lunedì 10 luglio 2017

Rumori di fondo

 
Sri Aurobindo metteva il silenzio mentale, la capacità di sganciarsi e di osservare in piena coscienza l'attività della mente, come primo passo del lavoro e, dopotutto, non posso che essere d'accordo con lui. 
 
Questo è il primo imprescindibile passaggio e anche forse uno dei più ostici. Di sicuro uno dei meno sottolineati. In un'epoca nella quale si cerca tanto l'effetto speciale, la dimostrazione, nella quale si condisce tutto con parole come "quantico" e "divino", in un momento storico in cui sta aumentando il rumore generato da promesse e chiacchiere, pochi si accorgono di quanto il silenzio interiore e la capacità di discriminare quali siano le forze che ci attraversano siano alla fine gli strumenti più importanti da coltivare.  
 
Siamo attraversati infatti da ogni genere di informazione a livello sottile, informazioni che provengono da tutto ciò cui siamo esposti giornalmente, ivi incluse le parole dei libri che leggiamo, dei nostri guru e insegnanti. Siamo esposti a ciò che accade nella società, in famiglia, nelle cerchie delle relazioni. Siamo esposti a forze collettive e quasi del tutto inconsce, a movimenti di energie che molti di noi possono solo immaginare. 
 
Tutto questo va a nutrire un rumore di fondo che fa da substrato a molta della nostra attività mentale. 
 
Un pensiero salta fuori da chissà dove, magari mosso da una di queste forze delle quali non sappiamo nulla, e diciamo 'io ho pensato questo'. Un impulso si fa vivo e inizia a spingere il corpo verso il suo compimento e diciamo 'io ho questo impulso'. Siamo davvero convinti che sia 'io' a star dietro a tutti questi fenomeni apparentemente fuori controllo, ma ad una osservazione più attenta prima o poi verrà fuori la triste verità. 
 
Questo 'io' che diciamo di essere ha pochissimo o quasi nessun potere sull'attività mentale, pochissima o nessuna influenza su certi impulsi irrazionali, men che meno sulle emozioni. Questo 'io' che diciamo di essere può al massimo arrivare a percepire questo rumore di fondo generato della sofferenza e dell'inconsapevolezza umana ma poi non sa che fare quando arriva a vedere a quella profondità, e spesso cade nel sonno, arrendendosi all'inconsapevolezza e all'impossibilità di sganciarsi da quel rumore così seduttivo. 
 
In realtà la maggior parte delle nostre azioni e dei nostri pensieri non sono nostri, ma emergono da quel marasma che continuamente ci attraversa. Il fatto che riteniamo ci sia un 'me' dietro quelle azioni e pensieri e il motivo per cui lo riteniamo si fanno chiari solo con la pratica del silenzio interiore, anche se possono volerci anni per accorgersi del subdolo meccanismo. Ogni volta che un pensiero o un impulso sorgono dal marasma, la nostra attenzione vi aderisce completamente e ci identifichiamo automaticamente con ciò che è sorto. 
 
Non mettiamo nemmeno in discussione la certezza che sono proprio 'io' ad aver avuto quel pensiero, 'io' ad avere quella spinta a fare qualcosa. In realtà ogni nostro pensiero e azione parlano sempre della nostra sfocatura e mai di quel presunto 'io' che vorremmo ingenuamente ritenere l'autore delle nostre azioni. In un primo tempo questo mi terrorizzava, perché mi accorgevo sempre di più che 'io' sembrava non avere una volontà propria, sembrava non avere davvero altra possibilità che non arrendersi all'inconsapevolezza ogni volta che qualcosa fuoriusciva dal rumore di fondo per presentarsi alla coscienza e reclamare attenzione. 
 
I primi tempi di pratica ricordo bene che il rumore aumentava a dismisura e si faceva insopportabile, come se, una volta guardato direttamente, chiedesse di essere visto con ancora più violenza. Nonostante tutto però, un potere questo 'io' lo aveva. Anzi due, mi accorsi. Il primo era che 'io' potevo sempre dirigere l'attenzione dove volevo e ritirarla da dove non volevo. Il secondo era che 'io' potevo mantenere una ferma intenzione anche laddove il rumore di fondo si faceva insostenibile. 
 
