La battaglia sulla carne
I conflitti armati nella regione dell’Afar (Uganda) tra le tribù
Atcholi e Madi portano l’Egitto sull’orlo di una catastrofe alimentare.
Negli scontri l’esercito ugandese ha occupato i corridoi logistici della
regione, utilizzati dai nomadi per migliaia di capi di bestiame dal Sud
Sudan (e dallo Stato sudanese del Kordofan meridionale) fino
all’Uganda. I bovini vengono inviati nei macelli, appartenenti alla
Holding Alimentare Egitto-Uganda (UEFS); la carne viene per lo più
inviata in Egitto (volume commerciale fino a 11 milioni di dollari al
mese).
L’impresa è stata fondata con il sostegno dell’Egitto, è guidata
da egiziani e istituita nel territorio dell’Afar nell’ambito della
strategia di sicurezza alimentare del Paese, tenendo conto delle
proiezioni delle Nazioni Unite sulla crisi alimentare prevista nei
prossimi due anni. L’esportazione di bestiame dal Sudan all’Egitto
attraverso il confine è attualmente difficile e connessa all’acuirsi
delle relazioni dopo l’accusa do Cairo del sostegno di Khartoum alla
Fratellanza musulmana egiziana, fornendogli campi di addestramento nei
pressi delle frontiere.
A causa di ciò, la disputa territoriale s’è
accesa nell’area di Halaib. Secondo l’Egitto, l’Uganda è autorizzata a
partecipare alle discussioni sulla costruzione della diga etiopica
“Rinascimento” sul Nilo Azzurro e, a questo proposito, sui rischi del
sistema di irrigazione egiziano di grande importanza per la sicurezza
alimentare. Attualmente l’invio di 85 mila capi è bloccato nella regione
Nimol dell’Afar, influenzando negativamente il lavoro dei macelli.
Secondo la relazione del rappresentante egiziano Sh. Qalin, inviato da
Cairo a fine di maggio, 150 capi vengono inviati alla macellazione ogni
giorno invece dei 1000 previsto. L’azienda subisce perdite.
Cairo
dovrebbe spostare la produzione in Tanzania; altrimenti l’interruzione
delle forniture di carne all’Egitto diverrà critiche. È così importante
per Cairo che al-Sisi voleva incontrarsi il 10 giugno a Berlino con il
presidente ugandese I. Museveni, per discuterne, ma che rifiutava. Si
comprende l’importanza della situazione, anche per il suo clan, dagli
interessi che nella holding di EUFS sono rappresentati da due persone
fidate: il capo della maggiore cooperativa agricola Ankole Long-Horned
Cooperative per l’allevamento del bestiame, E. Kamihigo, e suo cugino S.
Saleh.
Inviava nella regione il ministro dell’Agricoltura V. Sempilije,
per trovare modi di salvare i macelli e garantire una logistica sicura.
Il ministra istruiva una sua persona fidata, il generale M. Ali, per
trovare una sistemazione con i gruppi tribali Madi, che scacciano dalla
terra i membri delle tribù Atcholi, complicando ancora di più la
situazione. Le relazioni egiziane-ugandesi incontrano tempi difficili.
Un anno fa, Cairo e Kampala erano alleati strategici.
Gli egiziani
parteciparono alla pianificazione delle operazioni congiunte con le
agenzie di sicurezza e intelligence ugandesi contro l’opposizione,
l’esercito egiziano insieme ai mercenari assunti da Eritrea, pagati
dagli UAE, erano in guerra contro i ribelli del LRA nelle giungle del
nord del Paese. Esercito e polizia ugandesi furono inviati in Egitto per
l’addestramento presso istituti egiziani. La visita di Museveli a
maggio in Qatar ha cambiato tutto, incontrando l’emiro Tamim e firmando
l’accordo sul dispiegamento della base militare di Doha in Uganda con la
promessa di investimenti. Questa posizione di Kampala sullo sfondo
della crisi nel GCC dimostra a Cairo che le relazioni in Africa sono
momentanee.
