venerdì 22 gennaio 2016

Italia vicina al carico di rottura

 
Dopo aver a lungo peregrinato in terre di Medio Oriente e di Germania, con “Angela Merkel, la spia che andò e tornò dal freddo”, rieccoci nelle terre natie. Ci occuperemo di Italia con due articoli in successione: il primo dedicato al quadro macroeconomico e politico ed il secondo, più specifico, focalizzato su Banca Monte dei Paschi di Siena e Banca Etruria. L’Italia è ormai vicina al carico di rottura, il livello di sollecitazione oltre il quale il Paese va in frantumi. Alcuni davano per certa l’uscita dall’euro nel 2015. Il 2016 è subentrato, ma la dinamica finanziarie-economiche non hanno cambiato rotta, con l’aggravante che il contesto internazionale si è deteriorato. L’establishment euro-atlantico si prepara così a divorare l’ennesimo figlio, Matteo Renzi, a picco nei sondaggi e incapace di risollevare le sorti del Paese: per il post-rottamatore si prepara un governo tecnico od il primo esecutivo aperto al M5S, duramente scosso però dalla vicenda di Quarto. Gli assetti post-euro sono un’incognita.
Euro a fine corsa (e Renzi pure)

Repetita iuvant, dicevano i latini: l’eurozona è intrinsecamente instabile, essendo stata creata calando un regime a cambi fissi su un’area monetaria non ottimale, così da produrre una lacerante crisi economica (quella che stiamo vivendo) utile a partorire gli Stato Uniti d’Europa. Fallito il colpo nel lontano 2012/2013 di ottenere un Tesoro comune e la conseguente federazione dell’Europa (a causa dei “niet” tedeschi e francesi), l’euro è rimasto un banale regime a cambi fissi, identico al gold standard.

Perché un sistema a cambi fissi possa funzionare, le bilance commerciali devono essere in equilibrio, cosicché la moneta, che segue un percorso inverso alla merci, non defluisca da un Paese fino a rendere incerta la sua capacità di difendere il cambio. Segue così l’imposizione dell’austerità, volta non a mettere in sicurezza le finanze pubbliche (che peggiorano ovunque nell’eurozona) ma ad uccidere i consumi ed in particolare l’import, così da riequilibrare le bilance commerciali.

L’adozione dell’austerità per salvaguardare l’euro equivale, però, al tagliarsi i polsi per curare la pressione alta: il sollievo è immediato, peccato che si muoia dissanguati. La distruzione dei consumi (attraverso l’esplosione della pressione fiscale), implica distruzione di posti di lavoro, che implica distruzione di reddito, che implica calo del gettito fiscale e aumento degli oneri sociali: il debito pubblico, in sostanza, aumenta incessantemente, in parallelo alla vertiginoso incremento delle sofferenze bancarie, man mano che le imprese, senza più consumatori e ricavi, smettono di ripagare i debiti contratti con le banche.

Basta con la teoria: passiamo alla pratica con il caso Italia e snoccioliamo qualche dato:
  • Anno 2011, governo Berlusconi IV: Pil +0,4%, Debito pubblico/Pil al 120%, disoccupazione 8%, sofferenze bancarie a 100 €mld;
  • Anno 2012, governo Monti: Pil -2,4%, debito/Pil al 127%, disoccupazione 11%, sofferenze bancarie a 120 €mld, primo saldo positivo della bilancia commerciale dal 1999 (11 €mld);
  • Anno 2013, governo Letta: Pil -1,9%, debito/Pil al 132% (stock a 2090 €mld), disoccupazione 12%, sofferenze bancarie a 150 €mld, avanzo record della bilancia commerciale a 30 €mld;
  • Anno 2014, governo Renzi: Pil -0,4%,debito/Pil ricalcolato con Esa 2010 al 131% (stock a 2135 €mld e rapporto al 136% con i precedenti parametri), disoccupazione al 12,5%, sofferenze bancarie a 185 €mld, avanzo record della bilancia commerciale a 43 €mld;
  • Anno 2015, governo Renzi: Pil +0,7% (secondo le previsioni dell’Istat), debito/Pil al 132% (stock a 2210 €mld e rapporto al 140% con i vecchi parametri), disoccupazione al 11%, sofferenze bancarie oltre i 200 €mld (record dal 1996), avanzo della bilancia commerciale a 39 €mld nei primi 11 mesi dell’anno.
Come è ben visibile dai dati, l’Italia ha “smesso di vivere al di sopra dei propri mezzi”, uccidendo i consumi e l’import, ma il prezzo da pagare per salvaguardare il regime a cambi fissi dell’euro è altissimo. A distanza di quattro anni dall’adozione dell’austerità, il Paese è arrivato al carico di rottura: un grammo di austerità in più, qualche etto di recessione globale e l’intera Italia collassa, sotto il peso delle sofferenze bancarie e dal debito pubblico. Segue a ruota la dissoluzione dell’euro.