L'intenzione di non agganciarmi, di ricordarmi che 'io' non ero ciò che guardavo. Ed emergeva materiale, pensieri, emozioni, intuizioni, visioni, luci, colori, suoni, ricordi. E ad ogni strato che emergeva rinnovavo la mia intenzione di non agganciarmi e di non aderire alla storia che la mente sembrava raccontare, dando attenzione piuttosto che al pensiero e all'emozione del momento, a quello spazio gentile, accogliente e sempre presente sul cui sfondo sembrava agitarsi tutto questo mare di fenomeni. 
 
Con il tempo questo approccio iniziò a ridurre e dissolvere il rumore, portando a volte alla sua completa scomparsa. E il lavoro era più simile all'arare un campo piuttosto che al cercare di soddisfare ogni mia tendenza del momento, realizzare i miei desideri, o raggiungere illuminazione e risveglio. 
 
Soprattutto a un certo punto mi fu palese che il problema serio non era il raggiungimento del silenzio ma il riuscire a mantenerlo nella vita reale quando il rumore prodotto dalle circostanze si faceva assordante e tendeva a farmi cadere sempre di più in quello che era un lungo sogno dove la sensazione di 'io' si mescolava irrimediabilmente alle emozioni e ai pensieri che mi attraversavano. E un bel giorno di qualche anno fa mi si presentò agli occhi la cruda verità, che se non c'è in noi questa ferma determinazione di andare oltre questo rumore di fondo non siamo che pupazzi in mano all'inconsapevolezza. 
 
Ho dovuto vedere e toccare con mano il fatto che è un lavoro che va avanti tutta la vita, e che è solo da quei momenti di quiete che posso vedere quanti impulsi di origini differenti si agitano in quel marasma cercando di accampare diritti di proprietà e di spingere la vita in ogni direzione. Ed è solo in quella quiete che posso vedere davvero e con chiarezza da dove originano. 
 
E' un lavoro noioso, stancante, che non ha la pretesa di regalare salti quantici o miracoli improvvisi, ma è l'unico lavoro, a mio parere, in grado di regalare la facoltà di scelta sul proprio destino, sulla propria linea di vita. E' un lavoro che insegna a non aderire a ogni pensiero ed emozione, e che dopo anni mi ha fatto capire cosa intendesse Lester Levenson quando affermava che ogni pensiero e ogni emozione sono di fatto delle limitazioni, che ogni tendenza non è nient'altro che la nostra abitudine a rispondere a pensieri ed emozioni come se fossero nostri. 
 
E' il lavoro maestro che mi ha insegnato che fondamentalmente di 'mio', in me stesso, c'è davvero poco fin quando non imparo a dirigere l'attenzione e a rinnovare la purezza dell'intenzione di andare verso il silenzio. Non è stato un passaggio facile tuttavia. Ad ogni passetto in avanti che facevo c'era sempre più forte in me la voce della sfocatura che recalcitrava urlando "Questo non è giusto! Non è responsabile! 
 
Questi sono i tuoi pensieri, le tue storie, questo è tutto il tuo passato e quello dei tuoi antenati. Questo è ciò che tu sei! La sofferenza è normale! Questo è quello che fanno tutti, e chi sei tu per voler essere diverso? Che ne sarà di te senza tutto questo?". 
 
Ed era tutto vero. In quella massa di forze psichiche c'era tutto ciò in cui la gente credeva, e in cui io credevo fino a poco prima. 
 
C'erano tutte le soap opera, la violenza, l'ingiustizia, le credenze, i nemici, l'importanza personale, le condanne e le recriminazioni che ogni essere umano ascriveva alla vita, perchè 'così è la vita'. In quel guazzabuglio c'era la sommessa convinzione che nella vita non siamo che pupazzi in balia degli eventi e che questo non si può affatto cambiare. E qualche volta capita ancora che io ci creda, lo ammetto. 
 
Capita ancora che la sfocatura mi tenti a cadere nella convinzione che non abbiamo nessun potere. 
 
Ma un potere ce l'abbiamo, anzi ben due: il potere di dirigere l'attenzione e quello di rinnovare la nostra intenzione. Con il tempo e con la pratica quotidiana questi due potranno portarci fuori da ogni cosiddetto problema e magari, un giorno, scopriremo davvero cos'è quell''io' che credevamo di essere. 


Andrea Panatta

fonte: http://maghierranti.blogspot.it/2017/06/rumori-di-fondo.html

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