venerdì 29 aprile 2016

Giordano Bruno: Plotino, Cusano e gli stoici


Esaminiamo le differenze tra gli atteggiamenti di alcuni pensatori in qualche modo " vicini " a Giordano Bruno per quel che riguarda le idee filosofiche : quella di Plotino, quella di Cusano, quella degli Stoici e quella di Bruno sono infatti tutte filosofie con forti tendenze immanentistiche o addirittura panteistiche, pur con varie differenze e sfumature tra loro. 

La filosofia di Plotino si reggeva su un equilibrio tendenzialmente instabile perchè aveva aspetti sia trascendenti (le idee), sia immanenti (le cose sensibili, riflesse dall'anima ): egli per descrivere il rapporto Dio-mondo si serviva della metafora della fonte: Dio é la sorgente che genera le cose sensibili (che sono il corso d' acqua): la fonte é radicalmente altra cosa dal ruscello e quindi c'é la trascendenza, ma il legame ruscello - fonte é davvero stretto, indisgiungibile: per qualche verso la fonte si identifica nel ruscello, é presente in esso: non c'é il rapporto creazionistico che separa creatore e creatura (e che é il fondamento stesso del Cattolicesimo) e ciò che viene "emanato" dalla fonte é sempre legato alla fonte stessa. 


Il risultato é che c'é un equilibrio instabile tra immanenza e trascendenza. Cusano, dal canto suo, riprendendo queste teorie, accentua la trascendenza perchè insiste sul concetto di "contrazione", ossia il concetto che gli serve a mantenere netta la distinzione tra mondo (massimo contratto) e Dio (Massimo assoluto); in altre parole Cusano rende Plotino compatibile al cristianesimo e al creazionismo, introducendo il concetto di contrazione. Giordano Bruno fa in un certo senso lo stesso lavoro, ma in senso contrario: certamente recupera parecchi elementi cusaniani, per esempio la coincidentia oppositorum con tutte le sue articolazioni; però c'é una grande differenza tra i due : mentre Cusano, infatti, porta Plotino in una direzione (la trascendenza), Bruno lo porta in quella opposta, ossia verso l'immanenza. 

Per dirla con uno slogan, Bruno é Cusano senza la contrazione, cioè tende a ridurre al minimo, fino ad eliminare la differenza tra creato e creatore e a creare il rapporto di creazione: Dio é causa ma é anche principio, ossia é una causa che resta "dentro" a ciò che causa. C' é sì in Bruno sullo sfondo l'idea di un Dio trascendente, come detto, ma lui di fatto non se ne occupa perchè convinto che per l'uomo sia impossibile occuparsi di un qualcosa che non può assolutamente conoscere (con la ragione). 

Questo, tra l' altro, permette di effettuare un collegamento Bruno - Telesio : Telesio scrisse l'opera" La natura spiegata secondo i suoi principi "dove diceva che é vero che ci sarà un Dio che crea la natura, ma non importa: a lui interessava studiare la natura e non Dio. E' esattamente il discorso che fa Bruno, in chiave più religiosa: può darsi che ci sia un principio soprannaturale, ma io non me ne occupo. 

Magari c'é un Deus super omnia, ma non é oggetto di filosofia, tutt' al più di fede. L' unico Dio che veramente c'é per l' uomo, e ancora di più per il filosofo, é il mondo, il Deus insitus omnibus. Cusano diceva" in Dio ci sono determinate cose, nel mondo ci sono ma in maniera diversa, non più assoluta": la Trinità c'é in Dio e c'é anche nel mondo sotto forma dei tre momenti in cui si articola il moto. 

Bruno invece dice che tutto ciò che si può affermare di Dio lo si può affermare anche del mondo, perchè essi finiscono per essere la stessa cosa. In Bruno poi c'é anche qualcosa di stoico: é infatti il tipico autore umanista che recupera tutto ciò che non sia aristotelico e che quindi recupera pure gli stoici

La sua, infatti, é certamente come quella stoica una concezione immanentistica; c'é anche nella tradizione stoica l'idea che libertà e necessità coincidano: la vera libertà umana per loro non é il libero arbitrio, ossia il poter scegliere questo invece di quello, ma la capacità dell'uomo di adattarsi alla razionalità del tutto (il Logos), farsi governare dalla propria natura intrinseca. 

Gli stoici ammettono la coincidenza degli opposti , perchè dire che necessità e libertà, che sono due concetti antitetici, coincidano significa proprio effettuare una identificazione degli opposti. Ma ci sono anche diversità tra Bruno e stoici: la posizione stoica é panenteistica (Dio é dappertutto), ma non panteistica: il mondo non si identifica totalmente con Dio, é la forma del mondo che si identifica con Dio; per loro la forma e la materia sono uniche e la forma é proprio il Logos, o Dio che dir si voglia: Dio é dappertutto perchè in ogni cosa c'é la forma, la quale é espressione del Logos. 

Invece in Bruno questa distinzione é assente: in Bruno non c'é Dio che si identifica con la forma e accanto la materia; in Bruno non c'é opposizione materia - forma e quindi la sua attenzione é totalmente rivolta al mondo , che si identifica con Dio; quella di Bruno é quindi una concezione radicalmente panteistica perchè tutto il mondo é Dio, non solo nei suoi aspetti formali, ma anche in quelli materiali. 