A dire il vero, non c’era alcun dubbio che sarebbe stato questo l’esito finale: come il crack del 1929 implicò il collasso del gold standard sotto il peso della recessione, così la stessa sorte tocca all’euro, salvato ad altissimi costi sociali ed economici dopo il crack di Lehman Brothers del 2008 ed impossibile da tenere in vita ora, con una recessione globale in arrivo. I campanelli d’allarme sui tristi destini dell’Italia (molti rari a dire il vero, per non creare panico) risalgono infatti ad anni addietro.

Nel giugno del 2013 esce il rapporto di Mediobanca Securities (riservato ai soli clienti) che analizza con spietata lucidità la situazione dell’Italia1: la crisi è peggio del 1992 (quando l’Italia fu costretta a lasciare lo SME, papà dell’euro) ed a creare allarme sono l’alto debito pubblico e le sofferenze bancarie. L’Italia, chiosa minaccioso il documento, potrebbe essere costretta a chiedere un salvataggio all’Unione Europea.

Nel frattempo esce su Il Sole 24 Ore l’articolo “Tra due anni, con la recessione, il rapporto tra debito e Pil salirà al 140%. Il rischio di uscire dall’euro2 su cui ci soffermammo a suo tempo: il 2015 si è concluso, il debito pubblico (senza i camuffamenti di Esa 2010) ha sfondato il rapporto del 140% del Pil e le sofferenze bancarie macinano record di mese in mese.

Entrambe le analisi, quella di Mediobanca e de Il Sole 24 Ore, sono frutto del clima che si respira nella tarda primavera del 2013, quando per la prima volta è applicato il metodo del bail-in per il salvataggio degli istituti di credito, diventato, dal primo gennaio del 2016, la prassi estesa all’intera eurozona: a pagare sono prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti subordinati, poi i correntisti oltre i 100.000 €mld. Nasce, certo, la supervisione europea delle banche da parte della BCE3, ma la Germania si oppone da subito (e nel frattempo non ha cambiato idea) ad un sistema di garanzia europea sui depositi: dopo aver detto “nein” gli eurobond nel 2011-2012, Berlino non vuole che la condivisione del debito pubblico rientri subdolamente con l’assicurazione sui depositi della banche, colme in Italia di titoli di Stato e di sofferenze bancarie.

Passa il tempo e, nonostante l’avvento di Matteo Renzi e della sua agenda neoliberista venduta come socialdemocratica (abolizione dell’art. 18 e privatizzazione delle poche imprese statali sopravvissute), le più fosche previsioni si avverano.

