venerdì 20 marzo 2015

Che cosa ci separa dalla realtà? (Jiddu Krishnamurti)


L’altro giorno abbiamo parlato dei milioni di anni di evoluzione, attraverso i quali sono passati gli esseri umani.

Evoluzione implica tempo, non solo tempo fisico ma anche tempo interiore, psicologico.

Fin dal principio del suo esistere sulla terra, l'essere umano è cresciuto passando attraverso esperienze di ogni genere, sventure, disgrazie, ansie, paure. Così il nostro cervello ha assunto una determinata struttura, venendo modificato e plasmato dalle condizioni di vita in cui si è trovato ad evolvere.

La struttura del cervello è il risultato di quel processo nel tempo che chiamiamo evoluzione.

Ora la mente e il cervello, che sono una sola e unica cosa, non potranno mai essere liberi.

Stiamo cercando di scoprire per quale motivo gli esseri umani, pur avendo ormai dietro le spalle milioni di anni di esperienze di dolore, di piacere, di paura, continuino a vivere tuttavia sempre allo stesso modo.

Ci siamo chiesti l'altro giorno quale potrebbe essere la causa di questa situazione terrificante di incertezza, di con­fusione, di sofferenza.

E abbiamo detto che una causa potrebbe essere il fatto che l'essere umano non ha mai rinunciato, nemmeno per un momento, alla ricerca della propria sicurezza, sia esteriormente, nella sua relazione con l'ambiente, sia interior­mente, sul piano psicologico.

Questa potrebbe essere una delle cause che hanno de­terminato l'attuale miserevole situazione.

Abbiamo parlato anche dell'idea della propria individualità, che gli esseri umani si sono formata durante tutto il periodo della loro evoluzione; l'idea che «io» sono se­parato dagli altri e che devo lottare contro di loro per so­pravvivere.

Anche questa potrebbe essere una causa della sventura­ta situazione attuale di spaventoso disordine.

Poi abbiamo detto: una delle cause più determinanti potrebbe essere proprio il pensiero.

E abbiamo sottolineato il fatto che dove c'è una causa, esiste anche la possibilità di eliminarla.

Una causa, un motivo che producono i loro effetti, con­tinuano nel tempo. Ma si può porre fine alla causa.

È un fatto evidente, che, credo, possiate vedere facil­mente se ci pensate un momento.

Se c'è dolore fisico, esiste anche una causa che lo deter­mina. E il dolore finisce quando ne viene eliminata la causa.

In modo del tutto analogo, le nostre sofferenze psicolo­giche, le angosce, le paure, potrebbero avere una causa che le determina.

Ma allora l'eliminazione della causa porrebbe fine al dolore.

Ora, la nostra situazione ha diverse cause?

Oppure ce n'è una sola, fondamentale, che le compren­de tutte quante? Capite?

Dicevamo prima che una causa potrebbe essere il co­stante desiderio di sentirci sicuri, protetti, senza incer­tezze, appoggiati a qualcosa di stabile.

Una seconda causa potrebbe essere l'individualismo che ha portato l'essere umano a considerarsi separato dal resto dei suoi simili e a creare tra sé e gli altri una barriera in­sormontabile.

Un'altra causa potrebbe essere proprio il Pensiero stesso.

L’uomo, il suo cervello, la sua mente, si sono formati in un periodo di evoluzione durato milioni di anni, Ma il tempo non ha portato la libertà agli esseri umani.

Può essere stata raggiunta una parvenza esteriore di libertà.

È possibile viaggiare da un paese all'altro, è possibile cambiare lavoro e fare diversi mestieri; evidentemente non in un paese dove ci sia un regime dittatoriale, ma nei paesi cosiddetti democratici esiste una certa libertà di mo­vimento.

Tuttavia, interiormente, sul piano psicologico la mente, che include in sé anche il cervello, è un prodotto del tem­po e quindi non potrà mai essere libera.

Forse è questa una delle ragioni per le quali l'essere umano si è ridotto psicologicamente a vivere come un pri­gioniero, privo della libertà di aprirsi e di fiorire.

Se mi consentite di ricordarvelo, vi prego, pensiamo insieme!

