mercoledì 23 settembre 2015

Chi vuole la terza guerra mondiale?


La vera ambizione di Washington è una qualche forma di coercizione che forzi Pechino ad aprire il suo ultra-protetto e regolato mercato finanziario al casino finanziario iperspeculativo del sistema delle grandi banche USA. Non sta avvenendo, dal momento che la Casa Bianca non ha strumenti per influenzare la questione.

Il Presidente Cinese Xi Jimping vola negli USA per la sua prima visita negli Stati Uniti quasi simultaneamente a Papa Francesco. Sarà affascinante osservare come i centri decisionali della superportenza reagiranno a questa doppia esposizione al materialismo dialettico, in salsa Cinese, e alla Chiesa Cattolica “sotto restauro”.

In uno storico discorso a l’Avana, Papa Francesco, inserendosi nell’avvicinamento in corso tra Barack Obama e Raul Castro, ha insistito che vuole offrire il suo contributo all’approfondimento dei rapporti tra Washington e l’Avana. Ha chiesto a Obama e Raul di dare tutto ciò che possono per offrire un esempio costruttivo al mondo: “Un mondo che ha disperato bisogno di riconciliazione nel quadro di questa terza guerra mondiale”.

“Terza guerra mondiale” non era incluso nella redazione originale del discorso del Papa. Francesco lo ha aggiunto in un secondo tempo, nel suo volo da Roma a l’Avana.

Un cinico pre-socratico suggerirà che una volta a Washington Francesco si sincronizzerà prontamente sui toni da “Apocalipse now” delle fazioni al Pentagono, secondo le quali infatti la terza guerra mondiale c’è gia, le minacce assolute sono Russia e Cina, con l’ISIL-ISIS-DAESH distaccato in terza posizione.

Ci sembrerebbe pià plausibile se Francesco si allineasse con la visione del Presidente Russo Vladimir Putin, che sta promuovendo un genuino processo di pace in Siria. La vera prima minaccia alla stabilità di Medio Oriente, Europa e persino l’intera Eurasia è l’esplosione Jihadista originatasi in “Siraq”.

Non per il Pentagono chiaramente, i cui analisti sono tutti impegnati a contingentare piani contro la... Russia.

L’ultima indiscrezione su questa ossessione anti Russa ci giunge per bocca di un noto agente neoconservatore, Michele Flournoy, ex sottosegretario alla Difesa e co-fondatore di un un notorio think thank guerrafondaio il “Center for a new American Security”.

Tutto fa riferimento a una “potenziale aggressione” Russa contro la NATO, o a una altrettanto ipotetica aggressione Russa contro i paesi Baltici. Il piano include possibili scenari di risposta del Pentagono in sincronia con la NATO, come anche del Pentagono individualmente. L’assunto di base è sempre e comunque una “inevitabile aggressione Russa”.

Abbiamo quindi una strategia “Pivot verso la Russia” a complementare la già nota “Pivot verso l’Asia”, che Pechino ha interpretato per quello che è, ossia una politica di contenimento strategico che include: accerchiamento militare (Mar Cinese del Sud, Oceano Indiano, Pacifico Occidentale), esclusione dai commerci (Il TTP, trattato transpacifico) e per finire la classica minaccia di sanzioni.

Adesso confrontiamo i movimenti del Pentagono, specie la morsa attorno alla Cina, con quello che l’America economica vuole: affari, un mucchio di affari, cosa che implica ovviamente niente sanzioni.

E infine abbiamo quello a cui i “padroni dell’Universo” aspirano realmente: qualche forma di fattore di coercizione che costringa Pechino ad aprire il suo mercato finanziario protetto al casinò finanziario ultraspeculativo delle grandi banche USA. E questo non sta accadendo, è fuori dalla portata d’influenza della Casa Bianca.

A cosa si oppone Xi
I primi giorni del programma di Xi negli Stati Uniti includono una visita alla nuova catena di montaggio della Boeing alla periferia di Seattle; una cena con Bill Gates; e il forum Americano-Cinese sull’Industria di Internet, della durata di due giorni. Da questa lista è facile notare le priorità di Pechino.