Neppure l’avvio dell’allentamento quantitativo da parte della BCE nel marzo del 2015 riesce a rianimare l’Italia, che può beneficiare di un euro più debole e di un risparmio di 5 €mld in termini di interessi annui sul debito4: le finanze pubbliche peggiorano, l’inflazione (che alleggerisce il debito, divorandolo un po’ alla volta) è ferma attorno allo zero, ad un soffio dalla letale deflazione (+0,1% annuo nel 20155) e, non solo la crescita non decolla, ma nell’ultimo trimestre dell’anno appaiono allarmanti segnali di uno nuovo rallentamento, come il calo del fatturato e degli ordinativi dell’industria, dettato dalla debolezza dei mercati esteri. L’Italia vive infatti di domanda esterna: finché esporta respira un po’, ma la situazione diventa drammatica nel caso di recessione globale che, nell’aria sin dal 2015, sembra concretizzarsi col nuovo anno.

Capita così che, nel giugno del 2015, compaia sul Wall Street Journal l’articolo “Italy’s Reforms at Risk From Outside Forces6 che lancia la prima frecciata a Matteo Renzi, evidenziando come l’Italia sia in balia di forze esterne, la ripresa economica molto incerta a la posizione politica di Renzi fragile, a causa di un indice di gradimento persino inferiore a quello del predecessore Enrico Letta e di forti tensione all’interno del PD. Se fallisce Renzi, dice il WSJ, è la volta dei “populisti”:
Mr. Renzi has promised wide-ranging overhauls of everything from the public administration, the judicial system, the tax code and the country’s infrastructure. (…) With no new elections due until 2018 and no incentive for his beleaguered coalition partners to bring down the government before then, Mr. Renzi should have time on his side. But his political position no longer looks as strong as it did when his Democratic Party convincingly won last year’s European Parliament elections. (…) Mr. Renzi’s approval rating has fallen below 35%, less than that of Enrico Letta, who Mr. Renzi deposed (…) Italy may be more stable than at any time since the start of the global financial crisis, but this stability is also brittle and vulnerable to shocks, made more vulnerable by political reforms designed to boost the power of the executive but which could yet hand this power to a populist government at the next elections if Mr. Renzi stumbles.
A novembre tocca al Financial Times rilanciare, e lo fa con l’articolo “Italy’s economic recovery is not what it seems7 a firma di Wolfgang Münchau. Si analizza con spietata lucidità la situazione dell’Italia, incapace di ritrovare la crescita a causa (seconda frecciata al presidente del Consiglio) delle mancate riforme di Matteo Renzi, concentrato sul taglio dell’IMU, anziché sulla pubblica amministrazione e sul sistema giudiziario. Le speranze per il Belpaese di uscire indenne dalla prossima recessione globale sono minime ed al deludente Renzi potrebbe succedere un nuovo governo tecnico, finché la scelta più razionale non diventerà l’abbandono dell’euro:
(…) But what worries me is that the Italian government is not ready for when the impact of the slowdown in China and emerging markets hits Europe. (…) Italy’s ability to sustain a healthy rate of growth is critical — for the country’s political stability, for its young people with no hope of finding work, for debt sustainability and in particular for its future in the eurozone. (…) If Italy fails to bounce back strongly from this recession, it is hard to see how it can stay in the eurozone. (…) From next year EU “bail-in” rules take effect. Then the Italian government will no longer simply be able to bail out banks but will have to make bondholders and depositors pay up first. Can we be sure the rotten banks will continue to sustain the recovery in this environment? (…) Another non-elected “technical” government might take over. Italy might never choose to leave the eurozone for political reasons. But, if Mr Renzi’s calculations prove wrong, Italy will be at the point where it would be rational to leave for economic reasons.
Sono lontani i tempi in cui Matteo Renzi era definito dallo stesso Financial Times “l‘ultima speranza per la classe dirigente italiana8: nonostante il premier abbia cercato di tenersi buone le oligarchie anglofone che lo hanno insediato a Palazzo Chigi (con le privatizzazioni di Poste, FS, Fincantieri, Enav, etc. etc. e qualche riforma di stampo neoliberista, come l’abrogazione dell‘art.18 ed i tagli alla sanità pubblica), l’ex-sindaco di Firenze, conscio dell’effetto drammatico in termini elettorali, non hai mai osato affondare il coltello nella carni della cosa pubblica, attuando un robusto taglio alla spesa in ossequio al dogma neoliberista del “più mercato e meno Stato”.