Dovete usare la vostra mente, il vostro cervello, il vostro cuore, se volete scoprire la causa di quanto sta acca­dendo nel mondo; perché se non faremo una scoperta si­mile, finiremo per distruggerci tutti quanti.

È esattamente quello che sta succedendo.

Una nazione vuole essere più importante di tutte le al­tre, una tribù pretende di avere il sopravvento sulle altre. Si producono armi di ogni genere. Lo sapete, vero? Quat­trocento miliardi di dollari spesi ogni anno per la guerra.

Capite la follia di tutto questo?

La mente e il cervello, che sono il risultato di un pro­cesso nel tempo, non sono mai stati liberi.

Ma senza libertà l'essere umano non può schiudersi, non può fiorire, non può in alcun modo andare al di là di se stesso.

Interiormente non siamo liberi. Col passare del tempo abbiamo acquisito una determinata struttura; se osserva­te la vostra mente, se guardate come funziona il vostro cervello, vi accorgerete che non facciamo altro che rimanere sempre entro certi schemi determinati, che vanno ripe­tendosi da migliaia e migliaia di anni.

In Occidente i preti ci hanno lavato il cervello per due­mila anni: in Oriente questo lavaggio del cervello dura da quattromila, cinquemila anni, o forse di più.

Il nostro cervello è condizionato; si è formato subendo determinate imposizioni, rimanendo sotto la continua in­fluenza di quanto hanno affermato insegnanti, filosofi, preti.

I preti diventano il ponte tra voi e ciò che è al di là di voi. Loro sono i salvatori.

Forse questo poteva andar bene molto tempo fa, ai tem­pi dell'antico Egitto e delle antiche civiltà orientali; ma ora tutto ciò è diventato qualcosa di veramente infantile.

Sul piano intellettuale, scientifico, tecnologico, l'uomo ha fatto enormi progressi. Ha acquisito un'abilità straordi­naria non soltanto nell’uccidere i suoi simili, ma anche nel curarli e guarirli, con la medicina, la chirurgia.

L’altro giorno abbiamo parlato del tentativo che fa la scienza di scoprire, per mezzo dello studio della materia, quello che sta al di là di tutte le cose.

Studiando la materia dall'esterno e raccogliendo un'enor­me quantità di conoscenza, si spera di arrivare a scoprire l'origine di tutto.

È questo che fanno gli scienziati.

I religiosi, invece, affermano che c'è Dio e che Dio ha creato questo mondo. Quel Dio deve essere davvero un povero Dio, degenerato e corrotto, se ha fatto un mondo come questo.

Anche voi, a vostra volta, potrete avere la vostra perso­nale e insignificante teoria a proposito del mondo e della sua origine.

Avendo studiato le teorie intellettuali di filosofi, di teologi, di teorici ‑ di teorici comunisti e di teologi cri­stiani ‑ potreste essere arrivati a farvi la vostra propria opinione, a formulare le vostre proprie conclusioni.

Ma è evidente che se volete veramente arrivare a sco­prire l'origine di tutto quanto accade, dovete mettere da parte completamente ogni cosa che sia stata detta finora.

Per fare questo, però, avete bisogno di forza e capacità di penetrazione, che vi consentano di osservare i fatti con estrema accuratezza. Non vi serve l'analisi.

L’analisi è ancora un processo che si sviluppa nel tempo. Abbiamo analizzato a non finire tanto il mondo fuori di noi quanto il mondo che è dentro di noi. Filosofi e psico­logi hanno analizzato il modo di funzionare della nostra mente, arrivando a formulare determinate conclusioni, de­terminate teorie.

E noi abbiamo subito in modo inevitabile l'influenza di questa gente, ne siamo stati condizionati.

Ma se vogliamo arrivare a scoprire la causa fondamenta­le della situazione attuale, e necessario essere liberi da qualsiasi condizionamento. Interiormente deve esserci li­bertà.

Libertà non significa andare dove vogliamo, sceglierci il lavoro che preferiamo, o dire quello che ci pare. La ve­ra libertà esiste quando il cervello, la mente, l'intera strut­tura psicologica, sono ripuliti da qualsiasi schema di fun­zionamento, da qualsiasi modello di comportamento che ci siano stati imposti.

