lunedì 29 febbraio 2016

I nemici della notte. Quando il sapere di essere stati condizionamento diventa un ostacolo.

« Il regno di Dio è dentro di te e tutto intorno a te, non in templi di legno e pietra, spacca un pezzo di legno e io ci sarò, solleva una pietra e li mi troverai. » Tommaso - (detti segreti di Gesù il vivente)
Dio è in te, la luce sei tu, tu sei la luce, io sono dio, gli dei sono con noi, noi siamo dei” 
– e il mondo va lo stesso a scatafascio! Come mai? Ma tu guarda se veramente si riesce a capire di cosa raccontano queste parole, mi riferisco ai detti di Gesù vivente, ma come altre scritte un po’ in tutti i testi considerati sacri. Hai capito che - sei stato condizionato a credere a un idea di Dio che non esiste? Riesci a capire che anche il tuo concetto di Dio e di luce è frutto di quel condizionamento? E fintanto che quel condizionamento è tale tu Dio non lo puoi percepire? 
 
Per secoli uomini hanno imposto ad altri uomini un Dio vendicativo ed insensibile col quale abbiamo giustificato la brutalità di una natura umana depravata, che ha giustificato le guerre e la miseria, la divisioni in classi sociali o caste e l'abbrutimento della donna al fine di deviare completamente l'evoluzione culturale in atto alle origini dell'umanità. E per quanto le radici delle antiche civiltà e splendore non siano state del tutto estirpate, faticano ad emergere in un mondo di competizione e sopraffazione, dove la trasformazione della realtà percepita è stata compiuta così bene che i più vivono in modo del tutto inconsapevole e non percepiscono più nemmeno chi è che gli parla. 
 
Se hai accettato che sei condizionato, che l’ambiente nel quale ti sei sviluppato ha influito su di te al punto tale da privarti della possibilità di estendere in tuo pensiero ad un concetto così astratto come Dio o Dea, spiegami come puoi tu essere Dio, se non hai neanche la concezione di quel Dio che vorresti essere? Come puoi essere la luce che neanche conosci o ignori di conoscere? Di quella luce che hai sperimentato e non consideri luce, perché tu credi di sapere cosa sia la luce e quindi quando la incontri non la riconosci. 
 
Le persone vogliono essere “luce” e vogliono credere che quella “luce” sia dentro di loro, o almeno questo è quello che si raccontano, implicito od esplicitamente, senza avere neanche una minima concezione e collegamento con un esperienza reale da attribuire alla parola “luce”. Assunto questo, ovvero che non è chiaro a quale "dio" ti rifai, semmai ce ne fosse uno o più di uno, il secondo dilemma che incontrai o che hai già incontrato e, quindi, avrai anche cercato di evitare come la peste, è che devi trovare un colpevole alla tua "nullezza". Finirai pertanto per convincerti che per qualche ragione non sei quella luce che credi di dover essere a causa di qualcosa o meglio ancora di qualcuno (di solito il padre o la madre: Poveri genitori, anche questo). Se ti è andata bene hai anche incontrato certe idee ed hai iniziato a convincerti che non sei quella “luce” perché qualcosa o qualcuno, la società per mezzo del condizionamento, ti ha private dall’esserlo quella luce.
 
Continuerai a sentire tutta la tua inadeguatezza, sentirai che non hai una gran personale stima di te e quindi inizierai a convincerti, per lo più erroneamente, che senza tutto quello che hai passato non saresti la persona insulsa che oggi scopri e senti di essere, e per ironia della sorte non sei lontano dalla verità, se solo tu potessi capire cosa significa - "restare nella propria inadeguatezza senza fare niente!". Ma siccome la temi come il fuoco, temendo di rimanere tale cercherai in tutti i modi di cambiare, cercherai in qualche modo metodi per cambiare per abbracciare e diventare quella luce. Ad altri è andata anche peggio dato che hanno incontrato chi gli ha raccontato di essere già Dio, che dio era il loro e loro sono dio e che a Dio non serve fare nulla perché è già ciò che deve essere. La domanda semplice sarebbe: quale Dio? Quello descritto dalle religioni? Quello descritto dalle scritture? Quello descritto dal tuo guru? A quale dio dovresti assimilarti o saresti? Che immensa illusione.
 
Luce, la parola “luce”, il cui corrispondente termine in greco è reso con φῶς (phaos/phōs) la cui radice corrisponde a quella del verbo phainō, significa "mostrare", "rendere manifesto". La stessa parola ha una corrispondenza nel latino: "lux" che significa "illuminare" e quindi "far vedere". Far vedere cosa? Quello che sei? Già quello che sei, quindi tu sei quello che sei, e quello che sei, sei. Questa è “luce”. Tu cosa sei?
 
Proverò ad aiutarti a fare un passo in avanti prendendo il discorso da un altro lato. Restiamo sulla tua idea della “luce” dentro. Mi verrebbe da chiederti “dentro dove?”, ma fermiamoci qui. Prova a ragionare invece su questo: e se il dio e la luce alla quale aspiri non fosse dentro, ma è da costruire? Se non esistesse nessuna luce dentro, ma dovrai impegnarti per conquistarla? Saresti disposta o disposto lo stesso a darti da fare? Se si sei già a buon punto, perché hai smesso di illuderti e farti belle idee su di te e su cosa sei o non sei. Ognuno di noi praticamente è nulla, la mancanza più assoluta di tutto, ma ha una piccola possibilità, un impulso nella direzione del perfezionamento, gliel'ha data la Madre, la natura, perché essa ha bisogno di evolvere per sopravvivere. Se saprai farti bastare questo hai buone possibilità di cambiare, se certi magie inesistenti, ... beh! Saprai risponderti da sola o da solo.
 