Alla City ed a Wall Street speravano che Renzi fosse una Thatcher od un Reagan: si sono trovati uno spregiudicato presidente del Consiglio che, pur di non alienarsi le simpatie di quelle importanti fette dell’elettorato che di spesa pubblica vivono, ha accompagnato alla porta due incaricati al taglio della “spesa improduttiva” (Carlo Cottarelli e Roberto Perotti)9 ed ha lasciato invariata la pressione fiscale, attorno al 41% del PIL (destinata a salire nel 2016, 2017 e 2018, man mano che scattano le clausole di salvaguardia automatiche per la riduzione del deficit). Il sostanziale immobilismo in campo economico è stato compensato da Renzi col dinamismo sulle riforme costituzionali, modellate, sì, secondo il “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli ed utili forse a mobilitare l’attenzione dei media, ma del tutto superflue per garantire la sopravvivenza dell’eurozona.

Matteo Renzi si avvicina poi in pessima forma (indice di fiducia al 30%) ad un appuntamento elettorale che rischia di rendere irraggiungibile il referendum sulle riforme costituzionali, fissato per il mese di ottobre: sebbene il presidente del Consiglio eviti con cura di spendersi in prima persona e minimizzi il più possibile la scadenza, si avvicinano le elezioni comunali a Torino, Milano e Roma. Qualora il Partito Democratico, insediato dalla Sinistra Italiana e dal Movimento 5 Stelle, dovesse subire una sconfitta nelle tre strategiche città (da unirsi alla perdita di Venezia nel giugno 2015), i dubbi sulla legittimità del governo Renzi esploderebbero, vanificando le velleità del premier di ricevere un “battesimo democratico” con il referendum costituzionale su cui punta tutta.

Il presidente del Consiglio è, in sostanza, un cavallo azzoppato. Fallita la missione (utopica, bisogna riconoscerlo) di rianimare l’Italia in un contesto di austerità e di garantirne la permanenza nell’euro (salvando la stessa eurozona, perché difficilmente l’euro sopravviverà all’uscita dell’Italia) e gravemente indebolito dall’inchiesta su Banca Etruria, che interessa un nome di primo piano del suo esecutivo come il ministro per le Riforme Costituzionali, Maria Elena Boschi, non resta altro da fare che estrometterlo da Palazzo Chigi. 

La situazione del premier potrebbe ricordare, mutatis mutandis, quella di Enrico Letta nel febbraio del 2014. Quando l’ex-democristiano (il più giovane ministro della storia repubblicana, come sottolinea il TIME nel 200610), perde slancio, il suo governo appare ingolfato ed il suo indice di gradimento scende al 45%11 (ben al di sopra dell’attuale livello di Renzi), a nulla servono le sue entrature nel Gruppo Bilderberg: il premier logoro è deposto, per insediarvi al posto il dinamico e graffiante “rottamatore” (“il governo Letta-Alfano è come una bici: sta in piedi se corre” dice Renzi pochi mesi prima di avvicendarsi a Palazzo Chigi).

In verità, essendo Matteo Renzi un personaggio più coriaceo di Letta (dimessosi senza neppure un voto di sfiducia, quando la parlamentarizzazione della crisi avrebbe avuto esiti tutt’altro che scontati) e l’obbiettivo prefissato più radicale che l’alternanza alla presidenza del Consiglio di due ex-DC passati al Partito Democratico, è più corretto fare un paragone con il bollente autunno del 2011.

Dopo Renzi, governo tecnico o grillini?

Le analogie tra la cacciata di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi nel novembre del 2011 e quella, probabilmente vicina, di Matteo Renzi, si sprecano.