Sudan caldo
A giugno Museveni confermava pubblicamente che il suo Paese non avrebbe
partecipato ad alcun atto ostile contro l’attuale regime di Khartoum.
L’annuncio si aveva dopo la riunione del leader ugandese con il
vicepresidente del Sudan Q. Muhamad Abdarahman, partecipando alla
conferenza in solidarietà con i rifugiati di Kampala sotto gli auspici
dell’ONU. Le parti accettavano di rispettare i termini dell’accordo
raggiunto nel 2016 durante il summit di Khartoum. In sostanza: l’Uganda
pone fine alla saga del Sud Sudan, ritirando il contingente militare ad
eccezione di alcuni battaglioni che devono badare alle attività del LRA.
Anche Khartoum pone fine al sostegno a tale gruppo e ne liquida le
retrovie nel Darfur. Il problema del LRA è importante per Kampala. Per
frenare la crescente forza del gruppo di D. Kony, gli ugandesi dovevano
avere l’aiuto dell’Egitto e dei mercenari eritrei. Kampala si è
impegnata a por fine al sostegno ai gruppi di opposizione negli stati
del Sud-Kordofan e del Nilo blu (ribelli del Nuba e del SPLA-Nord) e nel
Darfur (Movimento per la giustizia e l’uguaglianza – MJE).
Membri delle
forze di stabilizzazione militari del presidente del Sud Sudan, S.
Kiir, continuano ad essere schierati nel Sud Sudan, mentre in occasione
della riunione fu deciso che Kampala s’impegnasse nel dialogo tra Kiir e
l’ex-vicepresidente R. Machar Khartoum a sua volta s’impegnava ad
aderire alla precedente linea di condotta sulla questione sud-sudanese,
rifiutando di sostenere Machar e la sua organizzazione, compresi i
rifornimenti aree alle basi logistiche e ai campi di addestramento.
Quanto al dialogo nazionale nel Sudan, questo argomento fu toccato solo
di passaggio. Il leader dell’influente partito secolare
dell’opposizione, Ummah, S. al-Mahdi, l’ha definito defunto.
Così per
Musaveni, le idee dell’opposizione sudanese non sono tanto importanti,
anche se incoraggiate e finanziate dai servizi speciali dell’Egitto, per
la sopravvivenza politica alla pressione dell’opposizione e per il
mantenimento dell’influenza nel Sud Sudan attraverso il rafforzamento
della posizione di Kiir e riducendo l’influenza di Machar. Il percorso
più breve e meno costoso a ciò è la conclusione di un patto di non
aggressione con Khartoum e una mediazione con la leadership del Sud
Sudan per una sistemazione pacifica.
Questo gli permette di proteggersi
dalle provocazioni di Khartoum e di porre fine alla crisi nel Sud Sudan.
Nei negoziati è stato raggiunto un accordo sulla creazione di comitati
locali per lo sviluppo della cooperazione nelle sicurezza, economia e
cultura. Gli ugandesi ufficialmente si sforzano di porre fine alla
guerra civile nel Sud Sudan, creando le condizioni per i colloqui
diretti tra Kiir e Machar.
Quest’ultimo ha dichiarato di essere pronto
alle consultazioni, che saranno preludio del riavvio del processo di
pace. Tuttavia, c’è ragione di credere che non ci siano parole di
riconciliazione dai politici sudsudanesi. Per ordine del presidente
ugandese, alcune colonne di armi e munizioni furono spedite al partito
di Kiir prima dell’offensiva decisiva contro i ribelli di Nuer Machar.
Il viaggio somalo di Erdogan
Sulla sfondo della cris in Qatar, Doha e Ankara aumentano gli sforzi
sui punti più sensibili dei concorrenti in Africa. Erdogan ordinò ad
agosto d’inviare 300 soldati turchi nella base in Somalia, la cui
costruzione iniziò nel marzo 2015 costando ad Ankara 50 milioni di
dollari. Si suppone che vi saranno impiegati circa tremila soldati, che
addestreranno i militari delle forze armate somale.
