venerdì 23 gennaio 2015

L’elleboro nero


E’ in questi giorni che l’elleboro nero, Helleborus niger L., fiorisce nei nostri boschi. In un ambiente avvizzito, dominato dai colori scuri delle ramaglie e delle foglie secche, i candidi fiori bianchi dell’elleboro illuminano i recessi cupi della foresta che dorme. Una cosa inconsueta, straordinaria: una pianta che fiorisce in pieno inverno! Tutto quello che nella natura è “extra-ordinario” agli occhi dei nostri antichi era visto come carico di magia e, nel caso di piante medicinali, di particolari virtù terapeutiche.

Il nome lo si deve al fiume greco Elleboro, lungo le cui rive questa pianticella cresceva abbondante. I Romani lo chiamavano veratrum. Plinio la considerava un’importante pianta magico-rituale e la chiamava Melampodio. Questo nome deriva dal pastore Melampo che con quest’erba curò le figlie di Preto, pazze e furiose. Infatti, le sue tre figlie, Lisippa, Ifinoe e Ifianassa, erano state colpite, in virtù di una maledizione divina, da pazzia e condannate perciò a vagare allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve, gli sfortunati viandanti.

In accordo con una visione religiosa della natura (che solo l’ignorante presunzione dei moderni definirebbe “superstiziosa”), anticamente l’elleboro veniva raccolto con grande scrupolo rituale. Oltre che in medicina, veniva usato anche per suffumigi nelle case, nonché per purificare soprattutto e cospargere le greggi con una particolare preghiera agli Dèi Immortali (1)

Dioscoride (2) utilizzava la radice dell’elleboro nero per numerose malattie, tra cui anche nell’epilessia, la depressione e alcune forme di malattia mentale.

Si tratta di una pianta velenosa, che solo medici particolarmente esperti erano in grado di maneggiare, dopo un appropriato processo di purificazione alchemica. Culpepper la considerava, adeguatamente preparata, molto efficace nel caso di melancolia, soprattutto cronica. Ma la utilizzava anche per gotta, sciatica e nel caso di ulcere per prevenire la gangrena (3).

Oggi se ne fa un valido uso quasi esclusivamente in omeopatia, dove viene indicato per la melancolia profonda, che nel caso delle donne può associarsi all’amenorrea. La persona ha un umore gravemente depresso, è taciturna, isolata, obnubilata e lenta nel rispondere alla domande (4).

La medicina Antroposofica ne ha anche fatto un farmaco da usare nel caso di tumore polmonare (come terapia complementare) (5).

Curiosità: gli alcalodi bufadienolidi contenuti nell’elleboro sono simili a quelli presenti nelle secrezioni irritanti del rospo, Bufo bufo L. Per altro, anche il farmaco omeopatico Bufo ha un’indicazione nei disturbi mentali: letargia, deficit intellettuale profondo.


Bibliografia
1) Giannitrapani M, Ierobotanica. Ed Simmetria 2009, Roma.
2) Discorsi di M. Pietro Andrea Mattioli sanese, medico cesareo, ne’ sei libri di Pedacio Dioscoride anazarbeo della materia medicinale: colle figure delle piante, ed animali cavate dal naturale. Con due tavole copiosissime: l’ una intorno a cio, che in tutta l’ opera si contiene: e l’ altra della cura di tutte le infermita del corpo umano (Google eBook)
3) Culpepper N. Complete Herbal, London, 1814.
4) Guermonprez M et al. Matiere Medicale Homeopathique. Ed Boiron, 1989.
5) Schramm HM, Compendio di Medicina Antroposofica. Ed Arcobaleno, Oriagi di Mira, 2002. 


Francesco Perugini Billi©copyright


fonte: http://www.dottorperuginibilli.it/fitoterapia1/4100-lelleboro-nero

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