Entrambi, più vicini alla destra americana che al partito democratico, cadono in disgrazia presso gli ambienti atlantici dopo un periodo di ottime relazioni (quando Silvio Berlusconi invia i militari italiani in Iraq e Matteo Renzi è eletto tra le 100 persone più influenti del mondo dal TIME12): il primo a causa dei rapporti troppo stretti con Vladimir Putin e dell’alleanza con Muammur Gheddafi, il secondo perché la sua spinta riformatrice è considerata esaurita ed il suo capitale di immagine ormai dilapidato.

Entrambi sono indeboliti, e Berlusconi è poi estromesso da Palazzo Chigi, quando nel mirino di angloamericani e francesi finisce la Libia: nel 2011, per rovesciare ed uccidere il Colonnello Gheddafi e, nel 2016, per portare a termine la destabilizzazione del Paese attraverso l’ISIS, da affiancare con un possibile intervento militare anglo-francese (si ricordi che l’uomo su cui l’Italia punta tutto, il generale Khalifa Haftar, è strenuamente osteggiato da Londra e Washington).

Entrambi sono preventivamente sfiancati da uno scandalo che ne dimezza l’autorevolezza: l’inchiesta Ruby per Berlusconi e l’affaire Banca Etruria per Renzi.

Entrambi sono oggetto di una manovra a tenaglia (letale per Berlusconi e forse anche per Renzi) composta da un progressivo isolamento in Europa, dove Angela Merkel agisce nella veste di agente angloamericano, e da un assalto speculativo che parte dalle piazze finanziarie anglosassoni. Questo è l’aspetto che più merita di essere approfondito.

I punti salienti della ghettizzazione europea di Berlusconi sono la famosa lettera inviata il 5 agosto del 2011 dalla BCE che, vincolando gli aiuti ad un serie precisa di riforme, esautora e commissaria de facto l’esecutivo italiano ed il Consiglio Europeo del 23-26 ottobre 2011, al cui in termine va in onda il celebre siparietto tra Angela Dorothea Kasner e Nicolas Sarkozy de Nagy-Bocsa, che sghignazzano interrogati sull’affidabilità di Silvio Berlusconi (“Merkel-Sarkozy, ultimatum a Berlusconi: attui subito le misure per debito e crescita” titola la Repubblica13). Il Cavaliere è infatti conscio dei pesantissimi danni in termini economici ed elettorali che comporta l’adozione dell’austerità, tanto da minacciare l’uscita dall’euro: duramente colpito a Piazza Affari attraverso Mediaset e sotto scacco con il processo Ruby, preferisce, alla fine, uscire semplicemente da Palazzo Chigi senza troppe storie.

Anche Matteo Renzi (il cui indice di gradimento non è troppo lontano da quello di Berlusconi al momento della cacciata: 30% contro 23%14) è conscio che se i cordoni della borsa restano chiusi e l’economia non riparte, il suo destino è segnato: da qui il crescente gelo con Bruxelles e Berlino sul tema della flessibilità di bilancio. L’esternazione del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, secondo cui “Bruxelles non ha un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati15, è l’equivalente della lettera del 5 agosto 2011: a Roma si brancola nel buio e si fatica persino a reperire un interlocutore, quasi che l’esecutivo Renzi fosse in smobilitazione (da notare la risposta del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “L’Italia ha un Governo nel pieno dei suoi poteri. Abbiamo un continuo dialogo con le istituzioni, abbiamo un ministro degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia”). Manca, a questo punto, solo il pubblico ripudio di Angela Merkel perché Renzi sia accompagnato dalla porta.

Dalla parte dell’ex-sindaco di Firenze gioca il fatto che le forze centrifughe in seno alla UE sono oggi molto più potenti del 2011: il suo dossier è uno dei tanti che si sta accavallando in questi mesi sul tavolo dell’establishment euro-atlantico.