Se siete delle persone serie, non può bastarvi affrontare soltanto oggi, o una volta ogni tanto, questa indagine che stiamo conducendo insieme.

La vostra ricerca, la vostra osservazione devono essere ininterrotte.

È necessario avere grande pazienza.

Sapete, impazienza è tempo. La pazienza, invece, non è del tempo. Pazienza significa osservare da vicino, con grande cura e attenzione; significa non avere fretta e avan­zare a poco a poco, senza stancarsi.

Questa è pazienza. In questo modo di osservare non c'è l'ansia del tempo. Ma quando vi lasciate prendere dall'impazienza di andare avanti, vi mettete a correre, senza capire da che punto siete partiti.

Allora, qual è la causa che determina questo nostro po­vero modo di vivere? Forse è l'esigenza di sentirci sicu­ri? Oppure è l'illusione di crederci gli uni separati dagli altri? O è l'illusione di credere che il nostro cervello sia diverso da quello dei nostri simili?

La nostra mente, il nostro modo di fare, sono davvero diversi dalla mente e dai modi di comportamento degli altri esseri umani?

La causa che stiamo cercando è il pensiero?

Non esiste pensiero occidentale e pensiero orientale. Il pensiero è pensiero, in qualunque posto viviate; sia che viviate in Asia, sia che abitiate in Estremo Oriente, in Medio Oriente o in Occidente, avrete sempre a che fare col pensiero. Potranno esserci modi particolari di pensare, potranno esserci direzioni particolari in cui il pensiero si muove, o modelli particolari secondo i quali il pensiero si conforma, ma è pur sempre il pensiero ad essere in gioco.

È pur sempre pensiero, sia che lo si usi in Oriente o in Occidente, sia che subisca condizionamenti diversi in dif­ferenti ambienti.

Allora, la causa fondamentale che stiamo cercando è il pensiero?

Guardate qual è, storicamente, il modo di vivere degli esseri umani: un continuo combattere tra di loro, un an­dare avanti nel tormento, nell'angoscia, portandosi dietro conflitti e paure che sembra impossibile abbandonare.

C'è la ricerca del piacere e il costante imbattersi nella sofferenza; c'è qualche raro sprazzo d'amore, che imme­diatamente diventa un fatto sessuale, mentre la compassione non ha mai potuto essere una realtà vivente; è rimasta soltanto un'idea.

Vi prego, andiamo avanti insieme. E procedendo in­sieme, fianco a fianco, per la stessa strada, non ci servire­mo dell'analisi. Dobbiamo capire che cosa significa analisi. Analisi implica divisione. Vi pare?

C'è colui che analizza e quello che viene analizzato. Colui che analizza presume di sapere e quindi di essere ca­pace di analizzare. Scopritelo nella vostra mente. Il pro­cesso di analisi richiede tempo.

«Forse oggi non sono capace di vederci chiaro e di ana­lizzare a fondo la situazione, ma imparerò e arriverò a sa­perlo fare».

Mi serviranno giorni, settimane, mesi, per imparare l'arte di analizzare. Tuttavia rimarrà la divisione tra colui che analizza e quello che viene analizzato.

Colui che analizza impone all'intero processo il suo mo­do di vedere, il suo modo di giudicare e di interpretare.

Così l'analisi, non solo si basa sul tempo, ma anche su una separazione insormontabile tra l'analizzatore e l'ana­lizzato. Supporre che l'analizzatore sia completamente diverso dall'analizzato, è diventato uno dei nostri condizio­namenti più profondi.

Ma è davvero così? Colui che analizza non fa parte di quello che viene analizzato?

Quando comincio ad analizzare la mia angoscia, come faccio a sapere che quello che sto analizzando è angoscia? Capite? Lo so perché mi ricordo esperienze di angoscia, che ho avuto tempo fa.

Queste esperienze mi si sono impresse nel cervello e me ne ricordo; quando poi ha luogo in me una reazione simile, la riconosco e la chiamo angoscia.

Così mi separo da quello che accade, per analizzarlo.

Ma guardate che cosa succede, per esempio, quando vi arrabbiate. Nel momento in cui andate in collera, non c'è alcuna differenza tra voi e la vostra collera. Questo è il fatto.

