venerdì 25 marzo 2016

I venti della nuova recessione soffiano vigorosi sugli USA

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S’insisteva a promuovere l’idea che la ripresa dell’economia statunitense acquistasse slancio, per un certo tempo. Anche alti funzionari di organizzazioni finanziarie internazionali arrivavano a dichiarare che l’economia statunitense era riuscita a decollare, sganciandosi dal trend negativo prevalente negli altri Paesi industrializzati. Tuttavia, l’ottimismo sfrenato contrasta con la realtà: l’inflazione non riesce ad aumentare significativamente e la disoccupazione è diventata cronica in più di 30 Stati dell’Unione nordamericana, per cui i pericoli di deflazione e recessione persistono. 
L’economia degli Stati Uniti sempre più rischia di diventare l’epicentro della prossima recessione globale. Anche se il tasso d’interesse dei fondi federali rimane su un livello storicamente basso, tra 0,25 e 0,50 per cento, le banche continuano a rifiutare d’estendere il credito alle imprese. I banchieri non credono che i prestiti saranno restituiti, semplicemente non trovando segni convincenti di un ripresa in ambito produttivo. In questi momenti i magnati della finanzia USA trovano più redditizie fusioni e acquisizioni (M&A) tra le proprie imprese, acquisire proprie azioni o acquistare beni immobili nei Paesi emergenti.

L’aumento della produttività non è sufficiente, gli investimenti delle imprese sono troppo deboli e i salari rimangono stagnanti. Di conseguenza, l’inflazione rimane ben al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento. Questa situazione dispera la presidentessa della Federal Reserve (Fed), Janet Yellen, non avendo altro modo di stimolare l’economia. 

La ripresa è così fragile che a metà marzo la Federal Open Market Committee (FOMC) della Fed lasciava intatto il tasso d’interesse dei fondi federali. Ricordiamo che solo lo scorso dicembre, quando si ebbe il primo aumento del tasso di interesse di riferimento in quasi un decennio, Dean Turner, analista della società di servizi finanziari UBS, previde che i membri della FOMC avrebbero aumentato di almeno quattro volte i tassi di interesse nel 2016. Tuttavia, oggi gli investitori azionari più ottimisti ritengono che al massimo vi saranno due incrementi: sempre se il mercato del lavoro migliorerà ed aumenterà l’inflazione, per la seconda metà dell’anno, la FED alzerà ancora una volta il tasso d’interesse di riferimento di non più un quarto di punto percentuale. 

Ma il quadro è molto più tetro. Tutta la fiducia riposta nella ripresa dell’economia globale, sotto la guida della locomotiva statunitense, svanisce, prevedendo che l’economia statunitense ricadrà nella recessione. Secondo i calcoli del team di consulenti di Willem Buiter della Citigroup, l’economia mondiale si è ampliata del 2 percento soltanto nell’ultimo trimestre del 2015, la cifra più bassa da quando la zona euro subì le peggiori devastazioni per la crisi del debito sovrano degli anni 2012-2013. Gli economisti della Citigroup non sarebbero sorpresi se i Paesi industrializzati, quelli che godevano della maggiore crescita del prodotto interno lordo (PIL) negli ultimi mesi, rallentino drammaticamente, in particolare il Stati Uniti.

Per il noto imprenditore statunitense Jim Rogers, lo scenario è ancora più pessimista. A suo avviso vi è il cento per cento di possibilità che l’economia degli Stati Uniti ancora una volta sprofondi nella recessione per tutto l’anno. “Non dovremmo prestare attenzione ai dati del governo, prestiamo attenzione ai dati veri“, ha detto in un’intervista. E’ un caso che nei primi tre mesi dell’anno l’economia statunitense mostri nuovi segnali di vulnerabilità. L’evoluzione del mercato del lavoro non è così vivace come tutti pensano. Secondo i dati diffusi dal dipartimento del Lavoro, le assunzioni non agricole hanno aggiunto il record di 242000 posti di lavoro a febbraio, lasciando il tasso ufficiale di disoccupazione, per il secondo mese consecutivo, al 4,9 per cento, il dato più basso degli ultimi otto anni. Inoltre, secondo i dati aggiornati dei mesi precedenti, le assunzioni a gennaio sono salite a 172000, mentre nel dicembre 2015 erano salite a 271000, una revisione al rialzo di 30000 posti di lavoro in entrambi i casi. 

A quanto pare, tutto va a favore dell’economia degli Stati Uniti. L’aumento delle assunzioni non-agricole del mese scorso ha superato significativamente i 230000 posti di lavoro, la media mensile del 2015. Tuttavia, secondo i dati del dipartimento del Lavoro, l’80 per cento dei nuovi lavori, a febbraio, riguardava i settori meno retribuiti: assistenza sanitaria, assistenza sociale, vendita al dettaglio, servizi di ristorazione e servizi d’istruzione privati. D’altra parte, coloro che hanno rinunciato a cercare un lavoro (1,8 milioni) e gli occupati part time (6 milioni), indicano che la sottoccupazione ha raggiunto il 9,7 per cento.

E’ evidente che il Stati Uniti non godono della “piena occupazione”. Attualmente 36 Stati dell’Unione nordamericana soffrono di disoccupazione cronica, mentre il tasso di disoccupazione medio (in termini annui) nel 2015 fu superiore al 2007. In realtà, una ricerca di Danny Yagan pubblicata dall’University of California (Berkeley) un paio di giorni fa, dice che con l’attuale ritmo, la ripresa non si avrà fino al 2020, quando il mercato del lavoro delle regioni più depresse tornerà alla normalità: a più di un decennio dalla grande recessione, essa minaccia di tornare più forte che mai…


Ariel Noyola Rodriguez* Russia Today
*Economista laureato presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico.

Jim Rogers
Jim Rogers

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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