L’assalto speculativo del 2011, prodromo del cambio di regime ai danni di Berlusconi, ha per oggetto i titoli di Stato: il differenziale tra i rendimenti dei Btp e dei Bund alza la testa all’inizio dell’estate (250 punti base), trascinando nel baratro le banche italiane e Piazza Affari, sempre tra i peggiori mercati d’Europa, e raggiunge lo zenit (500 punti base) ai primi di novembre, quando si tratta di dare la spallata definitiva al Cavaliere. “Siamo molto preoccupati dagli spread in Italia, la situazione è drammatica, per questo è essenziale che ora si facciano quelle riforme che rassicurino i mercati sulla solidità del Paese” dice il commissario europeo Olli Rehn, quattro giorni prima che Berlusconi lasci Palazzo Chigi16.

L‘allentamento quantitativo avviato dalla BCE nel marzo del 2015 impedisce agli assalti speculativi di riversarsi sui titoli di Stato (anche in questi bollenti giorni di crolli borsistici il differenziale Btp-Bund non ha mai superato i 120 punti base). Tuttavia, la City e Wall Street non disperano e si concentrano sull’altro punctum dolens dell’Italia, ovvero le sofferenze bancarie. La strenua opposizione tedesca ad una garanzia europea dei depositi, l’entrata in vigore del bail-in e l’abnorme quantità di crediti inesigibili in pancia agli istituti, consente un assalto paragonabile a quello del 2011 contro i titoli di Stato: le banche colano a picco in borsa e Piazza Affari è, nuovamente, il peggiore mercato d’Europa (quasi -5% il 20 gennaio e -15% da inizio anno).

Anche in questo caso c’è lo zampino della BCE di Mario Draghi che, sincronizzandosi, come sempre, con gli speculatori anglofoni, attende che le nuove e punitive regole del bail-in siano vigenti per avviare “un’indagine conoscitiva su alcune banche italiane” (UniCredit, Mps, Carige, Banco popolare, Bpm), finalizzata ad appurare l’ammontare e la gestione dei crediti deteriorati. Sull’agenzia Agi compare, non a caso, l’articolo “Banche: complimenti a Bce ed a Mario Draghi per aver scatenato tempesta in borsa” a firma di Adusbef e Federconsumatori17.

Il fatto che alla manovra speculativa contro l’Italia partecipi, come nel 2011, anche Mario Draghi, non lascia presagire niente di buono per l’ex-sindaco di Firenze.

E dopo Renzi? Cosa accadrà se l’assalto speculativo sarà coronato con la sua cacciata?

L’ipotesi più conservativa è che si insedi il quarto esecutivo non eletto (dopo il governo Monti, quello Letta e l’attuale): sarebbe probabilmente l’ennesimo esperimento “tecnico”, chiamato all’attuazione di misure estreme, come l’alienazione delle partecipate pubbliche od una tassa patrimoniale, nell’estremo tentativo di mantenere l’Italia nell’euro. Prima che scoppiasse il caso Banca Etruria, il candito favorito per guidare quest’esecutivo era Ignazio Visco: duramente provato dal salvataggio delle quattro banche a spese di azionisti ed obbligazionisti subordinati, tanto da essere costretto ad una difesa pubblica in Tv, ospite di Fabio Fazio, difficilmente il governatore di Bankitalia ha ancora l’autorevolezza per affrontare, come presidente del Consiglio, una crisi che si profila tutta bancaria.

Lo scenario più spinto prevede invece che l’establishment euro-atlantico giochi la carta del Movimento 5 stelle, partito appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare ed addomesticare il voto di protesta: non ci sarebbe nulla di strano, specialmente dopo il collaudo Syriza che ha dimostrato come le formazioni pseudo-contestarie assolvono egregiamente alla funzione di mantenere lo status quo. Diversi segnali indicano che Londra e Washington stiano seriamente valutando l’ipotesi M5S per il dopo Renzi, sostituendolo o affiancandolo al PD: i sondaggi, innanzitutto, danno ormai le intenzioni di voto perfettamente tripartite tra PD, centrodestra e grillini18. Alcuni sondaggi danno addirittura l’M5S vincente al ballottaggio, se si votasse oggi con l’Italicum19.