Soltanto più tardi potrete dire: «Mi sono arrabbiato». Allora, possiamo renderci conto che l'analisi implica e mantiene una divisione costante tra colui che osserva e quello che viene osservato, come se fossero entità diverse e distinte?

Evidentemente mi sto riferendo al piano psicologico.

Non sto dicendo che non c'è alcuna differenza tra me e un albero. È chiaro che c'è differenza; ma quando la dif­ferenza esiste a livello psicologico, quando ritenete di es­sere diversi da quello che osservate dentro di voi, a li­vello psicologico, allora questa divisione porta con sé il conflitto. Quando tentate di essere quello che non siete, prendete la direzione dello sforzo e del conflitto.

Il nostro cervello ha vissuto e si è sviluppato muoven­dosi proprio in questa direzione.

Ora noi diciamo: un processo di analisi non porterà mai alla libertà. Al contrario, non farà altro che mantenere e alimentare il conflitto.

Ma una mente, un cervello che vivono nel conflitto, non possono fare a meno di consumarsi; così non potran­no mai essere in uno stato di freschezza, non potranno mai sbocciare e fiorire in questo stato.

L’analisi rende impossibile osservare con chiarezza. Es­sere capaci di osservare è molto più importante che avere una mente analitica.

Abbiamo perso la capacità di osservare, per coltivare l'arte di analizzare.

Non siamo mai disposti a guardare a fondo quello che accade nella nostra mente e nel nostro cuore, senza alte­rare quello che stiamo osservando.

Il nostro cuore, la nostra mente sono distorti, corrotti, ma speriamo di poterli risanare e raddrizzare facendo ri­corso all'analisi. Facciamo molto affidamento su di essa; così non ci accorgiamo di quanto essa sia inefficace.

È esattamente la stessa cosa che succede a un uomo che si basa completamente su una fede particolare, e che non riesce a vedere in quale situazione ridicola è andato a cacciarsi.

Stiamo dicendo che quello che importa è essere capaci di osservare che cosa accade dentro di noi, nel nostro cuo­re, nella nostra mente. Ma questa osservazione non è pos­sibile quando dietro di essa c'è un motivo qualsiasi o qualche genere di imposizione che la deforma.

La mente deve essere capace di straordinaria attenzione.

Forse queste cose sono nuove per voi; forse non vi è mai capitato di sentirne parlare. O potete aver letto qualcosa da qualche parte.

Come sarebbe bello se non aveste mai letto nemmeno un libro! Se non aveste mai ascoltato prediche, se non aveste mai dato retta né a preti, né a filosofi, né a guru. Allora avreste una freschezza intatta, per accostarvi a quello che stiamo dicendo. E con quella freschezza potreste osservare tutta la vostra struttura interiore.

Sfortunatamente ormai siete tutti quanti persone molto istruite, vi siete interessati di molte cose leggendo a de­stra e a sinistra, con la speranza, così, di acquisire cono­scenza.

Mentre, se poteste semplicemente osservare...

Sarebbe davvero meraviglioso se poteste farlo, perché proprio nella semplice osservazione è l'essenza stessa del­la libertà!

Senza questa libertà, non avete la minima possibilità di penetrare in quanto stiamo dicendo.

Allora, a meno che non si scopra la causa che ha determinato questa situazione, non avrà fine la struttura psicologica che ci tiene prigionieri.

Qual è questa causa, la causa del dolore e dell'infelicità umana?

È la vostra umanità che si trova in questa miserevole situazione. Vi prego, rendetevene conto: la vostra uma­nità, il vostro cervello che ha attraversato un'evoluzione di milioni di anni e che è patrimonio comune di ogni essere umano, fanno sì che voi siate il mondo e che il mon­do sia voi. Voi non siete svizzeri, o tedeschi; ma siete de­gli esseri umani, come lo sono quelli che vivono in Estre­mo Oriente ‑ poveri, affamati, infelici, trucidati senza pietà.

Psicologicamente voi soffrite, siete infelici, pieni di angosce.

Il vostro cuore, la vostra mente, è umanità.

Cercate di capire questo. Non c'è differenza tra voi e l'umanità.

