giovedì 21 agosto 2014

Sotto la pressione degli USA la Bulgaria blocca il gasdotto South Stream

Sotto la pressione degli USA la Bulgaria blocca il gasdotto South Stream

Come si può costringere una nazione ad accettare una decisione che va contro i suoi interessi? Washington sa bene come si fa. Per l’ennesima volta il governo di Sofia ha annunciato che tutti i lavori nell’ambito della costruzione del gasdotto South Stream saranno sospesi.
 
La spiegazione ufficiale è che il progetto non è conforme alle norme europee. Sembra però che la vera causa sia politica. Lo schema usato per indurre il paese a rinunciare al progetto che ha per esso un’importanza strategica, è davvero elementare. La Bulgaria aveva sempre sostenuto il progetto, ma in giugno il Primo Ministro bulgaro Oresharski annuncia la sospensione dei lavori. E lo fa dopo aver incontrato una delegazione degli USA, paese che, in questo caso specifico, non dovrebbe avere nessuna voce in capitolo. 

L’interlocutore di Oresharski è stato il senatore John McCain. È significativo che durante l’incontro McCain, senza mezzi termini, ha parlato della sua posizione antirussa. Più volte ha ripetuto che occorre minimizzare la partecipazione della Russia al progetto South Stream. L’assurdità di questo approccio è ovvia, perché è stata Mosca a proporre il progetto per garantire la sicurezza delle forniture verso l’Europa. 

Oltre all’attacco diretto da parte degli USA; contro la Bulgaria è stato usato anche il Parlamento europeo che ha votato una risoluzione nella quale ha constatato che la costruzione di South Stream deve essere fermata e le forniture devono essere diversficate. Tuttavia alcuni paesi hanno continuato a sostenere il progetto, specie dopo che Kiev ha minacciato di bloccare il transito di gas a partire dall’autunno o anche in inverno. Comunque sia, dopo alcuni tentativi di resistere, la Bulgaria si è arresa, nonostante che la Russia sia il suo unico fornitore di gas. 

Altre fonti per Sofia non ci sono. Se l’Ucraina impone l’embargo sul transito del gas russo, la Bulgaria sarà totalmente privata delle fonti di approvvigionamento. In più, perderà miliardi di dollari, perché con la costruzione del nuovo gasdotto già quest’anno il suo PIL sarebbe cresciuto del 2% e sarebbero stati creati 5 mila nuovi posti di lavoro. 

E ora la domanda più importante: chi paga per tutto questo? In precedenza la Bulgaria aveva più volte dichiarato: se viene bloccato il progetto, Sofia chiederà risarcimento all’UE. Ma oltre all’utile mancato e alla crescita stroncata, ci sono anche degli obblighi contrattuali del paese. A pagarli sarà sempre Bruxelles.

Ma la storia del progetto non è finita. Tra un po’ ci sarà l’inverno, forse freddo e con forniture irregolari. 

L’inverno potrebbe bastare per raffreddare certe teste calde in Europa e il loro desiderio di compiacere gli USA. Allora le ricette americane non saranno più così efficienti.


Tatiana Golovanova 


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