Finora vi sono
alloggi per 1500 soldati. Ci saranno tre scuole militari, dormitori e
magazzini per quattrocento ettari. Gli esperti sono convinti che
l’obiettivo principale della base è la presenza militare turca nella
regione in contrappeso alle crescenti capacità emirote e egiziane nella
regione del Corno d’Africa e dell’Africa orientale. L’accordo el Qatar
sull’organizzazione della base militare in Uganda fa parte di questa
strategia. A marzo Erdogan e il Capo dello Stato Maggiore delle Forze
Armate della Turchia H. Akar esaminarono la realizzazione di questo
piano militare in Somalia.
Gli UAE rafforzarono la presenza (il ruolo
principale sarà dell’esercito egiziano ed associati provenienti dalla
compagnia militare privata “Blackwaters“) nella regione del
Corno d’Africa. Il discorso non riguarda solo la base di Berbere in
Somaliland, ma anche le infrastrutture militari di Baidoa e Kismayo.
Cioè, Abu Dhabi occupa le coste, formando una catena di basi nella
maggior parte dei porti principali della regione. Non solo le principali
rotte logistiche finiscono sotto loro controllo (esclusa la pirateria o
la guerra nello Yemen), ma anche i principali porti regionali.
Allo
stesso tempo, le autorità degli Emirati Arabi Uniti cercano di
partecipare agli affari interni della Somalia. Quindi, hanno dato
garanzie finanziarie a Mogadiscio su trasferimento e reinsediamento dei
rifugiati somali, che le autorità keniane trasferiscono dal campo di
Dabab. Allo stesso tempo, il principe degli UAE M. bin Zayad cerca il
sostegno da Washington per le azioni in Somalia e ha suggerito al capo
del Pentagono J. Mattis d’inviare negli impianti militari degli UAE 400
conmando statunitensi.
Tutto questo in reazione a Qatar e Turchia. Le
basi militari somale e ugandesi sono solo una parte della risposta. Le
leve economiche sono utilizzate per influenzare la situazione, con cui
sono riusciti a invertire l’atteggiamento negativo del presidente M.
Farmajo sulle loro attività in Somalia. Si presume che in agosto i
presidenti turco e somalo apriranno insieme la struttura. Per Farmajo,
ciò sarà uno dei temi principali considerando il fatto che Londra ha
rifiutato le garanzie finanziarie all’esercito somalo attraverso il
ministro degli Esteri della Gran Bretagna B. Johnson.
I cadetti della
prima coorte laureata sono solo del clan nativo del presidente. Sembra
che non prevedano la creazione di un esercito nazionale ma di una
guardia personale. In questo contesto c’è stata la soluzione al problema
del rilascio delle licenze alla società turca Turkiye Petroleri AO
(TPAO) per la perforazione offshore, inizialmente bloccata dal
presidente somalo. Le autorità del Qatar cercavano di attirarlo nella
propria orbita d’influenza, rinunciando all’illegale operazione tra UAE e
Somaliland per l’acquisto della base militare di Berbera senza
l’approvazione ufficiale di Mogadiscio.
Il 25 maggio, il presidente
Farmajo visitava Doha e l’emiro T. bin Hamad al-Thani gli ha concesso
sei milioni di dollari per “bisogni economici immediati“. Allo
stesso tempo, fu deciso che nel prossimo futuro Mogadiscio preparerà un
elenco di piani commerciali dal finanziamento qatariota. I ministri
degli Esteri di Qatar e Somalia, M. bin Abdurahman al-Thani e Y. Garad
Omar, affermavano in una dichiarazione congiunta, “il crescente ruolo fondamentale del Qatar nella stabilizzazione della situazione nel Corno d’Africa“.
Allarmi e Mirage
La
crisi legata al conflitto tra Arabia Saudita, UAE, Egitto, Qatar e
Turchia colpisce Medio Oriente, Africa settentrionale ed orientale. La
maggior parte dei Paesi della regione cerca di restarne fuori,
limitandosi a dichiarazioni generali, che alle parti del conflitto non
aggrada. Quindi, Doha ovunque ponga fine alla propria presenza militare,
provoca conflitti armati, come nei rapporti con Gibuti.