La nostra mente è umanità ed è comune a tutti gli uo­mini. Questa mente, insieme al cervello, ha funzionato non solo per tutta la nostra vita, ma per millenni, muo­vendosi nel tempo in una direzione determinata. È un movimento che continua sempre nella medesima direzio­ne, per quanto possa espandersi o contrarsi, celarsi o mo­dificarsi.

E quando vedete dove porta questo movimento, quando vedete come l'uomo stia distruggendo se stesso e la terra, l'aria, la natura, gli animali, non potete fare a meno di sen­tirvi tremendamente responsabili.

Allora, qual è l'origine di tutto ciò che accade? Dov'è la causa?

È il pensiero, forse?

Pensiero implica conoscenza, vi pare?

Ci sono esperienza, conoscenza, memoria, pensiero; in­sieme costituiscono un unico movimento.

La conoscenza che si acquisisce per mezzo dell'esperien­za, non è separata dalla memoria e dal pensiero. Ma insie­me costituiscono un unico processo che non si ferma un istante e che si muove sempre nella stessa direzione.

È questa la vera causa?

È questo movimento ininterrotto del pensiero, che ha portato nel mondo il caos che c'è attualmente?

Vi prego, esaminate insieme a me la questione, non stancatevi di osservare.

Il pensiero ha creato cose straordinarie: grandiose cat­tedrali, palazzi meravigliosi, musica, canti, poemi, una tecnologia eccezionale, le bombe, la scienza atomica.

Tutto questo è frutto del pensiero.

L’enorme incremento degli armamenti per distruggerci tutti quanti, anche questo è frutto del pensiero; come pu­re lo è la conoscenza raccolta dagli scienziati.

Se non foste capaci di pensare, non potreste tornare a casa vostra, non potreste nemmeno parlare.

Perciò il pensiero occupa un posto di straordinaria im­portanza nella nostra vita.

Ma ora non ci stiamo occupando del funzionamento del pensiero, in relazione al mondo fisico delle nostre attività quotidiane, i sistemi di comunicazione e di trasporto, i te­lefoni e così via. Ci stiamo invece chiedendo se a livello psicologico non sia proprio il pensiero la causa di ogni tor­mento umano. Capite?

E se fosse proprio il pensiero la causa fondamentale della miseria umana, questa causa non potrebbe essere tolta di mezzo?

Sapete, quando un uomo è malato fisicamente, fa di tutto pur di guarire; spende soldi, fa lunghi viaggi per an­dare a curarsi.

Ma noi non sembriamo disposti a spendere nemmeno una piccola parte del nostro tempo per scoprire come mai gli esseri umani accettino di vivere tanto angosciosamente, in mezzo a tremendi pericoli, una vita che ormai è diven­tata del tutto priva di senso.

Allora, è il pensiero la causa fondamentale che stiamo cercando? Tutta quanta la nostra esistenza ruota ormai intorno al pensiero. Il nostro amore, i nostri affetti, i no­stri ricordi, le immagini di cui non vogliamo fare a meno... alla base di tutto questo c'è il pensiero. Anche le nostre relazioni reciproche sono determinate dal pensiero, che, come abbiamo detto, è figlio della conoscenza.

Senza conoscenza non saremmo capaci di pensare.

Ma la conoscenza e sempre qualcosa di limitato. Non esiste la conoscenza completa di qualcosa. Mentre la com­prensione è completa quando la conoscenza finisce del tutto.

Vediamo di procedere passo per passo, altrimenti sarà sempre più difficile capire, andando avanti.

Non esiste una conoscenza completa, a qualunque cosa vogliate riferirvi. Gli astrofisici che studiano l'universo non arriveranno mai ad una conoscenza definitiva. Anche il lavoro dei filosofi e degli studiosi si basa sulla conoscenza.

Potranno dirvi che credono in Dio, l'Essere Supremo e Onnipotente, l'Unico che possiede l'intera conoscenza, o dove tutta la conoscenza finisce.

A noi non interessano sciocchezze del genere. Quello che stiamo sottolineando è il fatto che la conoscenza è sempre e comunque incompleta, perché è costantemente all'ombra dell'ignoranza.