M5S, come è emerso con chiarezza dall’asse con Renzi per la nomina dei tre giudici costituzionali, lavora alacremente per lasciarsi alle spalle l’immagine di movimento di protesta, proponendosi come soggetto responsabile e pronto alla guida del Paese. Soprattutto, però, è in atto quel meccanismo di legittimazione con cui gli angloamericani preparano il terreno per gli incarichi di governo.

Il 29 dicembre appare sul Financial Times l’articolo “Italy’s Five Star Movement wants to be taken seriously”, con cui il giornale della City celebra il mutamento dei M5S, non più un folkloristico movimento di protesta, capitanato dall’ex-comico genovese Beppe Grillo, bensì una forza seria e composta, pronta a contendere a Renzi la guida del Paese:
But the Five Star Movement is now attempting to change its face from that of one of Europe’s most eccentric — even clownish — political parties. The transformation aims to achieve what seemed like a fantasy only a year ago: to govern the country and challenge the centre-left government led by prime minister Matteo Renzi. (…) His most likely heir is Luigi Di Maio, a 29-year-old smooth-talking Neapolitan with polished looks, tight-fitting dark suits and moderate tones. (…) That the Five Star Movement even has a shot at threatening Mr Renzi says much about the waning political momentum suffered by the 40-year former mayor of Florence, who took office in February 2014 amid high hopes that he could transform Italy. (…) And Di Maio is keen to distance himself from another populist party shaking Europe’s establishment, France’s far-right National Front. Its rise reflects a “climate of general indignation”, says Mr Di Maio. Yet the Five Star Movement, he insists, is not a populist toxin but its antidote.
Matteo Renzi è, in sostanza, cotto: l’establishment atlantico gli ha dato una possibilità, lui ha fallito ed ora lo rispediscono a casa. È la volta di Luigi Di Maio: un napoletano educato e ben vestito, attento a sottolineare che l’M5S non è un partito populista come il Front National (che non a caso riceve finanziamenti dai russi e contempla l’uscita della Francia dalla NATO), bensì un antidoto al populismo, ossia, come abbiamo a suo tempo evidenziato nelle nostre analisi, un prodotto dei servizi angloamericani e del miliardario George Soros.

Ora tocca agli americani rilanciare: nella lista dei 30 politici sotto i 30 anni più influenti d’Europa, stilata dalla rivista Forbes, appare niente meno che Luigi di Maio20, rampante giovane “focalizzato su ambiente, trasparenza amministrativa e sprechi del governo”.

Non c’è alcun dubbio che fosse Luigi Di Maio il volto fotogenico e pulito per il nuovo M5S, non più movimento di opposizione, ma forza da affiancare/sostituire al Partito Democratico. Quella che è passata alla storia come “l’investitura” da parte di Beppe Grillo (“Grillo incorona il delfino Di Maio -Maledetto sei tu il leader-” titola la Repubblica nel settembre del 201521) è in realtà il frutto di una decisione presa, come sempre, fuori dal movimento e fuori persino dalla Casaleggio Associati Srl: là dove si tirano i fili, ossia negli ambienti atlantici.

Purtroppo, si commettono a volte nella vita delle leggerezze che costano caro, molto caro: sciocchezze le cui conseguenze non sono immediate, ma quando si palesano possono compromettere le aspirazioni ed i sogni di un uomo. Ci riferiamo, ovviamente, alla vicenda di Quarto, il comune del napoletano dove è emerso con chiarezza che il Movimento 5 Stelle, lungi da essere una forza rivoluzionaria, si adagia semplicemente sui sistemi di potere già esistenti (anche camorristici), garantendo, a livello locale come a livello nazionale, la conservazione dello status quo. “Fico e Di Maio sapevano, li aspettiamo in Commissione Antimafia” 22titola l’articolo sul sito del PD dedicato all’affare di Quarto: il Direttorio del M5S sarebbe stato informato da mesi sulle infiltrazioni mafiose nella nuova amministrazione guidata dai grillini, eppure nessuno provvedimento è stato preso.

