stati Uniti rientra nei  piani per la trasformazione della regione con la Primavera araba. A differenza di Tunisia, Egitto o Yemen, le autorità siriane hanno resistito con fermezza al tentativo di rivoluzione colorata grazie al notevole sostegno popolare e alla legittimità tra la popolazione. Ciò era un ostacolo all’attuazione del modello del mandante appena lanciato in Libia (pseudo-rivoluzionari aiutati dai raid aerei occidentali). Considerando che in Libia ampi segmenti della società erano precariamente tenuti insieme dalla personalità e dal governo di un singolo individuo, in Siria la situazione era completamente diversa. La Siria ha una identità civile, mentre la Libia ha solo un’identità nazionale (anche se Gheddafi cercava di far evolvere tale identità a livello continentale africano, prima di essere rovesciato e ucciso). Tuttavia, poiché un forte sostegno popolare ha reso estremamente difficile ‘balcanizzare’ la Siria allo stesso modo della Libia, gli Stati Uniti dovettero improvvisare la propria strategia ed adattarsi a questo ostacolo. 

Gli Stati Uniti così optarono per la strategia del  mandante indiretto, contribuendo a reclutare, addestrare, armare e dispiegare mercenari islamici in Siria, utilizzando la Turchia come ascaro regionale grazie ai mutui interessi. Ankara ha l’ambizione di ripristinare l’impero ottomano anche se rimodellato e quindi era l’alleato più attivo degli Stati Uniti nel destabilizzare la Siria. Quando l’ibrido rivoluzione colorata/eterodiretta non era evidentemente sufficiente a rovesciare il governo siriano, gli Stati Uniti passarono alla strategia della guerra non convenzionale. Pertanto, il contributo dell’esperienza siriana alla nuova strategia di guerra degli Stati Uniti fu dare ai gruppi mercenari addestrati dagli occidentali un ruolo maggiore nel promuoverne sul campo gli obiettivi. Tale principio viene applicato con alterne fortune in Ucraina dopo il colpo di Stato contro Janukovich. Prima gli Stati Uniti avevano ancora una volta lanciato la loro ibrida rivoluzione colorata/eterodiretta, salvo che in questo caso la Polonia ha sostituito la Turchia come potenza egemone regionale nella destabilizzazione del vicino. 

Indipendentemente da ciò, vi sono molte somiglianze strutturali, ma a differenza di Assad che ha coraggiosamente resistito alla guerra combattuta contro di lui, Janukovich capitolò e fu rovesciato  rapidamente. A questo punto, il popolo di Crimea e del Donbass si oppone ai golpisti cominciando a far valere i propri diritti umani. Mentre la Crimea ha avuto successo nel rapido ricongiungimento con la Federazione russa (grazie a circostanze storiche uniche e alla demografia), il Donbas ha dovuto condurre una lunga lotta di autodeterminazione. In questa lotta gli Stati Uniti importano la loro strategia siriana in Ucraina. Mercenari occidentali, agenti della CIA e dell’FBI, consiglieri militari e oltre 50 milioni di dollari sono stati inviati alla giunta per aiutarla a reprimere la ribellione orientale. Il fatto che le improvvisazioni apprese durante la destabilizzazione siriana siano ripetute in un altro teatro, conferma che gli Stati Uniti hanno sviluppato un nuovo approccio alla guerra.

Brzezinski capovolto e le insidie eurasiatiche
Le guerre segrete condotte dagli Stati Uniti in Siria e Ucraina sono parte integrante della più ampia strategia dei Balcani eurasiatici. Idealmente, la logica del mandante è diffondere la destabilizzazioni come un incendio in una foresta arida, fagocitando Iran (con la Siria e il flusso di mercenari in Iraq) e Russia (Ucraina). Questo pio desiderio è subito fallito quando la Siria e il popolo di Crimea e del Donbas hanno resistito. Per estensione, Iran e Russia coprono i loro interessi nelle rispettive sfere, comprendendo che il successo della politica estera degli Stati Uniti potrebbe costituire una minaccia esistenziale. Così, con la destabilizzazione relativamente contenuta, la strategia inversa di Brzezinski viene respinta. Gli Stati Uniti hanno cercato di capitalizzare il caos in Siria e Ucraina,  per creare “buchi neri” in cui risucchiare Iran e Russia. Scientificamente parlando, un buco nero è formato da una stella collassata, per far sì che tale metafora sia rapidamente trapiantata nella geopolitica, si guardi al caos balcanizzato formato da uno Stato fallito (o parti di essi). 