Nemmeno i più grandi filosofi, né i teorici o gli specia­listi più noti, né i religiosi o gli uomini di chiesa, potranno mai affermare, a meno che non siano pazzi, di possedere la completa conoscenza.

Perciò il nostro pensiero che nasce dalla conoscenza è irrimediabilmente limitato. Non esiste un pensiero senza limitazioni in se stesso.

Così anche i nostri modi di agire permangono nella li­mitazione. E la nostra capacità di osservare sarà molto ri­stretta se rimarrà soggetta al funzionamento del pensiero.

Quando la mia osservazione fa parte di un processo analitico, siccome l’analisi si basa sul pensiero, tanto le mie osservazioni quanto le mie conclusioni saranno inevi­tabilmente limitate.

La capacità dì osservare implica profondo senso di umiltà.

Non potete osservare con chiarezza se vi basate sulla conoscenza che avete. Umiltà significa osservare senza pretendere di appoggiarsi ad alcuna certezza.

È evidente che all’origine di tutta la confusione nella quale viviamo, c'è il pensiero.

Le nostre angosce, le guerre, le separazioni tra i popo­li, le separazioni religiose, le separazioni professionali, le separazioni che trovate dovunque nel processo del dive­nire, sono prodotte dall'attività del pensiero.

Non so se vi siete accorti di come nelle nostre attività quotidiane siamo impegnati a salire la scala sociale. Im­piegati, preti, capireparto, uomini d'affari, tutti quanti cercano di diventare qualcosa.

Il parroco diventerà vescovo, il vescovo diventerà ar­civescovo, l'arcivescovo diventerà cardinale e il cardinale alla fine diventerà papa. Nel mondo delle nostre attività quotidiane questo modo di funzionare appare dappertut­to. E anche a livello psicologico facciamo la stessa cosa. In ogni momento cerchiamo di diventare qualcosa di di­verso da quello che siamo: vogliamo migliorare.

«Non sono bravo, ma migliorerò». Capite?

Questo divenire è il movimento del pensiero nel tempo.

E proprio questo movimento potrebbe essere l'origine di tutta la confusione in cui viviamo.

Ognuno desidera diventare qualcosa.

A livello fisico, questo desiderio spinge ad essere aggres­sivi, ambiziosi, crudeli. Ma potete accorgervene e tirarvi indietro, senza prendere parte al gioco.

Mentre, vedere questo movimento del divenire a li­vello psicologico, vederlo interiormente, è molto più diffi­cile. In noi, a livello psicologico, è costantemente all'ope­ra lo sforzo per diventare qualcosa. Così ci portiamo die­tro un conflitto interminabile.

Siamo sempre in tensione, in lotta, sotto sforzo.

Proprio questa situazione psicologica potrebbe essere la causa di tutta la distruttivìtà che c'è al mondo.

Alla base di questo sforzo per divenire c'è il pensiero.

Capite?

Se mi metto a confronto con una persona che è buona, intelligente, affettuosa, premurosa, ecco che comincio a desiderare di diventare come lei. Ma alla base di questo confronto c'è il pensiero. Vi pare?

Come reagisce la mente a questa affermazione?

Guardate che cosa succede: invece di rendersi conto immediatamente della realtà di quanto abbiamo detto, la mente preferisce costruirsi un'immagine, un'idea, e met­tersi a discutere.

Ma la realtà è diversa dall'idea che vi siete fatta.

La parola sofferenza è diversa dalla realtà del soffrire.

Quando sentite parlare di quel che è accaduto alla men­te, al cuore, al cervello ‑ che sono tutt'uno ‑, quando sentite dire che col passare del tempo sono stati condizio­nati dalla cultura, dalla religione, a diventare qualcosa che non sono; quando sentite dire che questo condiziona­mento implica tensione, competizione, spietatezza, violen­za, siete di fronte ad un fatto, oppure soltanto ad un'idea?

Siete di fronte a qualcosa che accade realmente, oppure vi state soltanto immaginando qualcosa?

Questo è un punto molto importante da capire.

Le nostre menti sono state condizionate in ogni occa­sione ad avere a che fare con delle idee invece che con dei fatti.

Di fronte a un fatto, il cervello si è abituato a creare un'astrazione, e questa astrazione poi la chiama ideale.