Sarà ancora il fotogenico Luigi Di Maio a rappresentare l’M5S “di governo” nell’era post-Renzi? È molto difficile. Come tutt’altro che scontata è la formazione di un esecutivo a maggioranza 5 stelle, o la nascita di una coalizione tra democratici e grillini.

L’Italia, tornando all’incipit, si avvicina infatti al carico di rottura. È impossibile pensare che la sempre più probabile (ed imminente) implosione dell’euro e dell’Unione Europea non abbia profonde ripercussioni sugli assetti internazionali e nazionali. I poteri che hanno espresso la classe dirigente italiana fino a oggi, potrebbero cambiare in un futuro non troppo lontano.

Ancora un buon 2016: annoiarsi sarà impossibile!

renziberlusconimib

1http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/22/crisi-peggiore-del-92-entro-6-mesi-potrebbe-costringere-alla-richiesta-di-salvataggio/634091/
2http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2013-04-05/anni-recessione-rapporto-debito-222911.shtml?uuid=Abp5DjkH&p=2
3http://www.lastampa.it/2013/04/12/economia/alla-bce-la-supervisione-unica-delle-banche-dell-europa-86FPpm1s4cugWQvyp0jCbJ/pagina.html
4http://www.ilmessaggero.it/economia/economia_e_finanza/debito_interessi_spesa_tesoro/notizie/1709404.shtml
5http://it.reuters.com/article/itEuroRpt/idITL8N14Z179
6http://www.wsj.com/articles/italys-reforms-at-risk-from-outside-forces-1434573733
7http://www.ft.com/intl/cms/s/0/576f5c6e-8a11-11e5-9f8c-a8d619fa707c.html#axzz3xoN4HW00
8http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/01/05/news/matteo-renzi-e-l-ultima-speranza-per-la-classe-dirigente-italiana-1.193732
9http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/09/spending-review-il-commissario-perotti-ho-dato-le-dimissioni-sabato-non-mi-sentivo-molto-utile/2204881/
10http://www.europaquotidiano.it/2014/05/08/la-prima-intervista-di-time-a-matteo-renzi-nel-2006/
11http://www.data24news.it/sondaggi-da-tutto-il-mondo/137737-sondaggio-ipsos-per-il-corriere-della-sera-cala-il-gradimento-nel-governo-letta-84575/
12http://time.com/55769/time-100-2014-poll-world/
13http://www.repubblica.it/economia/2011/10/23/news/vertice_ue_arriva_mister_euro-23714298/
14http://www.newnotizie.it/2011/09/sondaggi-centrodestra-a-picco-colpa-della-manovra/
15http://www.repubblica.it/politica/2016/01/18/news/tensioni_italia-ue_gentiloni_da_bruxelles_polemiche_inutili_-131513340/
16http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/08/spread-massimo-toccati-puntipiazza-affari-apre-positiva/169193/
17http://www.agi.it/rubriche/la-voce-del-consumatore/2016/01/20/news/banche_complimenti_a_bce_ed_a_mario_draghi_per_aver_scatenato_tempesta_in_borsa-436754/
18http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/22/sondaggi-pd-m5s-centrodestra-sfida-a-tre-allultimo-voto-tutti-in-un-punto/2324698/
19http://www.ilsussidiario.net/News/Politica/2016/1/21/SONDAGGI-ELETTORALI-POLITICI-2016-Euromedia-le-ultime-proiezioni-Pd-in-leggero-calo-M5s-staccato-di-4-punti-Lega-ferma-oggi-21-gennaio-/672112/
20http://www.forbes.com/30-under-30-europe-2016/policy/#3a5285d03e797e84dc93e79c
21http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/09/10/grillo-incorona-il-delfinodi-maio-maledetto-sei-tu-il-leader19.html
22http://www.partitodemocratico.it/generale/fico-e-di-maio-sapevano-li-aspettiamo-commissione-antimafia/


Federico Dezzani
Twitter: @FedericoDezzani

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