La Siria non è crollata, ma parti del Paese rimangono al di fuori del controllo del governo legittimo. L’Iraq si  avvicina allo status di Stato quasi fallito, i cui problemi possono rappresentare una pericolosa minaccia per l’Iran. Allo stesso modo, l’Ucraina è uno pseudo-Stato fallito, e gli eventi che genera  sono un pericolo significativo per la Russia. In entrambi i casi, accade che i buchi neri si formano in alcune parti della Siria, della maggior parte dell’Iraq e in Ucraina, la cui attrazione gravitazionale è la destabilizzazione e il caos che possono facilmente aspirare Iran e Russia. Dopo tutto, Iran e Russia hanno i legittimi interessi di sicurezza nazionale messi in pericolo dalle azioni degli USA  nelle vicinanze, e la tentazione potrebbe essere troppo grande per astenersi da un coinvolgimento. Ciò rende le situazioni in Siria/Iraq e Ucraina delle insidie eurasiatiche per intrappolare Iran e Russia. 

Russia e Iran sono obiettivi del Brzezinski capovolto, perché gli Stati Uniti hanno già importanti infrastrutture e influenza nelle loro vicinanze (NATO e basi nel Golfo). Ciò facilita la direzioni di tali grandi operazioni segrete. Una struttura simile non è ancora pronta nel Sudest asiatico, ma potrebbe presto apparire dopo il Pivot in Asia degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno infrastrutture e influenza in Asia nordorientale, ma il sud-est asiatico rappresenta il ventre molle di Pechino. In futuro gli Stati Uniti potranno utilizzare le lezioni di Siria/Iraq e Ucraina per costruire una trappola ancora più allettante contro la Cina, o forse riuscire a mettere Russia e Iran ‘fuori gioco’, e una sistemazione sarebbe possibile con la Cina, consolidandola in una posizione asservita. Allo stesso modo, se gli Stati Uniti avessero successo nella destabilizzazione su larga scala dell’Asia centrale, dopo il ritiro afgano, un mega-buco nero regionale potrebbe svilupparsi aspirando contemporaneamente Russia, Cina e Iran. Sarebbe il colpo di grazia della pianificazione eurasiatica statunitense e rappresenterebbe il raggiungimento dell’obiettivo strategico della Grande Scacchiera.

Riflessioni conclusive
Compiendo una svolta completa Brzezinski è tornato ai suoi principi fondamentali, attirare gli avversari degli USA in impegni strategici da cui non poter ritirarsi. La sua istigazione della guerra sovietico-afgana con i mujahidin addestrati e armati dalla CIA, prima dell’intervento sovietico, non deve mai essere dimenticata. Il concetto dei Balcani eurasiatici ha ampiamente oscurato tale capitolo del passato di Brzezinski, ma ciò non significa che non sia meno importante per la dottrina strategica statunitense contemporanea. Mentre il momento unipolare degli Stati Uniti si avvicina al crepuscolo, l’alba dell’era multipolare è dietro l’angolo. Ciò richiede un cambio fondamentale del precedente modello offensivo degli Stati Uniti in Eurasia, e quindi il rilancio della strategia del mandante. Per accentuare il fatto che tale strategia sia attualmente utilizzata dai vertici statunitensi, si deve andare oltre i casi di Siria e Ucraina. Questi due campi di battaglia sono i fronti dichiarati di tale strategia, essendo i test in tempo reale per perfezionare tale idea. Le recenti dichiarazioni dimostrano che l’obiettivo principale degli Stati Uniti è attirare Russia e Iran nei pantani eurasiatici di Ucraina e Siria/Iraq. Brzezinski stesso ha detto che gli USA devono armare direttamente Kiev, al fine di bloccare tutte le forze russe d”invasione’ che è convinto essere sul punto di attraversare il confine. Egualmente, gli Stati Uniti ora parlano di ‘collaborare’ con l’Iran per sconfiggere il SIIL filo-occidentale in Iraq. 