Ma osservare il fatto è molto più importante che far­sene un'idea.

Nei confronti di un fatto potete fare qualcosa, ma non potete fare nulla nei confronti di un'idea; al massimo po­tete crearne delle altre, farvi delle opinioni.

Il fatto che dovete vedere è questo: il cervello, il cuo­re, la mente, che sono tutt'uno, sono coinvolti ininterrot­tamente nello sforzo per diventare. Questa non è un'astra­zione. È un fatto che è lì, da osservare.

Andiamo avanti, lentamente, con calma.

Il fatto che state osservando è qualcosa di diverso da voi che lo osservate? Capite?

Ognuno di noi, nei modi più diversi, si sforza di di­ventare qualcosa, non solo nella vita esteriore, ma soprat­tutto interiormente, psicologicamente.

E quello che succede a livello psicologico influenza in modo determinante quanto accade fuori di noi. Non acca­de il contrario, come i comunisti pretenderebbero.

Da principio i comunisti avevano meravigliose teorie ‑ nessun governo, nessun esercito, tutti erano uguali ‑ e guardate dove siamo arrivati!

Le idee sono fattori tremendamente distruttivi, mentre il fatto in se stesso è che il pensiero ha costruito la strut­tura psicologica dell’essere umano, e questa struttura si basa sullo sforzo di diventare diversa da quello che è.

Capite?

È da questa situazione che potrebbe venire ogni infe­licità umana.

Allora, se ci siamo resi conto della causa, possiamo vi­vere in questo mondo senza far nulla, psicologicamente, per diventare diversi da quelli che siamo?

Questo non significa che dobbiate rimanere quelli che siete.

Che cosa siete voi? Non siete nient'altro che questo sforzo di diventare diversi.

Mi domando se ve ne rendete conto.

Ora, potreste chiedervi: «Ma se non sono nient'altro, all'infuori di questo sforzo per cambiare, che cosa mi succederebbe se smettessi di fare anche questo? Mi met­terei a vegetare?».

Ma avete mai penetrato veramente a fondo la questione di mettere completamente da parte lo sforzo di diventare diversi da quello che siete?

Questo significherebbe farla finita, dentro di voi, con il bisogno di imitare, di conformarvi, di fare confronti.

Dovunque nel mondo, gli esseri umani, da millenni, non hanno fatto altro che comportarsi allo stesso modo, seguen­do sempre lo stesso schema psicologico, e non fa alcuna differenza che vivano in un piccolo villaggio o che abi­tino un appartamento lussuoso al trentesimo piano.

Se è stata scoperta la causa che determina tutte le mi­serie umane, essa se ne andrà, con naturalezza.

State attenti: che cos'è l'essere umano?

Ha paura di non essere niente?

Ma dove lo porta il suo sforzo per diventare qualcosa?

Con tutti i vostri sforzi per diventare diversi interior­mente, dove siete arrivati?

Alla fine di tutti i vostri sforzi, non siete un bel niente!

Ma avete paura di rendervene conto.

Alla base del divenire non c'è sempre il pensiero?

Prendete per esempio il problema dell'autoconoscenza.

Voglio conoscere me stesso.

Guardate in che inganno si cade!

Perdonatemi se ve lo faccio notare.

Voglio conoscere me stesso: e comincio ad osservare, ad analizzare, a fare domande.

E proprio questo osservare, questo fare domande, fanno parte del movimento interiore per diventate qualcosa di diverso.

Qualsiasi movimento mentale, che implichi divenire o non divenire, è sempre la stessa cosa; e un movimento del pensiero.

E se dite: « Sì, me ne sono accorto; devo porre fine a questo movimento», è ancora il pensiero ad essere all'ope­ra, sebbene in una diversa direzione.

Allora, questo movimento del pensiero, può finire dav­vero?

La mente, non la mia o la vostra, ma la mente umana, incoraggiata dai preti, dai filosofi, dalle persone istruite, per secoli e secoli si è mossa per conoscere sempre di più di quanto accade non solo fuori di noi, nell'ambiente cir­costante, ma anche dentro di noi.

Ma quando vi sentite dire: «Guardate che cosa state facendo!», allora vi accorgete che l'idea di conoscere voi stessi fa ancora parte dello stesso cammino del divenire.

