venerdì 27 novembre 2015

Quando muore la speranza inizia l'azione

porta aperta
" La speranza è ciò che ci tiene incatenati al sistema; smetti di sperare che i tuoi problemi si risolvano con la magica assistenza di un Dio, una Grande Madre...: fa ciò che serve per risolvere quei problemi da solo.".
Visti i tempi... ripropongo questo articolo di qualche mese fa. Sicuramente la speranza è disgiunta dal nichilismo e pessimismo, ma  l'azione, anche nel proprio piccolo  e con se stessi, anche nelle cose ordinarie, diventa fondamentale per non sprofondare nel buio. 

"Meno chiacchiere e più fatti", può essere un motto decisamente per Titani in questa cultura italiana amante delle tante parole. A volte la preoccupazione della "perfezione" e della "certezza" inibisce l'azione, che è esperienza e da essa ne conseguono una serie di fatti e di prese di coscienza... 
 
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La più parte di questi ambientalisti stanno combattendo ovunque disperatamente, usando ogni mezzo a loro disposizione, o meglio qualsiasi strumento legale abbiano (ovvero qualsiasi mezzo sia loro consentito dai potenti, il che significa che qualsiasi siano tali mezzi alla fine saranno inefficaci) per cercare di proteggere un pezzo di terra, cercare di fermare la produzione o la emissione di veleni o cercare di fermare degli umani civilizzati  dal tormentare qualche gruppo di animali o piante. A volte si riducono a proteggere giusto una pianta.

Ecco come John Osborn, un attivista straordinario ed un amico, riassume le sue ragioni per fare “il lavoro”: “Quando il caos aumenta nelle cose, voglio essere certo che qualche porta resti aperta. Se gli orsi grizzly saranno ancora vivi tra 20-30-40 anni, possono esserlo anche tra 50.
Se se ne andranno tra venti, beh se ne saranno andati per sempre."


Ma  qualsiasi cosa gli ambientalisti faranno, i nostri migliori sforzi non sono sufficienti. Stiamo perdendo e molto. Su ogni fronte. Quelli che detengono il potere sono legati con l’inferno, nella loro distruzione del pianeta e la piu’ parte della gente se ne frega.

Francamente, non ho molta speranza. Ma penso che questo sia una buona cosa. 

La speranza è ciò che ci tiene incatenati al sistema, il conglomerato di persone, idee e ideali che sta causando la distruzione della Terra.

Tanto per cominciare, c’è la falsa speranza che improvvisamente e in qualche modo il sistema possa cambiare inspiegabilmente. Oppure che la tecnologia ci salverà. O che lo farà la Grande Madre. O gli Esseri da Alpha Centauri. O Gesù Cristo o Babbo Natale. Tutte queste false speranze conducono ad una non azione. Non di meno ad una inefficacia.

Una delle ragioni per cui mia madre resto’ con mio padre che era violento, era che negli anni 50 e 60 non c’erano donne malmenate, ma un’altra era la sua falsa speranza che sarebbe cambiato.  Le false speranze ci legano a situazioni invivibili e ci rendono ciechi alle vere possibilità.

Qualcuno forse pensa che la Monsanto smetterà di fare la Monsanto perchè glielo chiediamo gentilmente?  Ah se solo ci fosse quel democratico alla Casa Bianca, le cose sarebbero ok… 

Fesserie. Le cose non andranno meglio.  Le cose non sono ok già ora ed andranno peggiorando.

Ma non sono solo le false speranze a incatenare quelli che le hanno. E’ la speranza stessa.  La speranza, ci viene detto, è il nostro raggio nella oscurità. E’ la nostra luce alla fine di un lungo tunnel oscuro. E’ il raggio di luce che si fa strada nelle nostre celle di prigionia. E’ la nostra ragione per perseverare, la nostra protezione contro la disperazione (che deve essere evitata ad ogni costo). Come possiamo continuare senza speranza?

Ci hanno insegnato che la speranza in una condizione futura— come la speranza in un paradiso futuro— è e deve essere  il nostro rifugio dal dolore del presente. Sono certo che ricordate la storia di Pandora, a cui fu data una scatola ben sigillata e le fu detto di non aprirla mai. Ma siccome era curiosa, lo fece e ne uscirono pestilenze, dolore e dispetti. 