Il pensiero va ai raid aerei statunitensi che coprirebbero le offensive della Guardia Rivoluzionaria iraniana (in coordinamento con l’esercito iracheno), ma in realtà ciò permetterebbe agli Stati Uniti di scegliere quando e dove entrare in battaglia (da esterni), mentre le truppe iraniane ed irachene sarebbero usate come carne da cannone. L’offerta di cooperare non è altro che una finta per ingannare gli iraniani impigliandoli nella trappola irachena. Il “reset iraniano” è altrettanto falso del reset USA-Russia, un inganno per guadagnare tempo prezioso per montare il tradimento strategico. Mentre le insidie in Medio Oriente ed Europa orientale sono già dispiegate, la versione asiatica è ancora in sviluppo. Gli Stati Uniti devono prima completare il Pivot in Asia per completare la trappola alla Cina, tuttavia ciò non vuol dire che non siano già state testate diverse strategie. Ad esempio, la controversia vietnamita-cinese sul Mar Cinese Meridionale continua a tendersi, con accuse di aggressività da entrambi le parti. Gli Stati Uniti testano il terreno per usare i leader regionali quali partner eterodiretti, e finora sembra che il Vietnam sia in prima linea nelle riuscite manovre anticinesi. Tuttavia, poiché il Pivot in Asia è ancora in essere, può cambiare, ed è difficile prevedere esattamente quale sarà la trappola asiatica quando sarà infine dispiegata.

In conseguenza delle mutate circostanze internazionali, gli Stati Uniti hanno definitivamente abbandonato i grandi interventi militari a favore delle guerre segrete per procura con i paramilitari. La nomina di Frank Archibald a capo del National Clandestine Service (NCS) della CIA, nel 2013, è la prova dell’importanza delle operazioni paramilitari, del cambio di regime e delle rivoluzioni colorate nella strategia statunitense. Archibald partecipò alla guerra civile bosniaca e seguì la prima rivoluzione colorata in Serbia nel 2000. Quando un esperto in campagne paramilitari e rivoluzioni colorate, per inciso le prime riuscite nella storia, viene messo al vertice della NCS, allora qualsiasi movimento rivoluzionario colorato dovrebbe giustamente essere sospettato essere un’operazione della CIA, così come qualsiasi campagna paramilitare dannosa agli interessi russi, cinesi e iraniani. Mentre gli Stati Uniti riducono la dipendenza dal conflitto convenzionale, seguendo il consiglio di Sun Tzu di sconfiggere il nemico senza combattere direttamente, il nuovo approccio statunitense alla guerra è ancor più nefasto. Il padrino della guerra sovietico-afgana è tornato alle sue grandi radici strategiche, e la sua influente eredità ha portato alla creazione di due trappole eurasiatiche invitanti per Russia e Iran. 

Entrambi gli obiettivi prefissati furono attirati in conflitti sanguinosi quando l’Unione Sovietica finì in Afghanistan nel 1979, e siano “dannati se intervengono, dannati se non intervengono“. Quando si parla delle atrocità umanitarie e dei crimini di guerra in Ucraina, ciò è volutamente intrapreso al fine d’irritare la leadership russa e provocare una reazione militare emotiva. Mosca è ancora una volta nel mirino dello scaltro Brzezinski che l’aveva ingannata in passato, e l’Iran deve riflettere profondamente sulle conseguenze se ritornasse nel conflitto iracheno dopo lo stallo della guerra Iran-Iraq. Per concludere con il commento di Hillary Clinton in chiusura del suo libro di memorie, quando si tratta di Mosca e Teheran “il tempo per un’altra scelta difficile arriverà abbastanza presto“.

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 Andrew Korybko (USA) Oriental Review


Andrew Korybko è corrispondente politico della Voce della Russia, attualmente vive e studia a Mosca, per Oriental Review.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/26/brzezinski-capovolto-il-dilemma-finale-eurasiatico/ 

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