Sia che cerchiate di diventare qualcosa o di non diven­tare niente, il movimento è sempre lo stesso; è sempre il pensiero in azione, sebbene in direzioni diverse.

Ora, se è il pensiero la causa di tutta l'infelicità uma­na, è possibile che smetta di muoversi, qualunque sia la direzione?

Che cos'è il pensiero?

Non è il pensiero che produce il rumore di quel tor­rente, ma è il pensiero che ha generato le guerre e barrie­re divisorie di ogni tipo nelle relazioni umane.

Con qualsiasi persona siate in relazione, ve ne fate un'immagine. Questa immagine si costruisce nel tempo e diventa la barriera divisoria tra voi e l'altra persona. Il cervello è costantemente all'opera per costruire l'immagine di vostro marito, della vostra ragazza o del vostro ragazzo; e questa immagine vi impedisce di vedere la realtà, vi separa dalla realtà.

I ricordo del passato si imprime nelle cellule del cer­vello; quindi il pensiero forma un’immagine, e allora voi dite: «Mi ricordo di te».

Ma l'immagine, il simbolo, non è la realtà.

Pensare significa muoversi nel tempo.

Il tempo è il fattore nel quale, per mezzo dell'esperienza, si raccoglie conoscenza.

Ho avuto l'esperienza di incontrarti ieri; me ne ricordo e ora dico che sei il tal dei tali.

Conoscenza implica pensiero. E il pensiero è materia.

Le cellule che portano impressi i ricordi sono materiali e anche il pensiero è materiale.

Ora guardate. Studiando la materia che è fuori di loro, gli scienziati tentano di scoprire qualcosa che è al di là di tutto.

Se chiedete agli scienziati, agli astrofisici che scrutano le profondità dei cieli, li troverete d'accordo su questo: con le loro ricerche tentano di scoprire che cosa c'è al di là di tutte le cose.

Queste persone studiano la materia servendosi del pensiero, ma noi diciamo che anche il pensiero è materia: allo­ra perché non studiare subito dentro di noi la materia, in­vece di andare a cercarla fuori?

Sarebbe molto più pratico e diretto.

Richiede una straordinaria disciplina, ma consentirebbe di andare infinitamente lontano.

Il pensiero è materia ed è il fattore che ha costruito tut­ta la nostra struttura psicologica: le angosce, le paure, lo sconforto, la disperazione, le diversità di umore, gli affetti, i sentimenti, i romanticismi, i sogni ad occhi aperti.

Le persone cosiddette religiose non lo ammetteranno, perché partono dal concetto che in loro ci sia qualcosa di spirituale; credono di avere un'anima, con tutto quel che segue. Ma non escono dai limiti del pensiero.

Coscienza superiore e coscienza inferiore, l'Atman degli Indù, il Brahman, sono ancora creazioni del pensiero. Evi­dentemente il pensiero ha un campo nel quale deve essere usato.

Ci serve per parlare, per tornare a casa, per prendere l'autobus, per lavorare, per fare tutto ciò che richiede abilità e conoscenza.

Ed è necessario che il pensiero funzioni in modo obiet­tivo, chiaro, preciso, imparziale.

Ma il pensiero non ha altro posto, al di fuori del campo che gli compete. E invece il pensiero è costantemente al­l'opera per costruire la struttura dell'ego, dell'io che vuol diventare, o che non vuol diventare niente.

Si può stare al mondo senza che il pensiero intervenga a costruire la struttura dell'ego, che implica il divenire?

Capite che cosa sto chiedendo?

Finché non scomparirà il movimento psicologico del di­venire, non sarà possibile andare molto lontano.

Finché esisterà un centro dove si accumula lo sforzo che alimenta il divenire, da lì il pensiero continuerà a muo­versi e ad operare.

E la mente che non è libera dalla struttura psicologica costruita dal pensiero, non potrà andare da nessuna parte. Potrà solo farsi delle illusioni e giocare a se stessa ogni genere di inganni.


Jiddu Krishnamurti

Discorso dell'8 luglio 1980 - Saanen (Da La fine del dolore)


fonte: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/krishnamurti/cosacisepara.htm

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