Troppo tardi per chiudere il coperchio. Una sola cosa rimase nella scatola: la speranza. La speranza, continua la storia, era l’unica cosa buona che lo scrigno teneva tra i molti mali  e fino ai giorni nostri resta l’unica consolazione  nella disgrazia. Non si fa menzione qui della azione, come consolazione nella disgrazia, o di fare qualcosa veramente per eliminare la propria disgrazia.

Tanto più comprendo la speranza,  tanto più mi rendo conto che merita di stare nella scatola con le pestilenze, il dolore e i dispetti; che serve  per certo i bisogni dei potenti come un credo in un paradiso lontano, che la speranza non è veramente nulla di più che una modo secolare per tenerci in riga.

La speranza è, infatti, una maledizione, una sventura. Non lo dico solo in funzione del bel detto buddhista “La speranza e la paura si rincorrono le code,” non solo perchè la speranza ci porta lontano dal presente, da dove e da chi siamo proprio ora e verso un futuro stato immaginario

Piu’ o meno tutti si lagnano infinitamente della speranza. Non crederete —o forse si-  a quanti editori di riviste  mi hanno chiesto di scrivere  sulla apocalisse, per poi lasciare nei lettori un senso di speranza. Ma cosa è precisamente la speranza? In una conferenza che tenni la scorsa primavera, qualcuno mi chiese di definirla.  Rimisi la domanda al pubblico ed ecco la definizione con cui ne uscimmo tutti: la speranza è una anelito verso una condizione futura in cui siete totalmente impotenti.

Non sto dicendo “spero di mangiare qualcosa domani”. Lo farò. Non credo che ora faro’ un altro respiro o che finirò di scrivere questa frase. Farò queste cose. D’altro canto spero che la prossima volta che salirò su un aereo, questo non si schianterà.

Molti dicono di sperare che la cultura dominante la smetta di distruggere il mondo. Ma nel dire questo, essi hanno preso per buono che la distruzione continuerà , almeno a breve termine e si sono allontanati dalla loro abilità  di partecipare a questa azione per fermare la distruzione.
Non credo che il salmone argentato sopravviverà. Farò tutto il possibile per assicurarmi che la cultura dominante non lo estingua.  Se il salmone argentato vuole lasciarci perchè non ama come lo trattiamo — e come biasimarlo per questo? - lo saluterò, mi mancherà ma se non vuole andarsene, non permetterò alla civiltà di estinguerlo

Non dobbiamo più sperare, ma fare semplicemente il lavoro. Facciamo il possibile perchè il salmone sopravviva. Perché sopravvivano i grizzly, i cani della prateria... faremo tutto quel che serve.

Quando smettiamo di sperare nell’assistenza esterna, quando smettiamo di sperare che la situazione terribile  in cui siamo  si risolverà in qualche modo da sola, quando smetteremo di sperare che non vada peggio, finalmente saremo liberi – veramente liberi — di cominciare a lavorare onestamente  per risolverla. Vorrei dire che quando muore la speranza… inizia l’azione.

A volte le persone mi chiedono: “se le cose vanno cosi, perché allora non ti uccidi?” la risposta è che la vita è veramente, veramente buona. Sono un essere abbastanza complesso da poter tenere nel mio cuore la comprensione che siamo veramente, veramente fottuti ma che allo stesso tempo la vita è veramente veramente buona.
Sono pieno di rabbia, dolore, gioia , amore odio, disperazione, felicità, soddisfazione insoddisfazione, e migliaia di altri stati d’animo… Siamo veramente fottuti. Eppure la vita è veramente buona.

In molti hanno paura di sentire la disperazione. Temono che se si permettono di percepire come veramente disperata è la nostra situazione, dovranno essere per sempre infelici. 

Dimenticano che è possibile sentire molte cose, tutte  allo stesso tempo. Dimenticano anche che la disperazione è una risposta totalmente appropriate in una situazione disperata

Molti probabilmente temono che, se si permettono di sentire quanto disperate sono le cose, saranno costretti a fare qualcosa per questo.