Motivi plotiniani sono anche coglibili nel De umbris idearum: egli muove dal presupposto neoplatonico dell'inconoscibilità dell' essenza divina, a cui tuttavia l'uomo si avvicina, come l'ombra, partecipe della luce e delle tenebre, si avvicina alla luce: dal quale presupposto si svolgono i due processi opposti del descensus da Dio all'uomo e del conseguente ascensus mistico dall'uomo a Dio: nel De umbris idearum compare la famosissima asserzione "umbra profunda sumus"; le idee vengono analizzate in rapporto alle ombre e in se stesse. Di qui si sviluppa un’arte della memoria. 

La conoscenza umana è strutturalmente umbratile, non può conoscere la verità, guardare in faccia Dio (questo tema verrà ripreso e ribadito nel De la Causa, per cui della divina sustanza nulla possiamo conoscere se non per modo di specchio, ombra o enigma; e nei Furori: non possiamo vedere Dio se non come in ombra e specchio). Vediamo platonicamente la realtà come l’ombra che si proietta sul fondo della caverna, alla quale volgiamo le spalle sin dalla nascita. 

Le idee umane, ombre dell’eterna idea, possono essere pensate, e ricordate, solo se rivestite di forme sensibili, adeguate ai nostri sensi. Esse sono un ponte tra luce e tenebre, e consentono di cogliere l’unità della realtà e gli intimi legami da cui essa è permeata. Dal punto di vista delle idee, non vi è alcun aspetto della realtà che non abbia valore, esse connettono infatti i massimi e i minimi. Si dà così (contro i peripatetici) scienza del singolare e del particolare. Bruno stravolge qui la tradizione filosofica occidentale attraverso il tema dell’ombra: in ambito gnoseologico, ontologico, cosmologico. 

Dal nesso ombra-luce, nei dialoghi italiani scaturiscono l’universo, la differenza tra Dio e universo, tra infinità e infinità. Sul piano etico della natura umbratile si svilupperà, attraverso il tema del limite, l’eroico furore. Nel De Umbris compare anche il tema ermetico dei Mercuri inviati dagli dei, con i quali Bruno finirà per identificarsi. L’ars memoriae si concentra sull’idea secondo cui nell’universo è presente e operante una trama di intrecci, combinazioni, acquisibile tramite un sapere operativo in grado di conoscere e trasformare. Vi è un profondo nesso tra mnemotecnica e magia. 

Questa stessa ars memorie ricompare poi nel Cantus Circaeus, in forma di compendio (e che con alcuni tagli ricompare nell’Ars reminiscendi pubblicata in Inghilterra). È inoltre alla base del rinnovamento religioso e politico dello Spaccio e della Cabala. Una crisi della memoria, in rapporto all’umbratilità, si sviluppa come scissione all’interno della natura, tra essere e apparire.. 

Nel Cantus circaeus affiora il tema della crisi che travaglia il mondo. Circe osserva come si siano rotte le leggi della natura, la giustizia e la virtù siano venute meno. Si è spezzato alla radice il nesso tra essere e apparire (nesso che verrà ristabilito nel De la causa in senso ontologico e cosmologico, e nello Spaccio in senso storico e “religioso”), tra l’essere e i caratteri con cui l’essere si manifesta. 

Circe si accinge a ristabilire l’armonia tra essere e apparire, tra anima e corpo. Trasforma dunque gli uomini in quello che essi effettivamente sono, e li priva delle armi essenziali al loro malefico dominio. Ridotti a bestie, restano senza lingua e senza mano, senza gli strumenti con cui avevano spezzato le leggi naturali e l’armonia: ciò che appare (i caratteri) coincide con ciò che è. 

Dall’analisi dei caratteri manifesti è quindi possibile individuare l’uomo (il tipo) che si cela sotto le forme animali. L’esempio del porco (che, secondo il Mocenigo, durante il processo a Bruno rappresenta il papa), è comprensibile tramite una presentazione mnemotecnica dei suoi caratteri. Ma questa forma di neoplatonismo, acquisito dalla tradizione e scevro di importanti novità , é la parte meno originale del pensiero bruniano. 

Interessante é invece la commedia il Candelaio, nella quale Bruno avvia una riflessione generale sulla civiltà umana. Come ciascun mondo nell'universo é centro e circonferenza, così per similitudine ogni uomo é strumento di un unico infinito che lo condiziona, ma che é a sua volta condizionato dalla realizzazione all'infinito di ciascuna potenzialità umana. L'uomo cosciente di ciò realizza con successo le sue capacità infinite nella creazione artistica, o nell' azione finalizzata al bene comune. 

Nell' idea di civiltà umana guidata da Dio, sono infiniti anche i possibili sviluppi di ciascun uomo verso una rinnovata convivenza pacifica ed é "infinitamente infinito" il bene che l'uomo può raggiungere imitando nel mondo le operazioni di Dio nella natura. Inoltre il Candelaio riprende il motivo del tempo, della crisi e delle idee. Qui Bruno scrive: "Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa s’annichila; è un solo che non può mutarsi, un solo è eterno, e può perseverare eternamente, uno, simile e medesmo". Questa è la filosofia che “aggrandisse” l’animo. 

La vicissitudine universale è un alternarsi di luce e tenebre, di ignoranza e sapienza. Emerge ancora il ruolo dell’ombra. In essa è radicata la felicità del sapiente, non quella del furioso. L’eroico furore è invece il rovesciamento esatto di questa consapevolezza dello scioglimento della crisi, di questa felicità e sapienza. Il furioso si pone infatti su un estremo, su un oltre, forzando il limite entro cui si salda la virtù del saggio. 

Diego Fusaro

fonte: http://www.filosofico.net/bruno.htm

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