In particolare,
in risposta alle dichiarazioni anti-qatariote del presidente I.
Guelleh, ritira il contingente di pace che separava Gibuti dale truppe
eritree in una zona controversa creando panico a Gibuti e all’alleata
Etiopia, che dichiarava che l’Eritrea occuperà la province lasciate dai
qatarioti. Il 18 giugno, l’Etiopia inviava al Consiglio di sicurezza
dell’ONU una richiesta sull’introduzione di una missione mista di
controllo dell’Unione africana e delle Nazioni Unite per evitare
l’escalation del conflitto.
Ciò è accaduto dopo che il 14 giugno Gibuti
annunciava la ritirata delle truppe del Qatar nella zona
demilitarizzata, portando all’ammassamento di forze etiopi al confine
tra Eritrea e Gibuti. Le preoccupazioni di Addis Abeba sono
comprensibili: oltre alle ostilità con Asmara, è importante
l’operatività delle ferrovie che recentemente, con grande sforzo dalla
Cina, collegano l’Etiopia ai porti di Gibuti. Nel frattempo, le
discussioni tra le varie fazioni del governo di Addis Abeba si tengono
sul tema dell’azione in questa situazione.
Il Capo di Stato Maggiore
dell’esercito etiope M. Nur Yunus (Samora), appartenente all’ala
conservatrice Mekele del Fronte della Liberazione Popolare del
Tigray (TPLF) guidato da A. Woldu, invica le operazioni militari contro
gli eritrei. I sostenitori del ministro delle Telecomunicazioni D.
Gebremichael, raggiunto dall’ex-Capo di Stato Maggiore Generale
dell’Rsercito S. Mekonen e dal capo del Servizio nazionale di
intelligence e sicurezza (NISS) G. Assefa, si oppongono.
Sono contro la
soluzione militare al problema, che altrimenti garantirà un conflitto
armato nel prossimo futuro. Tra l’altro, dato che le forze armate
etiopiche sono coinvolte nella repressione della rivolta dei musulmano
Oromo, attivamente istigata da EAU e Egitto attraverso l’Eritrea. La
situazione è così allarmante che Addis Abeba è costretta a ritirare
truppe dalla Somalia per il fronte interno. Gibuti ha inviato al
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite messaggi allarmanti. Ad
esempio, la “bandiera eritrea già sventola sulla zona controversa del monte Gabija”.
L’obiettivo è semplice. Secondo il trattato Francia-Gibuti del 1977, la
Francia deve intervenire in caso di violazioni da parte dell’Eritrea
dell’accordo sulle zone demilitarizzate o di atti di aggressione. Cioè,
Gibuti vuole trascinare Parigi nel conflitto. I Mirage dell’Aeronautica
francese sorvolavano la zona senza notare movimenti delle forze eritree.
La questione dei territori controversi riconosciuti da Asmara fu
risolta con il verdetto del tribunale internazionale, sfavorevole
all’Eritrea, che ritirò le truppe dalle aree riconosciute territorio di
Gibuti.
Lo scopo di Ismaïl Guelleh è alleggerire la propria posizione in
relazione alla crescente pressione dell’opposizione su lui e il suo
clan, i cui capi rimangono legati ali EAU e godono del sostegno di Abu
Dhabi. L’azione anti-Qatar dalle autorità di Gibuti è dovuta ai
tentativi di riaffermare la politica di sviluppo del partenariato con i
sauditi in forza della promessa di Riyadh di miliardi di dollari di
investimenti e dell’organizzazione di una base militare saudita a
Gibuti.
Le relazioni della leadership di Gibuti con gli EAU sono cattive
e Riad ne incoraggia il passo anti-Emirati. Gibuti, dal suo punto di
vista, assicura un azione anti-Qatar e l’isteria nell’arena
internazionale in una situazione in cui gli EAU, attraverso l’Eritrea,
organizzano provocazioni militari contro Gibuti. Infatti, né sauditi né
EAU finora sono pronti a un tale sviluppo. Il Qatar non potrà
organizzare un conflitto nell’Africa orientale contro Arabia Saudita ed
Emirati Arabi Uniti, ma la situazione è sempre più complicata.