Con Obama, Xi dovrà discutere punti di attrito noti: Taiwan, il Mar Cinese del Sud, sicurezza cibernetica e negoziati verso la possibile adozione di un trattato commerciale bilaterale.

Se la cerchia di guerrafondai che spinge a pressioni sulla Cina non fosse sufficiente, Xi si ritroverà sotto ulteriori pressioni negli Stati Uniti, pressioni esercitate per mezzo degli argomenti dei diritti umani e della sicurezza informatica.

In ogni caso non c’è certezza sul fatto che nei circoli decisionali dell’iperpotenza ci sia consapevolezza di quello che stia realmente facendo in Cina.

In circa tre anni al potere, il compito numero uno di Xi è stato il lancio di una colossale campagna per contrastare la corruzione personale dei funzionari sia nella sfera civile che in quella militare. L’estremamente temuta Commissione centrale d’ispezione sulla Disciplina è la sua arma fondamentale nella lotta. E nessuno sfugge ai tentacoli della Commissione. Neppure l’ex superstar delle forze di sicurezza Zhou Yongkang e l’ex aiuto presidenziale Ling Jihua.

Dunque Xi sta, allo stesso tempo, ripulendo il Partito Comunista Cinese (CCP) e l’armata di liberazione popolare (PLA). Possiamo appena immaginare il fattore di resistenza, al punto che informatori interni Cinesi insistono sul fatto che Xi si sia fatto potenti nemici interni a vari livelli: pezzi grossi politici in pensione, alti gradi dell’esercito, influenti ufficiali di Governo, dirigenti di aziende a proprietò Statale, tutta una serie di “principini”, figli dei rivoluzionari storici e per concludere lo svariato stuolo di ricchi che ricicla denaro nei casinò di Macao e nei negozi di lusso di Hong Kong.

Tra i più prestigiosi scalpi raccolti da Xi si conta la cosiddetta gang di Shanxi, che controllava interamente l’ambiente politico-economico in questa provincia con abbondanti risorse in carbone, e la cosiddetta gang del petrolio, che aveva sotto controllo tutte le questioni petrolifere nazionali.

Il Premier Li Kequiang al World Economic Forum di Dalian è stato costretto a giustificare l’operazione dicendo che è una questione di “aggiustamenti strutturali” che non ha impatto sull’economia Cinese.

I fatti sono chiari: la Cina potrebbe avere deregolamentato parecchio, ma capitale, energia, materie prime e terra rispondono ancora quasi esclusivamente alle priorità del Governo Centrale. Nessun lobbying da parte degli Stati Uniti può cambiare questo fatto concreto.

Questo significa altrettanto che, se ti ritrovi un ufficiale Cinese perfettamente piazzato e con le connessioni giuste (supremazia guanxi) sei praticamente il Re del Business Cinese. Questi funzionari, essenzialmente, sono alla base di molte “distorsioni” nell’economia Cinese, e questo è esattamente ciò che Xi sta cercando di cambiare.

L’ampio progetto di miglioramento dell’economia Cinese include un minore affidamento sull’export di prodotti manufatti, una pianificazione più rigorosa in termini di spesa per le infrastrutture e reindirizzamento della spesa industriale.

Fantasie su un collasso della Cina sono semplicemente insensate. I tempi della Rivoluzione Culturale sono passati da un pezzo. La Cina sta lentemente, ma con decisione, spostandosi verso uno spettacolare nuovo paradigma di integrazione della totalità dell’Eurasia in una spettacolare rinascita industriale. Ogni cambiamento in Cina punta verso questa transizione.

La transizione detta comporta anche un allentamento progressivo della forte dipendenza dagli export verso USA e UE e una economia più bilanciata e focalizzata sul panorama dell’Eurasia, mentre i rapporti commerciali con l’Occidente verranno comunque più possibile mantenuti.

E questo qui vi sembra uno Stato/civiltà che desidera la Terza Guerra Mondiale???


Pepe Escobar

Fonte: http://sputniknews.com
Link: http://sputniknews.com/columnists/20150921/1027314812.html


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15595

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