Voi mi domanderete che differenza fa? In entrambi casi se non ci si rivoluzione, se non si lavora al cambiamento e non si cerca una trasformazione, non c’è mutamento. Si è vero, sei chiamato comunque a “fare” qualcosa, il punto è che in un senso stai alimentando l’ego, e nell’altro c’è poco da stare allegri, mi sono fatto capire? Con una visione mi credo una specie di “cristo” in terra incompreso, che per colpa del mondo non lo sono diventato, nell’altro so di essere una cellula del “buco del culo” (mi scuso per l’espressione), e aspiro a diventare un neurone. Smetto di farmi illusioni, prendo quel barlume di speranza ed inizio a costruire la mia cattedrale. Capite la differenza? Non mi credi di essere una cattedrale, so che sono un buon piano di partenza, ma non c’è ancora nulla, se un fiume d’acqua che scorre e alcuni punti che congiungono, qualcuno li chiama nodi, altri meridiani, ma sono solo congiunture, fortunate opportunità.
 
Accetto questa nullità e questo mi permette di evolvere. Se così faremo avremmo sconfitto un primo grande nemico o ostacolo al cambiamento. E si, perché di seguito ce ne viene incontro subito un secondo. E guardate che del primo non ce liberiamo solo perché lo sappiamo o lo avete letto qui, dovete realmente sentirvi nulla, quella nullità che sfuggite continuamente alimentando la vostra auto-immagine di belle immagini, di illusioni sulla vostra natura divina. L’uomo è figlio della terra, ovvero della Madre, è a lei che deve tutto, ed è a questa dea che dovrebbe immolarsi e sacrificarsi. Il Dio maschile creato dagli uomini è un dio vendicativo e distruttore utile solo ad alimentare illusioni. I Nostri antenati sapevano bene chi pregare e per questo che li hanno sterminati.
 
Ma veniamo al secondo problema. Noi vogliamo "fare", ma per qualche ragione alla fine non riusciamo nemmeno la lasciare andare quell’attrezzo che teniamo tutto il giorno attaccato addosso per dedicarci almeno 5 min. della nostra giornata a un cavolo di meditazione o lavoro in calma. Mi riferisco ad “internet”, non tanto allo smarphone o al computer, che sono solo mezzi, ma al fatto che siamo connessi, o almeno abbiamo questa illusione, con tutto il resto del mondo h 24. Perché? Perché accade tutto questo? 
 
Perché sono diventato così maledettamente dipendente da questo attrezzo? Perché ho bisogno di sentirmi collegato, riconnesso? Di quale bisogno parliamo? Perché non riesco completamente a staccarmene? Una parte del perché l’avete potuta intendere dalle domande stesse che vi ho posto e che è il bisogno di considerazione, ma, come ho detto in varie occasioni, il bisogno di considerazione è collegato al concetto di cibo, di ricevere attenzioni come cibo, in una parola di impressioni, ed è qui che si può capire dove si annida il vero nemico. Il cibo è “energia[1]”, ovvero possibilità di “fare”, “opera” o “azione”, “efficace”, “attivo”. Senza che ve ne rendiate conto in tutto ciò che facciamo siamo legati e limitati dalla quantità e qualità di energia prodotta dal nostro organismo. 
 
Ogni funzione, stato, azione, pensiero o emozione necessita di una certa energia, di una certa sostanza determinata. Per questa ragione per quanti la nostra attenzione sia attratta dal mettere in pratica certe tecniche consigliate per prendere coscienza di se stessi, quali, l’osservazione di sè e il ricordo di sè, lo studio delle nostro tendenza, il modo con cui allontaniamo o respingiamo la realtà ed eventualmente anche il significato dei vari simbolismi, non riusciamo realmente ad ottenere un qualche tipo di risultato, ed, anzi, a volte, per quanto paradossale possa risultare, ci troviamo nella condizione di prendere atto che per quanto siamo animati da buone intenzioni, alla fine non riusciamo se non per poco a mettere in atto una disciplina seria o qualche tipo di strategia e soprattutto a lungo termini. 
 
Questo perché ciò che realmente sfugge è che senza la giusta qualità e quantità di energia, qualsiasi lavoro su se stessi non avrà alcun risultato e non porterà ad alcun beneficio. Ma questa è un'altra storia, prima te la devi vedere sul tuo essere un emerita nullità ed esserne contento per questo, sempre che tu riesca a capire e sentire di quale grado di libertà stia parlando. 
 
 
Buon lavoro. 
 
Rocco BRUNO

 [1] e-ner-gì-a SIGN Forza, vigore; in fisica, capacità di un sistema di compiere lavoro. dal greco: energheia, composto di en intensivo e ergon opera, azione. È una parola che funge un po' da formula aperta per includere innumerevoli sfumature di forza e vigore; ma in sé non è un concetto vago o svolazzante, anzi. L'energia è la basilare attitudine a compiere un lavoro - anche se, come ci insegna la fisica, l'energia non si potrà tradurre perfettamente in lavoro, essendo inevitabile un certo grado di dissipazione. E questo, fuor di scienza, appare chiaro nell'esperienza di ognuno.

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