Flussi di armi
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe documentare le attività del Qatar, che sostiene i gruppi terroristici che operano in Libia. Questo fu dichiarato dal Ministero degli Esteri dell’Egitto alla riunione del Comitato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella dichiarazione per contrastare il terrorismo. Cairo ha chiesto la rimozione dell’embargo sulle armi all’Esercito Nazionale Libico (LNA), che nessuno accetterà.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe documentare le attività del Qatar, che sostiene i gruppi terroristici che operano in Libia. Questo fu dichiarato dal Ministero degli Esteri dell’Egitto alla riunione del Comitato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella dichiarazione per contrastare il terrorismo. Cairo ha chiesto la rimozione dell’embargo sulle armi all’Esercito Nazionale Libico (LNA), che nessuno accetterà.
Il Qatar fornisce armi agli islamisti attraverso i
clan di Tripoli e Misura, associandosi alla Fratellanza musulmana.
Anche Sudan e Turchia lo fanno. Inoltre, secondo i dati forniti dai
servizi speciali dell’Egitto, nel Sudan le basi logistiche sono
dispiegate non solo da Qatar ma anche dall’Iran. Teheran rifornisce la
striscia di Gaza attraverso il Sinai. Doha è specializzata nell’invio di
armi in Libia e Sinai.
Khartoum, nonostante la divisione pubblica con
Teheran e l’alleanza con Riyadh, continua ad utilizzare i legami con
Qatar e Iran per sostenere materialmente gli islamisti e i sostenitori
di Hamas. Riyadh dovrebbe controllare le azioni di Khartoum in quella
direzione e in alcuni casi, se necessario, correggerle, ma ciò non
accade. L’attacco di Arabia Saudita, EAU ed Egitto al Qatar non
significa che la loro alleanza sia forte. Gli interessi sauditi, in
combinazione con gli Emirati Arabi Uniti, sono diversi in tutti i punti
chiave della regione, dallo Yemen al Corno d’Africa e alla Libia.
Difatti, Riyadh ha posto a capo del governo di accordo nazionale Fayaz
al-Saraj, ma Abu Dhabi e Cairo il comandante in capo delle Forze Armate
di Tobruq, Generale Q. Haftar. L’Arabia Saudita trae vantaggio
dell’indebolimento di Haftar, da qui l’atteggiamento conciliatorio di
Riyad verso la presenza in Sudan delle basi di addestramento dei
terroristi dei Fratelli musulmani nelle aree di confine egiziane e il
trasferimento di armi agli islamisti libici attraverso la logistica
sudanesi nel Darfur. Nel sud, contro le forze di Haftar, “l’opposizione
ciadiana” è in guerra sotto la sfera d’influenza dei servizi di
sicurezza sudanesi. Riyadh utilizza la carta della vittoria sudanese per
scoraggiare EAU ed Egitto.
Le conclusioni sono semplici. L’alleanza dei Paesi sunniti nel formato “NATO del Medio Oriente”, di cui parlano gli Stati Uniti, non è realistica. Ben presto la tensione anti-Qatar calerà e le contraddizioni tradizionali di Riyadh, Abu Dhabi e Cairo, profonde, si manifesteranno e non permetteranno alcuna alleanza temporanea per risolvere obiettivi tattici.
Quindi, il Qatar non avrà una posizione difensiva a lungo; ha
abbastanza alleati per andare all’offensiva. Questo rende l’attacco
contro Doha insensato. Dalle dichiarazioni del dipartimento di Stato
degli USA, è abbastanza chiaro che Washington lasci che gli eventi
seguano il loro corso senza interferire…
Evgenij Satanovskij, VPK, 06.07.2017 – South Front
Evgenij Satanovskij, Presidente dell’Istituto sul Medio Oriente
Evgenij Satanovskij, Presidente dell’Istituto sul Medio Oriente
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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