Un’altra domanda che a volte mi fanno è questa: “Se le cose vanno cosi male, perchè semplicemente non fai una festa? Beh la prima risposta è che le feste non mi piacciono. Ma la seconda è che mi sto già divertendo un sacco. Amo la mia vita. Amo la vita. Questo è vero per la maggior parte degli attivisti che conosco. Facciamo ciò che amiamo, combattiamo per ciò e per chi amiamo.

Non ho pazienza per color che usano la nostra situazione disperata come una scusa per non fare niente. Ho imparato che se privi la più parte della gente di una scusa particolare… ne trovano un’altra, poi un’altra ancora e cosi via… 

L’uso di questa scusa per giustificare la non azione — l’uso di ogni scusa è giustificare la non azione-  non rivela altro che l’incapacità di amare.

Di recente qualcuno mi ha chiesto: “ma l’attivismo non  ti fa sentir bene?”. Certamente, ho risposto, ma non è la ragione per cui lo faccio. Se solo volessi star bene, potrei masturbarmi. 

E’ che voglio realizzare qualcosa nel mondo la fuori. Perché?

Perché sono innamorato … dei salmoni, degli alberi che vedo fuori dalla finestra, delle lamprede [un pesce] baby che vivono nella sabbia… Se amate, agite per difendere chi e ciò che amate; naturalmente vi importano i risultati, ma essi non determinano  se fare o meno lo sforzo.

Semplicemente non sperate che chi amate prosperi e sopravviva. Fate quel che serve per questo. Se il mio amore non fa si che io protegga ciò che amo, allora non è amore.

Una cosa meravigliosa accade quando rinunci alla speranza: ti rendi conto che non era necessaria in prima istanza. Rinunciarvi non ti uccide. Non ti rende nemmeno meno efficace, tutt’altro: smetti di affidarti a qualcuno o qualcosa per risolvere i tuoi problemi. Smetti di sperare che i tuoi problemi   si risolvono con la magica assistenza di un Dio, una Grande Madre un Club esclusivo… e fa quindi ciò che serve per risolvere quei problemi da solo.

Quando rinunci alla speranza, accade persino una cosa migliore nell'ucciderti, nel senso che in alcuni casi  ti uccide. E nell’essere morti c’è una cosa bellissima: quelli che hanno potere non possono più toccarti. Non più promesse, minacce, violenza… Una volta “morto” in questo senso, puoi persino danzare, cantare, fare l’amore, persino vivere perchè sei ancora vivo, anzi più vivo di prima.

Ti rendi cosi conto che quando muore la speranza, quel “te” che è morto con la speranza non eri tu ma quella parte di te che dipendeva da coloro che ti sfruttavano, che credeva che costoro in qualche modo avrebbero smesso da soli di farlo; quella parte di te che credeva nella mitologie propagate da coloro che ti hanno sfruttato per facilitare proprio lo sfruttamento in sé. Quel che è morto è quel tuo io costruito socialmente. Quello civilizzato, fabbricato, artificialmente creato, forgiato, stampato… quello è cio’ che è morto. La vittima è morta.

Quindi chi resta quando quel tuo io muore? Tu, resti tu. Il tuo io animale, nudo, vulnerabile, mortale, colui che sopravvive. Quell’io che non pensa ciò che la cultura ha voluto fargli pensare, ma ciò che pensa veramente. Resta quel te stesso che non sente ciò che la cultura ha voluto fargli sentire, ma quel te stesso che veramente sente.

Resta quel te stesso che dice si, che può dire no, che è parte della terra dove vive, che difenderà o meno chi ama, quel te stesso che non si basa su ciò che gli ha insegnato questa cultura che sta uccidendo il pianeta e te stesso; restano quei tuoi sentimenti di connessione  e amore per la tua famiglia, gli amici, il paesaggio.

Quando rinunci alla speranza — quando sei in tal senso “morto” e quindi veramente vivo-  si rompe questa relazione vittima/sfruttatore e volti le spalle alla paura.

Quando smetti di affidarti alla speranza e invece cominci a proteggere le persone, le cose, i luoghi che ami, allora diventi veramente molto pericoloso per i potenti.

Se per caso stai chiedendotelo … si, questa è un’ottima cosa.


Fonte: http://www.orionmagazine.org/index.php/articles/article/170/

Traduzione e sintesi Cristina Bassi
http://thelivingspirits.net/una-nuova-cultura/quando-muore-la-speranza-inizia-l-azione.html 

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